COPPA DEL MONDO FIFA 2022

Mondiali di calcio, è il momento della Palestina

La squadra marocchina ha sventolato la bandiera palestinese in campo e negli spogliatoi dopo la storica vittoria sulla Spagna e la sua prima qualificazione ai quarti di finale. I messaggi di solidarietà al popolo palestinese che vengono da ogni parte rappresentano una delle lezioni della Coppa del Mondo del Qatar.

Education City Stadium di Al-Rayyan, 6 dicembre 2022. La squadra marocchina vittoriosa contro la Spagna posa con la bandiera palestinese.
Glyn Kirk/AFP

Lunedì 28 novembre 2022, durante la partita del primo turno dei Mondiali di calcio tra Portogallo e Uruguay, un giovane, spuntato dagli spalti, ha attraversato il campo di corsa per una trentina di secondi davanti ai giocatori prima di essere fermato e allontanato dagli steward del Lusail Stadium, quindici chilometri a nord di Doha, la capitale del Qatar. Ma, dal momento che la FIFA ha vietato di mostrare i filmati delle invasioni degli streakers (persone che fanno irruzione in campo durante le partite), gli spettatori che seguivano la partita in mondovisione hanno visto poco o nulla dei messaggi lanciati da Mario Ferri, un habitué di questo genere di invasioni dal 2009. La sera stessa, però, le agenzie di stampa hanno mostrato in dettaglio le immagini della sua corsa sfrenata. Per prima cosa, era visibile la bandiera dai colori arcobaleno con la scritta “pace” per esprimere solidarietà al mondo LGBTQ+ e il desiderio di pace nel mondo. Poi, sulla sua maglietta blu di Superman, c’erano due messaggi di solidarietà, uno rivolto alle donne iraniane, l’altro all’Ucraina. Ferri, a cui è stato vietato l’accesso agli stadi per il resto della competizione, ha spiegato a diversi media di voler protestare contro la censura imposta dalle autorità del Qatar e dalla FIFA in merito a tali questioni.

Se “Il Falco” (soprannome di Ferri) ha ricevuto una buona copertura mediatica per il suo gesto coraggioso, così non è stato per un altro streaker che ha scelto la partita Tunisia-Francia per compiere notevoli acrobazie sul campo dell’Education City Stadium di Al-Rayyan. Tra gli applausi di gran parte del pubblico che tifava Tunisia e intonava “Falastin! Falastin!”, l’uomo ha sventolato una bandiera palestinese durante la sua corsa e diversi giocatori tunisini hanno persino cercato di intervenire in suo favore quando gli steward l’hanno scortato senza tante cerimonie fuori dal campo. Non si conosce però il suo nome, né qualche grande media occidentale ha cercato di intervistarlo... Pochi giorni dopo, il giocatore marocchino Jawad El-Yamiq ha festeggiato la vittoria della sua squadra sul Canada e la qualificazione agli ottavi di finale con una bandiera palestinese sventolata davanti ai fotoreporter, ma solo poche testate e siti web arabi ne hanno mostrato le immagini. Ed è la stessa bandiera che la squadra marocchina ha sventolato prima in campo e poi negli spogliatoi dopo la vittoria ai rigori contro la Spagna e la storica qualificazione ai quarti di finale.

È dall’inizio della Coppa del Mondo che alla questione palestinese viene attribuita una grande importanza. Non c’è stato incontro dove kefiah e bandiere palestinesi non siano state sventolate sugli spalti in segno di solidarietà. È quello che succede spesso quando ci sono tifosi di squadre arabe o africane qualificate (Marocco, Tunisia, Arabia Saudita, Qatar, Senegal), anche se il fenomeno ormai interessa anche altre nazionalità. Come nel caso dei tifosi argentini che hanno sventolato la bandiera col triangolo rosso durante l’ottavo di finale giocato tra l’“Albiceleste” e l’Australia. Messaggi di solidarietà che si concentrano nei pressi degli stadi, in metropolitana o lungo la passeggiata della corniche nella baia di Doha.

Le delusioni degli inviati speciali israeliani

Contestualmente, gli inviati speciali israeliani stanno collezionando una sfilza di delusioni. Uno di loro, alla domanda rivolta ai tifosi inglesi se “il calcio tornerà a casa” (come a dire: “l’Inghilterra vincerà il trofeo?”) li ha visti annuire divertiti, prima che qualcuno afferrasse il microfono per gridare “Palestina libera!”. Uno dei suoi colleghi, invece, ha sbagliato di grosso quando ha cercato di intervistare dei tifosi marocchini, e una sua frase “but we have peace, now” (“ma abbiamo la pace, ora” [tra i nostri paesi]), pronunciata per convincerli a non mostrarsi scontrosi, ha provocato commenti ostili e slogan filo-palestinesi. Le immagini di questi battibecchi girano continuamente sui social, dando ancora più risalto al fenomeno. Come nel caso di un video in cui un cittadino saudita, sentendosi “a casa” in Qatar, spiega seccamente al giornalista israeliano Moav Vardi di Kan TV che “c’è solo la Palestina, non esiste Israele” prima di concludere: “Non sei il benvenuto qui”. “I Mondiali dell’odio”, ha titolato il principale quotidiano israeliano Yediot Aharonoth, falsamente stupito da una simile reazione di condanna dopo la politica di repressione dei palestinesi.

A quanto ci risulta, il quartier generale della FIFA è infastidito da questo eccesso di entusiasmo. All’inizio del torneo, l’organizzazione ha invitato chiaramente le squadre a evitare questioni politiche e a concentrarsi sul calcio. Un invito riguardante in particolare i temi legati ai diritti umani o la condizione dei lavoratori stranieri, ma ora gli organismi internazionali sono preoccupati anche dalla questione palestinese che irrompe negli stadi, malgrado la Palestina non sia qualificata. Anche se è stata ribadita, senza troppo clamore, la direttiva ai giocatori di evitare di trasformare le conferenze stampa prepartita o postpartita in dichiarazioni filo-palestinesi, gli organi di rappresentanza del calcio mondiale devono comunque fare i conti con le autorità del Qatar, intenzionate a lasciare libera espressione al movimento di solidarietà. Per questo motivo, bandiere, braccialetti, cappellini e adesivi con i colori della Palestina non vengono sequestrati all’ingresso degli stadi, come accade, ad esempio, in molti stadi europei.

Anche la Tv nazionale del Qatar e il canale Al-Jazeera di proprietà dell’Emirato insistono su questo improvviso entusiasmo, dando risalto a folle di tifosi che cantano il loro amore per la Palestina nel quartiere commerciale di Souk Waqif a Doha. Per la monarchia del Qatar, si tratta di una chiara volontà di prendere le distanze dai suoi vicini (Emirati Arabi Uniti e Bahrein) che hanno firmato gli accordi di Abramo con Israele, o anche dall’Arabia Saudita che moltiplica i contatti più o meno ufficiosi con Tel Aviv. Allo stesso tempo, Doha continua a ribadire che l’atteso arrivo di 20.000 israeliani sul suo suolo per la competizione (il numero effettivo è di gran lunga inferiore) era un’espressa richiesta della FIFA. La Federazione non esprime però obiezioni sul fatto che, nonostante gli impegni presi, il governo israeliano abbia permesso a pochissimi palestinesi di recarsi in Qatar. Da parte loro, le autorità israeliane hanno raccomandato “discrezione” ai loro cittadini, pur riconoscendo che il loro servizio consolare temporaneo a Doha – l’ufficio chiuderà alla fine del torneo – non abbia ricevuto alcuna denuncia su possibili maltrattamenti.

Un causa comune per il mondo arabo

Non c’era bisogno di attendere questa Coppa del Mondo per assistere a cori di sostegno a favore della Palestina negli stadi. Già un anno fa, in Qatar, la Coppa delle Nazioni Arabe era stata l’occasione per veder nascere diverse manifestazioni di solidarietà con bandiere e slogan, anche durante la finale tra Algeria e Tunisia (la squadra palestinese era arrivata ultima nel suo girone, nonostante il sostegno di tutto il pubblico ad ogni incontro). Dal 1980, nei tre paesi del Maghreb, c’è sempre stato un momento in cui i gruppi di tifosi smettono di lanciarsi insulti a vicenda per cantare insieme il loro sostegno alla causa palestinese, e uno degli slogan più frequenti è “Falastin, shuhada’!” (“Palestina [terra di] martiri”). Questi slogan sono anche un modo indiretto per contestare le autorità che, bistrattando le loro stesse popolazioni, sono considerate alla stregua degli israeliani che infliggono violenze e umiliazioni ai palestinesi.

Sotto questo aspetto, gli “ultras” del Raja Casablanca sono i più attivi, perché non esitano a condannare il proprio paese per aver firmato gli Accordi di Abramo, arrivando a sfidare i leader arabi per la loro mancanza di coraggio e la loro sollecitudine a normalizzare i rapporti con Israele a spese dei palestinesi. Ci sono occasioni in cui la Palestina permette persino convergenze inaspettate e accolte con favore. La sera della vittoria dei Leoni dell’Atlante sul Canada, i giovani algerini si sono riuniti lungo le rive recintate del fiume Oued Kiss, il confine naturale del loro paese con il Marocco. Mentre, di solito, questo genere di faccia a faccia è un’occasione per inveire l’uno contro l’altro scambiandosi insulti; questa volta sono stati gli algerini a congratularsi per la qualificazione del Marocco ricevendo in risposta dei ringraziamenti. Alla fine, dopo i reciproci scambi di cortesie, i due gruppi hanno finito per intonare insieme dei cori per la Palestina. Con o senza Accordi di Abramo, la causa palestinese continua a riunire i popoli arabi.