Reportage

In Israele, la controffensiva dei coloni

Galvanizzati da un governo ultranazionalista, i coloni israeliani stanno intensificando le iniziative che mirano all’annessione di gran parte della Cisgiordania. Questo significa anche un pieno appoggio al governo Netanyahu di fronte alle proteste di gran parte della popolazione per la riforma della giustizia, mentre il premier sta cercando di superare le divisioni interne con attacchi contro Gaza, largamente sostenuti anche dalle forze di opposizione.

L'immagine mostra un gruppo di persone che osservano una grande manifestazione. Sullo sfondo si vedono moltissime bandiere israeliane sventolare tra la folla. Le persone nella parte anteriore dell'immagine sono viste di spalle; indossano kippah e sembrano concentrate sulla situazione davanti a loro. L'atmosfera sembra essere di impegno e partecipazione, con una grande presenza di persone che condividono una causa comune.
“La Marcia del milione” si è riunita nei pressi della Knesset a Gerusalemme, il 27 aprile 2023, a sostegno della coalizione di governo di estrema destra.
Ahmad Gharabli/AFP

Gli organizzatori avevano fatto le cose in grande. Per la manifestazione del 27 aprile 2023, ribattezzata “la Marcia del milione”, avevano raccolto quasi 7 milioni di shekel (1,5 milioni di euro) e noleggiato un migliaio di autobus per far arrivare gli israeliani da tutto il paese – in particolare, i coloni al di là della Linea Verde – a Gerusalemme. Il maxi-raduno a sostegno della coalizione di estrema destra al potere è riuscito alla fine a riunire tra le 150.000 e le 200.000 persone, sommerse da una marea di bandiere israeliane, davanti alla Knesset (il Parlamento israeliano). È stata una delle più grandi manifestazioni di destra degli ultimi 20 anni.

Un pubblico in prevalenza di fede religiosa; molti arrivati con le famiglie. C’erano gruppi di uomini che pregavano in disparte. In realtà, i manifestanti non erano i tradizionali elettori del Likud, il partito conservatore di destra del premier Benjamin Netanyahu, bensì movimenti di coloni religiosi sionisti, alcuni con tendenze messianiche. In un angolo, c’erano dei giovani che distribuivano bandiere con l’immagine del Terzo Tempio che gli estremisti religiosi sperano di ricostruire un giorno a Gerusalemme, sulla spianata delle Moschee, al posto della Cupola della Roccia. I partiti ultraortodossi, invece, avevano vietato ai loro seguaci di partecipare alla manifestazione. Durante il corteo, un giornalista israeliano ha fotografato uno striscione con la richiesta di rilascio di Yigal Amir, l’assassino del primo ministro Yitzhak Rabin nel 1995.

L’evento voleva essere una dimostrazione di forza in risposta alle manifestazioni che ogni sabato dall’inizio dell’anno portano in piazza decine, se non centinaia di migliaia di israeliani contro la riforma della giustizia proposta dal governo, che mira in particolare a indebolire il potere della Corte suprema. “Chi governa? Il popolo e i suoi rappresentanti o un gruppo di intellettuali che pretendono di saperne più di noi? Sono soddisfatto di questo governo, voglio che sappiano che sono dalla loro parte”, dice Yossi Bach, 36 anni, arrivato qui con moglie e cinque figli dall’insediamento di Otniel, a sud di Hebron, nella Cisgiordania occupata. Dal palco sono intervenuti diversi ministri, tra cui quello delle Finanze, il suprematista Bezalel Smotrich. Durante il suo intervento, la platea si è fatta più silenziosa e attenta.

Un obiettivo: la Corte suprema

“Ora che abbiamo il governo che volevamo, deve avere la possibilità di mettere in pratica il programma per cui abbiamo votato!”, sostiene Moshe Salama, 53 anni, una guida turistica che ha lasciato Antibes 10 anni fa per stabilirsi a Gerusalemme. Lo scorso novembre, lui e sua moglie hanno votato per Otzma Yehudit (Potere Ebraico), il partito del suprematista Itamar Ben-Gvir, ministro della Sicurezza nazionale, più volte condannato per istigazione all’odio razziale. La speranza di Salama è quindi che il governo estenda la sua politica di colonizzazione nella Cisgiordania occupata. “Ci sono 600.000 ebrei in quei territori contesi. È vero, non è stato definito lo status giuridico di quelle terre, ma bisogna agire subito, sostenere quella gente che ha il coraggio di proteggere Israele”, sintetizza.

Dietro questa grande festa del “popolo di destra”, c’è l’associazioneTekuma 23, guidata da Beraleh Krombie e dal deputato del Likud Avichay Buaron, entrambi attivisti pro-colonizzazione. Buaron è noto in particolare per la sua lotta contro lo sgombero, nel 2017, dell’“avamposto” di Amona, colonia costruita senza l’autorizzazione delle autorità israeliane nella Cisgiordania occupata. Tekuma 23, fondata dopo le prime manifestazioni anti-sgombero a Tel Aviv, aveva già organizzato la manifestazione filogovernativa del 27 marzo. Dopo uno sciopero senza precedenti che aveva paralizzato il paese, il primo ministro Netanyahu ha deciso di sospendere temporaneamente la riforma della giustizia.

In questi anni, i giudici della Corte suprema hanno per lo più sostenuto la colonizzazione e l’espulsione dei palestinesi, in violazione del diritto internazionale. Nel maggio 2022, ad esempio, hanno dato il via libera allo sgombero forzato di oltre 1.000 persone nel sud della Cisgiordania, nella zona di Masafer Yatta. Nonostante ciò, i coloni continuano a vedere i referenti della giustizia come i principali ostacoli alle loro ambizioni, specialmente all’annessione. “La riforma della giustizia è fondamentale, perché anche se questo governo agisce, i giudici possono revocare le loro leggi. La Corte suprema è, in linea di principio, contro la presenza degli ebrei in Giudea e Samaria” (nome biblico con cui la maggior parte degli israeliani chiama la Cisgiordania occupata), spiega a Orient XXI Naomi Kahn, direttrice della International Division del think thank israeliano Regavim, una delle lobby dei coloni, cofondata 17 anni fa dal neo ministro Bezalel Smotrich.

Pochi giorni prima della manifestazione, alcuni gruppi a favore della colonizzazione hanno diffuso un filmato dove si vedevano israeliani espulsi da vari “avamposti” ripetere la stessa cosa: “Nel 2015, c’è stata la sentenza della Corte suprema che ha stabilito che l’insediamento doveva essere raso al suolo”, racconta Tamar Nizri, un ex residente di Amona. “Ma lì non c’era un solo arabo. Nessuno voleva quel posto, ma la Corte suprema ha deciso il nostro sgombero forzato. Senza la sentenza della Corte, l’insediamento di Amona sarebbe ancora lì”.

“Ecco i semi che abbiamo piantato”

Dopo che si è insediato il governo, gli attivisti della colonizzazione hanno fatto maggiori pressioni, con il sostegno dei membri della coalizione. Il 26 aprile 2023, Bezalel Smotrich ha celebrato i 75 anni dello Stato di Israele1 a Homesh, un insediamento ufficialmente evacuato nel 2005, insieme alle colonie a Gaza. Erano circa 1.500 i coloni israeliani lì riuniti in preghiera nella yeshiva, istituzione ebraica che si concentra sullo studio dei testi religiosi tradizionali. Tra loro, c’erano Yossi Dagan, capo del consiglio regionale di Samaria (a nord della Cisgiordania), e due deputati, Limor Son Har-Melech di Otzma Yehudit, ex residente di Homesh, e Zvi Succot, ex leader del “gioventù delle colline”, movimento di coloni messianici particolarmente violenti. “Ecco i semi che abbiamo piantato”, ha dichiarato Bezalel Smotrich.

Il 21 marzo 2023, alle prime ore del mattino, la Knesset ha abrogato infatti la legge sul disimpegno del 2005, che aveva portato in particolare al ritiro dei coloni da Gaza, per abolire il divieto agli israeliani di recarsi nelle aree della Cisgiordania dove erano state smantellate delle colonie, tra cui quella di Homesh. Peraltro, i coloni non hanno il diritto di stabilirsi lì. All’interno della maggioranza, due deputati però hanno finto di non saperlo, chiedendo apertamente di reinsediarsi non solo nel nord della Cisgiordania, ma anche a Gaza.

Non so quanto tempo ci vorrà. Purtroppo, un ritorno nella Striscia di Gaza causerà molte vittime, al pari di quante ne ha provocate il ritiro dalla Striscia di Gaza. Ma alla fine, quel territorio fa parte della terra d’Israele e un giorno noi ci ritorneremo.

Queste le parole del ministro Orit Strook in un’intervista rilasciata al network sionista religioso pro-colonizzazione Arutz Sheva.

L’esercito per scortare i coloni

Dopo l’evacuazione, ci sono stati gruppi di coloni che hanno regolarmente tentato di reinsediarsi a Homesh, insediamento costruito alla fine degli anni ‘70 su terre private palestinesi, a nord di Nablus. Nel 2009, i coloni sono riusciti a creare lì una yeshiva. Dopo varie evacuazioni, alla fine l’esercito ha concesso il permesso agli studenti di recarsi nella yeshiva, distruggendo però regolarmente gli accampamenti che gli attivisti erigono per passare lì la notte. L’istituzione è soprattutto un luogo di ritrovo: nel 2022, è da qui che migliaia di coloni hanno marciato verso Homesh – un atto di forza approvato dal ministero della Difesa che aveva mobilitato l’esercito per scortarli.

I coloni e i loro rappresentanti al governo vogliono quindi fare in modo che le tante promesse elettorali vengano in gran parte mantenute. Secondo l’accordo di coalizione firmato con il Partito religioso sionista, Israele ha un “diritto naturale” su tutto il territorio e l’obiettivo principale della maggioranza sarà quello di promuovere la sovranità israeliana sulla Cisgiordania, in parole povere l’annessione. A fine febbraio, Bezalel Smotrich è stato anche nominato capo dell’Amministrazione Civile, l’organo militare preposto alla gestione dei territori palestinesi occupati. E così il paladino della colonizzazione razzista è diventato ora il governatore della Cisgiordania. Il 12 febbraio scorso, Netanyahu ha annunciato la legalizzazione di 9 “avamposti” e, dieci giorni dopo, di oltre 7.000 nuovi alloggi negli insediamenti.

Come riporta un articolo del 26 gennaio del quotidiano conservatore online Israel Hayom, l’obiettivo, a lungo termine, “è quello di arrivare a 1 milione di residenti israeliani” nella Cisgiordania occupata, rispetto ai poco più di 500.000 di oggi, a cui si aggiungono gli oltre 200.000 coloni a Gerusalemme Est. Solo delle difficoltà “tecniche e burocratiche” potrebbero ritardare i piani, prosegue l’articolo, riferendo che i coloni non temono eventuali ritorsioni diplomatiche. A parte i comunicati di rito che esprimono timori o condanne, le cancellerie americane ed europee assistono passivamente, da decenni, all’avanzata della colonizzazione.

Occupare la terra

I coloni lo sanno e praticano la politica del fatto compiuto. Si stabiliscono nella speranza che le comunità create vengano poi legalizzate dalle autorità israeliane. Secondo il diritto internazionale, però, questi insediamenti sono tutti illegali. Anche dopo essere stati evacuati, gli “avamposti” restano a disposizione dell’esercito. Una volta sequestrate dai coloni, le terre però non tornano quasi mai ai palestinesi. Così, l’insediamento di Evyatar a sud di Nablus, eretto nel maggio 2021 ed evacuato nel luglio 2021, è diventato da allora una zona militare. Il 10 aprile, i coloni lo hanno scelto per organizzare una grande marcia alla quale hanno preso parte 15.000 israeliani, tra cui 7 ministri e diversi deputati. Indicando la folla a un giornalista dell’emittente all-news filo-israeliana i24, Boaz Bismuth, del partito Likud, ha spiegato: “Quelli che, il secolo scorso, hanno costruito il nostro Stato, loro rappresentano la continuità. […] Ho portato qui con me mio figlio di dieci anni, dicendogli che quando avrà la mia età e ritornerà qui, a Evyatar […], non solo sarà legale, ma sarà diventata una città”.

Questi maxi-raduni sono l’occasione per i coloni di farsi sentire dal governo: “Siamo venuti qui, vi abbiamo votato per un motivo. Sappiamo aspettare, ma non dimenticatevi di noi”, riassume Serah Lisson, ex residente di Evyatar, che ora vive con il marito e 7 figli qualche chilometro più a sud, nella colonia di Rehelim. Serah continua:

La questione non è Evyatar, ma tutta la Giudea e la Samaria. Passerà sotto il nostro governo? Le nazioni del mondo capiranno finalmente che questa è la terra di Israele? […] Abbiamo pregato per fare ritorno nella nostra terra, non solo a Tel-Aviv e Gerusalemme.

Di pari passo, gli attivisti si stabiliscono nella speranza che, intensificando le offensive, alla lunga potranno ottenere qualche vittoria. Centinaia di coloni erano già arrivati a Evyatar il 26 febbraio 2023, col favore della notte, per cercare di ricostruire l’“avamposto” su un terreno che apparteneva al villaggio palestinese di fronte, Beita. Sono stati evacuati pacificamente il giorno dopo. Dall’altro lato della collina, da maggio 2021, sono 10 i palestinesi uccisi e altri 6.800 sono stati feriti mentre difendevano le loro terre. Il 27 gennaio, è stato eretto anche un altro “avamposto”, Or Chaïm, su una collina sottostante Evyatar, dall’altra parte della strada. Ancora una volta, il ministero della Difesa ha deciso di farli evacuare, malgrado le pressioni degli alleati suprematisti ebrei. “I cambiamenti non possono avvenire in un batter d’occhio”, riassume Serah Lisson. “Il governo non può rivolgersi solo ai suoi sostenitori; purtroppo, in Israele, non tutti sono d’accordo sulla presenza d’insediamenti. Mi rendo conto che le autorità scelgano di lasciare in piedi certi insediamenti rispetto ad altri”.

“Sviluppare” il Negev e la Galilea

E anche quando si scontrano con la Corte suprema, i movimenti pro-colonie ricorrono ai giudici per cercare di far cedere il governo. Dopo oltre 10 anni di battaglie legali, Regavim ha finalmente ottenuto il via libera allo sgombero forzato di circa 200 palestinesi dal villaggio beduino di Khan al-Ahmar, lungo l’autostrada tra Gerusalemme e Jerico. In questa zona chiamata “E1”, Israele vuole allargare l’insediamento e isolare ancor di più la città santa dalla Cisgiordania, collegandola al grande insediamento di Maale Adumim. Ma il governo tarda ad applicare la decisione del tribunale: preferisce temporeggiare su una questione che non mancherà di provocare reazioni da parte degli Stati Uniti e dell’Europa.

Il premier Netanyahu ha gioco facile a fare da arbitro. Nei 4 mesi di governo, il bilancio per i palestinesi è stato catastrofico: secondo un rapporto Onu, sono almeno 89, di cui 17 minorenni, i palestinesi uccisi dall’esercito o dai coloni israeliani dall’inizio dell’anno2, con un incremento del 57% rispetto al 2022, anno già particolarmente funesto. Eppure, i coloni israeliani rappresentano la componente fondamentale del progetto israeliano nella Cisgiordania occupata. La loro violenza non è un’eccezione, ma fa parte del sistema che mira a espellere i palestinesi dalla loro terra. Del resto, una violenza che ha anche il pieno sostegno dell’esercito, con i soldati presenti durante gli attacchi quando non vi partecipano loro stessi.

Così, il 26 febbraio 2023, al momento dell’attacco coordinato alla città palestinese di Huwara e ai dintorni, a sud di Nablus, i 100 coloni armati erano spalleggiati da una decina di soldati, stando alle testimonianze raccolte sul posto. Il bilancio è stato di un palestinese ucciso e altri 350 feriti. I coloni dicono di aver agito per vendicare due fratelli israeliani, Hillel e Yagel Yaniv, 22 e 20 anni, del vicino insediamento di Har Bracha, uccisi in un attentato palestinese poche ore prima. Ma, invece di condannare le rappresaglie, il ministro Smotrich ha scatenato le proteste in Israele e a livello internazionale con una dichiarazione in cui invocava di “cancellare dalla mappa” la cittadina di Huwara. Ha finito per scusarsi, lamentando di essere stato citato in maniera parziale e distorta… prima di negare, poche settimane dopo a Parigi, l’esistenza stessa del popolo palestinese.

È il motivo per cui, nella mentalità dei coloni e dei partiti del suprematismo ebraico, il loro piano non si limita solo alla Cisgiordania occupata. Gli accordi di coalizione prevedono in particolare la realizzazione di progetti per “giudaizzare” la Galilea, nel nord di Israele, e il Negev, nel sud, due regioni con una forte presenza di cittadini palestinesi con cittadinanza israeliana – che le autorità chiamano ufficialmente “arabi israeliani” per distinguerli dai loro connazionali che vivono dall’altra parte della Linea Verde. Yitzhak Wasserlauf del partito Otzma Yehudit è stato persino nominato ministro dello Sviluppo per il Negev e la Galilea per farsi carico del progetto nelle due regioni. Regavim ha in parte progettato il piano destinato al Negev. Tuttavia, all’inizio di febbraio, Wasserlauf ha visto ampliare il suo ministero con un nuovo dipartimento... incaricato di aiutare a regolarizzare gli “avamposti” nella Cisgiordania occupata.

1Secondo il calendario ebraico. Lo Stato di Israele è stato creato unilateralmente il 14 maggio 1948, data che segna la Nakba per il popolo palestinese: furono circa 750.000 gli abitanti palestinesi costretti a fuggire, senza possibilità di fare ritorno, e più di 400 i villaggi distrutti, in particolare per impedire ai palestinesi di reinsediarsi in quei luoghi.

2Contestualmente, sempre secondo dati Onu, sono stati uccisi 14 israeliani, tra cui tre minori. Undici erano coloni.