Iran. Guardie della rivoluzione o guardie del regime?

L’Iran pone come condizione per la ripresa dei negoziati sul nucleare il ritiro del Corpo delle guardie della rivoluzione (pasdaran) dalla lista americana delle organizzazioni terroristiche e tenta di dissuadere l’UE dall’includerlo sulla propria lista, come raccomandato dal Parlamento europeo all’inizio del 2023. L’occasione per ripercorrere le origini e la storia di un’istituzione sui generis, rievocare i suoi rapporti con gli altri pilastri del regime, le sue predazioni economiche e la sua posizione rispetto alle minoranze.

Teheran, 22 settembre 2018. Sfilata del Corpo delle guardie della rivoluzione durante la parata annuale che si svolge in occasione dell’anniversario dello scoppio della guerra del 1980-1988 contro l’Iraq.
STR/AFP

Il 18 gennaio 2023 il Parlamento europeo si è espresso, con voto non vincolante, a favore dell’inclusione del Corpo delle guardie (sepah-e pasdaran) della rivoluzione islamica d’Iran – i pasdaran – nella lista nera delle organizzazioni terroristiche, in un contesto di tensioni endemiche tra Teheran e Bruxelles. È in discussione il loro ruolo, perno dell’apparato di sicurezza del regime, nella repressione delle proteste e delle sommosse scoppiate dopo la morte della giovane Jina Mahsa Amini il 16 settembre 2022 per mano della polizia morale di Teheran. Tra le altre motivazioni del voto, il sostegno logistico fornito dalla Repubblica islamica a Vladimir Putin nella guerra contro l’Ucraina e la pratica diffusa del sequestro di ostaggi, inclusi cittadini europei1.

Inserire i pasdaran nella lista europea delle organizzazioni terroristiche sancirebbe il divieto a svolgere qualsiasi attività economica o finanziaria con le numerose fondazioni e imprese poste sotto il loro controllo. Un divieto difficilmente attuabile data la presenza capillare di questo Corpo nell’economia formale e informale dell’Iran, ma anche in settori come lo sport e la cultura, dalle molteplici ramificazioni internazionali. Una misura che potrebbe addirittura sortire un effetto indesiderato: colpendo i pasdaran nel loro insieme, non c’è il rischio di alimentare un’ondata di solidarietà al loro interno, così come tra le forze armate e le forze dell’ordine della Repubblica islamica? Da un lato, infatti, i pasdaran esercitano un maggiore controllo su queste forze dopo le riorganizzazioni dell’apparato militare e poliziesco iraniano avvenute tra il 2019 e il 2021. Dall’altro, le tensioni non hanno risparmiato nessuno ‒ né le guardie né l’esercito né la polizia ‒ dopo la morte di Mahsa Amini, tanto che i richiami all’unità e le denunce delle “anatre zoppe” abbondavano a fine 2022.

La raccomandazione del Parlamento europeo non sembra tener conto di questi dissensi all’interno del regime. Un esempio tra tanti: l’esecuzione, il 14 gennaio 2023, del cittadino iraniano-britannico Alireza Akbari, dopo uno sbrigativo processo per spionaggio nonostante le rimostranze delle diplomazie europee. In possesso della doppia cittadinanza (come gran parte dell’élite della Repubblica islamica), Akbari era noto soprattutto come ex vice-ministro della difesa molto vicino all’ammiraglio Ali Shamkhani, segretario del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale iraniana nonché figura storica delle guardie. Secondo le rivelazioni della stampa conservatrice iraniana, a gennaio 2023 la Guida suprema della Repubblica islamica Ali Khamenei e il presidente Ebrahim Raisi hanno cercato di scaricare la responsabilità della situazione insurrezionale creatasi nel paese sull’ammiraglio e su tutta la vecchia generazione di pasdaran, di cui Shamkhani è la personificazione. Molto presenti nei media, questi ultimi si sono mostrati spesso critici, da metà settembre 2022, nei confronti della repressione condotta contro le proteste e le rivolte che imperversavano allora in tutto il paese, quando non optavano, come Shamkhani, per un silenzio di disapprovazione.

Una società ufficiale piena di crepe

Queste tensioni hanno messo in luce le forze e le debolezze strutturali che caratterizzano il Corpo delle guardie della rivoluzione sin dalle sue origini. Il denominatore comune di questa milizia di Stato istituita dall’ayatollah Khomeyni il 5 maggio 1979 sulla base di diversi gruppi armati rivoluzionari era la loro obbedienza verso colui che sarebbe diventato la prima Guida suprema della Repubblica islamica. Da allora, i pasdaran si sono sempre distinti per la loro interdipendenza rispetto al potere teocratico impersonato dalle Guide (rahbar) Rouhollah Khomeyni e, dal 1989, Ali Khamenei. Durante la cosiddetta “reggenza del giurisperito” (velayat-el faqih), divenuta reggenza “assoluta” nel 1987, la Costituzione del 1979 ha trasformato la Guida o rahbar nel detentore di un potere sempre più sconfinato, dagli anni Novanta in poi, mediante l’istituzione di fondazioni semi-private (bonyad) poste sotto il suo controllo e gestite da ex pasdaran. Perciò, né le Guardie né la Guida hanno mai pensato di poter esistere indipendentemente, sebbene i loro rapporti siano attraversati da tensioni endemiche che hanno avvalorato, sin da subito, l’ipotesi di un colpo di stato delle prime contro la seconda2.

Elemento centrale della loro legittimità reciproca, la difesa dei “valori” del sistema, confusi a partire dal 1987 con la sopravvivenza del sistema stesso. Causa di irrigidimento del regime di fronte alle numerose crisi attraversate, tale difesa inciampa nelle tante divisioni e rivalità interne che ha conosciuto il Corpo sin dal 1979. Per anni, le guardie si sono distinte all’interno dell’apparato statale per la loro autonomia e per il loro sistema di reclutamento impostato sulla lealtà locale: nei primi tempi della guerra Iran-Iraq del 1980-1988, le unità dei pasdaran al fronte ricevono parte degli approvvigionamenti dai bazar e dalle moschee delle loro città e regioni di origine. Tali favori spiegano tanto la faziosità di questa milizia all’inizio della sua storia e l’alto livello di coesione di molte unità, quanto il suo spiccato senso dell’autosacrificio3.

All’origine di numerose divisioni verificatesi all’inizio del regime, queste riverenze alimentano oggi la coesione della vecchia generazione di pasdaran. Saliti rapidamente di grado con lo scoppio della guerra contro l’Iraq, costoro hanno potuto dominare la scena politica per periodi eccezionalmente lunghi. Fatti fuori dalle purghe decennali orchestrate da Ali Khamenei (nel 1989, 1999, 2009 e 2019) e passati con maggiore o minore successo agli affari e alla politica, alcuni sono diventati nel frattempo censori del regime, e rappresentano una nuova spaccatura, generazionale, tra le vecchie e le nuove gerarchie. Al centro della loro critica, ci sono non i “valori” in sé, bensì la loro applicazione in una società che con la fine dello Stato sociale a partire dal 2010 e il concomitante eccesso di zelo della polizia morale è diventata in parte ostile a un regime accusato di essersi appropriato della rivoluzione al solo scopo di arricchirsi.

Il conflitto di memorie: un presagio di cambiamento?

Un problema ricorrente tra i pasdaran è il bisogno di contrastare la narrazione del tradimento della rivoluzione del 1979. Un tradimento risalente al loro “passaggio agli affari” all’indomani della guerra Iran-Iraq del 1980-1988, facendosi promotori di una serie di semi-privatizzazioni a vantaggio di fondazioni e società ombrello controllate dalla Guida suprema e dai gerarchi del Corpo. Questa transizione ha prodotto un’ondata di memorie di veterani del Corpo a partire dal 2010. Avviata dallo stato maggiore, tali memorie costituiscono una reazione a una serie di problematiche interconnesse: il Green Movement del 2009, visto come un altro tentativo di “rivoluzione colorata” appoggiata dall’Occidente4; i processi per corruzione che coinvolgono le guardie; il costo della “difesa dei Luoghi santi” in Siria, dal 2012 in poi, contro lo Stato Islamico e altri nemici di Bashar al-Asad.

Questa letteratura illumina, retrospettivamente, il modo in cui, sin dalla primavera 1979, il Corpo delle guardie della rivoluzione si è costruito nell’ignoranza del concetto di legalità, quand’anche “islamica”, e sulla pratica generalizzata del furto. Come il furto degli archivi di numerose istituzioni del periodo monarchico: appropriazioni illecite per permettere al Corpo di avere la meglio sui rappresentanti del potere civile, i cosiddetti “governamentalisti” (dowlatiha). Ciò offrirà loro una conoscenza unica del substrato politico di quel periodo, oltre che dei primi “fascicoli” relativi a una vasta rete di protagonisti e circuiti. La pratica del furto si generalizzerà nel corso dei decenni successivi, il che spiega in parte la longevità di alcuni individui nei loro incarichi, se non addirittura la loro impunità.

Altra forma di appropriazione: le confische dei beni dei “controrivoluzionari”. Confische che assumono, nei mesi e negli anni successivi alla rivoluzione, un carattere così di massa che alcuni religiosi della cerchia di Khomeyni, preoccupati di difendere il diritto di proprietà, cercano di mitigare il fervore dei miliziani. Queste confische, sommate alle valigie piene di banconote provenienti da Qom e alle dotazioni delle moschee, sono all’origine di numerosi arricchimenti personali e offrono al Corpo delle guardie un’indipendenza indiscussa. Il lento processo di burocratizzazione, avviato nel 1982 e mai concluso, quindi, a partire dal 1989, il maggiore controllo esercitato dalla Guida Khamenei sul loro stato maggiore non riusciranno a porre fine a questo gusto dell’illegalità così diffuso in una milizia che continua pur tuttavia a percepirsi come rivoluzionaria.

Avvezzi ad aggirare le sanzioni internazionali sin dalla presa di ostaggi all’ambasciata americana di Teheran nel novembre 1979, e durante gli otto anni di guerra con l’Iraq, i pasdaran hanno sviluppato grandi abilità in materia di traffici e riciclaggio di denaro, unitamente a un’eccezionale strategia personale. Così, lungo le ex frontiere imperiali del paese, concepite come degli spalti per proiettare la loro potenza, il contrabbando è gestito da tribù clienti transfrontaliere, indifferentemente sunnite o sciite, secondo un metodo di indirect rule che ricorda quello in vigore nella Persia dei Safavidi, e poi dei Qajar, fino all’inizio del XX secolo.

D’altra parte, la memorialistica del decennio appena trascorso mette in risalto l’influenza che uno specifico sistema di reclutamento ha avuto sull’ideologia e sul modus operandi di questo corpo militare. Tra i pasdaran si svolge infatti tutta la propria carriera in un’unità insediata nel proprio luogo, regione o, a volte, gruppo etnico di origine. Questa unità incorpora via via uomini di diversa provenienza, ma pur sempre legati a un nucleo di ufficiali appartenenti al gruppo inziale. Dopo essersi ritirati dal servizio attivo, molti ufficiali continuano ad agire come reclutatori, soprattutto nei basij – l’organo di mobilitazione (dei diseredati) ‒ usati nelle ondate d’assalto durante la guerra contro l’Iraq prima di essere incaricati, a partire dal 1989, del controllo sociale delle popolazioni all’interno del paese. Parallelamente, si vedono ex colonnelli e generali del Corpo delle guardie agire come notabili al servizio della propria comunità, ora attraverso la filantropia (a capo di circoli sportivi, club di arti marziali e associazioni culturali) ora attraverso… gli affari. Sfruttando questo status di intermediari tra popolazioni locali e potere centrale, talvolta addirittura con un incarico permanente nelle commissioni (hey’at) ministeriali addette alla ripartizione di importanti commesse pubbliche, alcuni si costruiscono delle carriere parallele come imprenditori (soprattutto nel vasto complesso militare-industriale) e come deputati al Parlamento – prima di imbattersi, a volte, nella potenza di lobby rivali e terminare la loro carriera con un processo per corruzione.

La riaffermazione di un potere religioso stremato

Questo status di notabili risultante dal sistema di reclutamento e dal particolare modo di far carriera nel Corpo delle guardie ha contribuito a trasformare molti pasdaran in figure omologhe per non dire rivali dei grandi imam locali o regionali. Questi incontri ravvicinati sul territorio hanno alimentato, sin dal 2009, l’ipotesi di una sostituzione delle guardie della rivoluzione al potere religioso. Tuttavia, dopo la successione e le riorganizzazioni operate tra il 2019 e il 2021, le cose sono cambiate perché gli uomini giunti al potere durante quegli anni traggono la propria reputazione e posizione sociale solo ed esclusivamente dal fatto di essere stati nominati dalla Guida suprema. Paragonati a volte ai commissari politici dell’Armata Rossa, i legati della Guida, onnipresenti nel Corpo delle guardie rivoluzionarie così come nell’universo delle fondazioni, hanno reintrodotto dei criteri ideologici nel processo di reclutamento grazie all’aiuto dell’intelligence dei pasdaran, facendo del potere religioso e del Corpo “i due volti di una stessa figura, come quella di Giano bifronte nella mitologia romana”5. Questo, almeno, in linea di principio.

Difatti, all’approssimarsi della fine del regno di Ali Khamenei (84 anni ad aprile 2022), le spaccature si moltiplicano. Al tempo dei social la cui leadership è giovane e donna, le divisioni più attive sono diventate generazionali, sovrapponendosi alle faziosità preesistenti. Percependo la minaccia di una rottura tra il regime e la popolazione, alcuni pasdaran della vecchia generazione si sono dichiarati “riserve” della Repubblica islamica, ricevendo talvolta sostegno morale dal basso, soprattutto dall’esercito e dalla polizia, al cui interno alcune unità storcono il naso dinanzi al loro coinvolgimento nella contro-insurrezione.

All’inizio del 2022, lo stato maggiore del Corpo delle guardie era pronto a designare i suoi più illustri predecessori come i responsabili della crisi, preoccupato com’era di preservare uno status quo sinonimo di controllo sulla società e, soprattutto, sull’economia.

Non è detto, tuttavia, che questa avventurosa caccia alle streghe ‒ di cui Ali Shamkhani era allora un bersaglio ‒ basti stavolta a perpetuare il regime. Paradossalmente, pare che a poterlo fare sia solo la dissoluzione generale dell’autorità, almeno per un po’, nel contesto di un’insurrezione divenuta ormai ricorrente.

1[https://www.europarl.europa.eu/news/fr/press-room/20230113IPR66652/le-parlement-appelle-a-davantage-de-sanctions-contre-le-regime-iranien. “Il Parlamento chiede maggiori sanzioni contro il regime iraniano”, Parlamento europeo, 18 gennaio 2022.

2Michael Axworthy, Revolutionary Iran. A History of the Islamic Republic, London et al., Penguin Books, 2014 (1a ed. 2013) ; p. 164.

3Stéphane A. Dudoignon, Les Gardiens de la République islamique d’Iran : sociologie politique d’une milice d’État, CNRS Éditions, 2022.

4Come in Georgia nel 2003, in Ucraina nel 2004, nel Kirghizistan e in Libano nel 2005.

5Might the Islamic revolutionary guard corps use the Iranian protest to supplant the ruling clerical establishment?, Carnegie Middle East Center, 19 gennaio 2023. https://carnegie-mec.org/diwan/88814