Cultura

Libano. A Tripoli è tornata la magia del cinema

Mentre il Libano affronta una crisi senza precedenti, i fautori di un ritorno all’epoca d’oro dell’industria cinematografica si stanno mobilitando per far rivivere la settima arte a Tripoli, la seconda città del paese. L’Empire, un grande cinema storico nel cuore della città, è stato restaurato per la gioia degli spettatori.

Interno del cinema Empire durante i lavori di ristrutturazione

Al centro di piazza Al-Tal a Tripoli, dominata dalla Torre dell’Orologio donata dal sultano ottomano Abdul Hamid II all’inizio del XX secolo, si trova uno dei cinema più belli della città. Costruito all’inizio degli anni ‘30, l’Empire, uno dei luoghi simbolo della settima arte della città del nord del Libano, è stato completamente ristrutturato. Nel foyer, stanno dando un’ultima mano di pittura. Il rumore di un generatore risuona nella sala dalla capienza di oltre 780 spettatori. Oggi il cinema Empire è affidato a una decina di attori provenienti da ogni parte del Libano. Dietro questo progetto unico, c’è Kassem Istanbouli, attore, regista e fondatore dell’associazione Tyro. Oltre a tutelare un patrimonio culturale, il fattore trainante della loro iniziativa è l’idea di rendere l’arte cinematografica accessibile al maggior numero possibile di persone.

“In questi ultimi anni, la vita culturale si è concentrata intorno a Beirut, marginalizzando le altre città vicine. Questo ha dato l’impressione che l’arte sia riservata solo ad alcune categorie di persone”, spiega Istanbouli. “Per me, l’importanza di questo progetto sta nel creare ponti tra il nord e il sud del paese, abbattendo le barriere tra le diverse comunità e classi sociali”.

Due o tre volte a settimana

Beirut non ha sempre avuto il monopolio della settima arte. Tra la fine degli anni ‘50 e l’inizio degli anni ‘60, l’industria cinematografica ha raggiunto il suo massimo splendore in Libano, e Tripoli ha dato un grande contributo alla sua diffusione. Per le strade della città, c’erano locandine dai mille colori che abbellivano i muri, attirando ogni giorno centinaia di spettatori.

Piazza Al-Tal è il luogo dove la gente si ritrova nei tanti caffè della zona. Le locandine di film quali Un beduino a Parigi (1963) diretto da Mohamed Salman fino a Il piccolo sconosciuto (1962) di George Nasser passando per l’adattamento di Le ali spezzate (1962) di Youssef Maalouf restano impresse nella mente di Émile Chahine, professore di cinema in varie università libanesi e proprietario dell’edificio dove si trova il cinema Empire. Con un po’ di nostalgia, ricorda un’epoca in cui la settima arte scandiva la vita di molti tripolini. “Ogni volta che avevamo un po’ tempo, io e i miei amici andavamo a vedere dei film. Andare al cinema era una delle poche attività della città. I miei amici ci andavano di solito due o tre volte a settimana. Personalmente, ci andavo quasi tutti i giorni perché per me era molto facile raggiungere il cinema Empire o Donia”, ricorda Chahine.

Oltre a Fairuz, «l’ambasciatrice del Libano presso le stelle», o alla diva Sabah, è Georges Nasser, il precursore del cinema tripolino, ad aver lasciato un’impronta indelebile sulla città. Il suo film più innovativo è Ila Ayn (Verso l’Ignoto), un melodramma ispirato al neorealismo italiano che racconta l’emigrazione di un libanese in Brasile (allora considerato un sorta di Eldorado). Georges Nasser ha rotto gli schemi del cinema libanese con figure femminili dal carattere forte e dalla mentalità aperta, e Ila Ayn è stato il primo film libanese selezionato al Festival di Cannes nel 1957.

Western, kung-fu e film erotici

Nel secolo scorso, Tripoli poteva vantava non meno di 41 sale con più di 10.000 posti disponibili, secondo le stime di Nathalie Rosa Bucher, ricercatrice e curatrice della mostra TripoliScope che collabora con UMAM Documentation & Research1, un’organizzazione culturale no-profit fondata da Lokman Slim e Monika Borgmann. Il lungo lavoro di ricerca di Nathalie Bucher e il sostegno di UMAM hanno così permesso di salvare gli archivi della Société Commerciale Cinémathographique2 che il grande pubblico può apprezzare all’interno della mostra TripoliScope nella città di Chekka. Luoghi di intrattenimento, cultura e incontri, gli stabilimenti proiettano film arabi, europei, americani e indiani.

È Bucher a spiegare che:

“Nell’ambito del mio lavoro di ricerca, ho riscontrato un gran numero di ricevute per le spese di manutenzione dei cinema, vale a dire la pulizia delle sale, la riparazione delle infrastrutture e il pagamento dei dipendenti. Il cinema faceva lavorare molte persone, tra cui artigiani, tipografi, cartellonisti e tanti altri. A quel tempo, chi si buttava nel cinema lo faceva per un guadagno economico. Basta osservare in particolare il numero di film che venivano proiettati”.

Con la costruzione di un oleodotto ad opera della Iraq Petroleum Company che passava attraverso la Siria e il Libano, e lo sviluppo dell’industria tessile, Tripoli era una città molto cosmopolita. Inglesi, francesi e italiani si mescolavano alla popolazione locale. Acquistando film in pellicola da Beirut, dove c’erano diversi grandi distributori internazionali, come la Columbia Pictures o la 20th Century Fox, ogni cinema aveva la propria impronta. “Le bobine dei film viaggiavano da una città all’altra, mentre le persone che leggevano le riviste specializzate aspettavano con ansia l’occasione di vedere i film che avevano riscontri positivi”, ricorda Chahine. Le sale proiettavano una moltitudine di film: dagli “spaghetti western” ai film di arti marziali, fino alle commedie romantiche e persino ai film erotici, oltre alle produzioni libanesi. “Negli anni ‘60, il Libano è passato dalla produzione di 2-3 film all’anno ai 7-12. Sono dati importanti se si confrontano con le dimensioni del paese e della sua popolazione”, afferma Nathalie Bucher.

Anche se non ci siano dati precisi per quanto riguarda la città di Tripoli, dagli archivi risulta che, durante l’epoca d’oro del cinema libanese negli anni ‘60, venivano venduti 32 milioni di biglietti all’anno per un fatturato di oltre 24 milioni di lire libanesi3. Un profitto che rappresentava da solo i due terzi del mercato egiziano per una popolazione dieci volte inferiore.

Una sinergia tra la popolazione e i film

La passione per il cinema a Tripoli si spiega con le poche occasioni di intrattenimento alternativo disponibili in città. Seguendo l’esempio del teatro Inja, costruito sotto l’impero ottomano nel 1885, che ha ospitato le più grandi celebrità del mondo arabo come la diva Oum Kalthoum o il cantante egiziano Mohamed Abdel Wahab, i primi teatri si sono progressivamente adattati alla proiezione dei film. Durante lo stesso periodo, gli hakawati, i cantori di leggende e favole che, al ritmo delle loro storie, radunavano i fan per le strade e vicino ai caffè, lasciavano il posto alle star del cinema.

All’interno del suo videonoleggio, che ha sostituito il cinema Lido, Mohamad Sibai racconta le mirabolanti avventure dei suoi attori americani e italiani preferiti, da Kirk Douglas a Gina Lollobrigida. “Ogni giorno, piazza Al-Tal era gremita di gente; quasi 5.000 persone si radunavano lì dalle 17 alle 18 fino a quando non riuscivano a entrare in uno dei cinema. La domenica non riuscivi a trovare nemmeno un posto”, afferma.

Negli anni ‘30 e ‘40, le grandi insegne luminose Colorado, Palace, l’Opéra o anche Rio si stabilirono in piazza Al-Tal e in viale Fouad Chehab. Con diversi settori e fasce di prezzo. Mentre i vari Métropole, Colorado e Palace erano cinema esclusivi di prima classe, altri si accontentavano di replicare dei film che erano già stati proiettati. Va fatta anche una distinzione tra i posti meno cari della “platea” e quelli in balconata dove solo una certa categoria di persone potevano permettersi un posto a sedere.

Da quel momento, nella città di Tripoli c’è stata una sinergia quasi perfetta tra la circolazione dei film e la loro influenza sulla popolazione. Bucher:

“Certi film hanno lasciato un segno nel pubblico: il mio amico Riad Chaaban andò dal barbiere per farsi tagliare i capelli alla James Dean, un’impresa ardua visto che aveva dei capelli molto sottili. Le donne di Tripoli, invece, andavano dalle sarte per farsi fare gli stessi vestiti che indossavano sul grande schermo Faten Hamama4 o Marylin Monroe. Certe sarte sapevano addirittura in anticipo la programmazione per avere della stoffa pronta in modo realizzare gli abiti richiesti dalle fan del cinema”.

La battuta d’arresto della guerra civile

La geopolitica della regione e i progressi tecnologici digitali hanno posto fine alla diffusione del cinema tripolino. Con la guerra civile libanese (1975-1990) è diventato molto più complicato far circolare i film in Libano. Inoltre, dopo i tanti attentati che hanno segnato quel periodo, andare al cinema era diventato molto più pericoloso. “Molte persone hanno cominciato ad avere paura del cinema piuttosto che vederlo come una forma di intrattenimento. Per di più, come in qualunque altro luogo, si è affermata la televisione oltre alle VHS. Sono state soprattutto le milizie che hanno continuato a frequentare i cinema per vedere film d’azione o film erotici”, commenta Nathalie Bucher.

Contemporaneamente, l’occupazione dell’esercito siriano con i numerosi sequestri, oltre all’avvento del Movimento d’Unità Islamica Harakat Al-Tawhid (1982-1985)5 a Tripoli hanno accelerato il declino della cultura cinematografica. Distrutti, rimpiazzati da palestre, negozi di telefonia o trasformati in abitazioni, oggi resta solo lo scheletro di quegli edifici che un tempo ospitavano migliaia di persone.

Anche se la generazione che è cresciuta con la settima arte è ancora viva, i tentativi di rilanciare l’industria cinematografica non hanno funzionato. Ma non tutto è perduto. “Molti attori e registi famosi vengono da Tripoli. C’è un’intera generazione di tripolini che aspetta che gli venga data l’opportunità di far valere il proprio talento, dice Istanbouli. È proprio per questa ragione che dobbiamo far rivivere questa cultura, e fare della città un centro culturale importante come Beirut”. La riapertura del cinema Empire il prossimo 28 agosto 2022, che coincide con la prima sessione del Festival Internazionale del Teatro di Tripoli dove si terranno rappresentazioni teatrali e laboratori di formazione, è il simbolo di questa voglia di rinascita. Rientrano in quest’ottica in Cinemascope, gli itinerari organizzati da Nathalie Rose Bucher in collaborazione con UMAM, e l’acceso online della mostra TripoliScope che punta a risvegliare la memoria collettiva dei cinema di Tripoli e a condividere archivi e ricerche.

3Georges Sadoul, The Cinema in the Arab Countries. Una raccolta preparata per l’UNESCO dal Centro interarabo per il cinema e la televisione, Beirut, 1966

4Faten Hamama (1931-2015) è stata un’attrice e produttrice cinematografica egiziana. Considerata una leggenda del cinema egiziano e di quello arabo, fu soprannominata “la signora del cinema arabo”. La sua storia d’amore con Omar Sharif è ricordata come il connubio artistico e sentimentale più romantico del cinema arabo. Ndt

5Raphaël Lefèvre, Jihad in the City: Militant Islam and Contentious Politics in Tripoli, Cambridge University Press, 2021.