Siria. E se le minoranze rinunciassero alla “rivincita storica”?

Dall’8 dicembre 2024, giorno della caduta del regime di Bashar al-Assad, la questione dell’unità nazionale ha suscitato numerosi dibattiti in Siria e all’estero, da una parte per denunciare una minaccia provocata dalle tentazioni autonomiste delle minoranze, dall’altra per mettere in guardia contro il pericolo incombente. I massacri perpetrati prima nella regione alawita, poi sulle montagne dei Drusi e l’attentato del 22 giugno contro una chiesa di Damasco continuano ad alimentare polemiche.

Una grande folla con una bandiera siriana al centro.
Damasco, 13 dicembre 2024. Una foto aerea mostra una folla di siriani che sventolano una gigantesca bandiera dell’indipendenza utilizzata dall’opposizione sin dall’inizio della rivolta nel 2011, mentre festeggiano la caduta del regime autoritario di Bashar al-Assad nella piazza centrale degli Omayyadi.
Omar HAJ KADOUR / AFP

Per comprendere cosa sta avvenendo in Siria riguardo alla questione delle minoranze, occorre risalire almeno al XIX secolo. Fino ad allora, negli imperi musulmani, i cristiani e gli ebrei “protetti” aveva goduto di una forma di riconoscimento sconosciuta per le comunità cosiddette dissidenti dell’Islam, nate in gran parte dall’ondata di secessioni sciite iniziata nel VII secolo. All’epoca, le comunità venivano definite esclusivamente dal loro status. I musulmani sunniti, che costituivano la maggioranza nell’impero, sentivano invece una certa vicinanza al potere centrale. Il concetto di uguaglianza non esisteva ancora.

Nel XIX secolo, la situazione cambia quando l’Impero ottomano decreta due serie di riforme “moderniste” (1839, 1856), proclamando l’uguaglianza di tutti i sudditi del Sultano-Califfo. Allo stesso tempo, sotto l’influenza europea, l’idea nazionale e la valorizzazione della modernità militare, amministrativa e politica aprono alle minoranze confessionali ed etniche (curdi, armeni) la possibilità di costituirsi in comunità nazionali per rivendicare il proprio Stato. Il lungo XIX secolo si conclude con la fine della Grande Guerra e la caduta dell’Impero ottomano nel 1922.

Carte historique des territoires du Moyen-Orient et d'Afrique du Nord, annotée avec des zones d'influence.

Il fallimento delle rivolte contro la Francia

Dopo l’ingresso delle truppe francesi a Damasco nel luglio 1920, l’amministrazione coloniale di Parigi delimita i confini: informato delle rivendicazioni autonomistiche o nazionali delle minoranze religiose, il governo francese si impegna a frammentare la Siria secondo linee comunitarie: creazione del Grande Libano, creazione dello Stato alawita e del Governo dei Drusi, e attribuzione di uno status particolare al Sangiaccato di Alessandretta1.

Il fallimento delle rivolte antifrancesi (1919-1927) porta i nazionalisti arabi siriani a rivendicare l’unità e l’indipendenza sulla scena politica. Nel 1936, viene concesso il principio dell’unità del territorio siriano. In entrambe le comunità, drusa e alawita, quando la Francia annuncia il ritorno di queste due entità all’“unità siriana”, i capi religiosi e civili tradizionali si pronunciano a favore del mantenimento del loro status separato. Alcuni notabili alawiti chiedono addirittura la loro annessione alla Francia o al Libano. Tra gli alawiti, come in altre comunità minoritarie, imsostenitori dell’annessione a Damasco provengono in maggioranza dalle nuove generazioni istruite, soprattutto dai liberi professionisti. Dietro le inevitabili rivalità per i posti di lavoro nello Stato, si afferma una visione del mondo diversa, altri orizzonti intellettuali e politici portati avanti da queste giovani generazioni nazionaliste.

Carte géographique représentant des routes et des régions au Moyen-Orient, avec des légendes.
Mappa della Siria e del Libano del 1926 / B.T Ufficio Topografico dell’A.F.L. Esercito francese del Levante (cliccare per ingrandire).
Divisioni politiche e amministrative dello Stato del Grande Libano, dello Stato del Jabal Druze (provincia autonoma) e dello Stato degli Alawiti
Bibliothèque nationale de France, département Cartes et plans, GE D-27494

Nel 1946, l’ultimo soldato francese lascia il territorio siriano. Nella vita politica dopo l’indipendenza e sulla scia delle correnti panarabiste e panislamiste in pieno sviluppo, le “unità” concorrenti – unità araba, unità gran-siriana, unità nazionale siriana – finiscono progressivamente per intrecciarsi, se non addirittura sovrapporsi per definire una Siria araba siriana, sempre dentro i confini del 1946.

Il richiamo del nazionalismo arabo

L’arrivo di Gamal Abdel Nasser, eroe della guerra di Suez (1956) e fautore del nazionalismo arabo, spinge la Siria nelle braccia dell’Egitto al tempo della Repubblica Araba Unita (1958-1961). Quale altro paese, oltre alla Siria, avrebbe rinunciato alla propria sovranità in nome di un’aspirazione unitaria araba diventata ormai un dato di fatto della sua cultura politica?

Dopo il controllo del Paese, il regime di Bashar al-Assad (1971-2024) infligge, in nome della nazione araba, i colpi più duri all’unità della società, facendo leva sulle differenze confessionali. Tuttavia, quando nel marzo 2011 scoppia la rivolta (thawra), i manifestanti pacifici invocano l’unità della società e del Paese quasi a scongiurare il destino funesto che il regime ha in serbo per loro.

Allora qual è il motivo per cui, quattordici anni dopo, drusi, alawiti, ma anche curdi e cristiani nutrono diffidenza nei confronti dei liberatori del Paese che cercano di riunire ciò che la dittatura ha frammentato? Per capirlo, è necessario comprendere la profondità storica di questo “passato che non passa” tra le minoranze. La comunità drusa, il cui sostegno costituisce una questione cruciale, ne è un buon esempio.

La prestigiosa storia dei Drusi

La ferrea volontà dei drusi di vivere in maniera autonoma è nata sulle montagne libanesi e nel Wadi al-Taym (a sud della Bekaa), dove la comunità si era rifugiata nell’XI secolo per sfuggire alle persecuzioni. Società chiusa con dinastie che avevano governato l’emirato del Monte Libano sotto gli Ottomani (XVI-XVII secolo), i drusi hanno saputo costruire una storia prestigiosa e una reputazione di contadini-guerrieri mai smentita. Il loro rapporto con il potere centrale di Istanbul o Damasco è sempre stato di rivalità, sia per quanto riguarda il governo delle loro montagne che l’integrazione dei loro soldati nell’esercito ufficiale. Nel contesto delle lotte interne tra i clan drusi del Monte Libano, la battaglia di Ain Dara (1711) segna la sconfitta dei clan detti “yemeniti”, che vanno in esilio nel Jabal Hauran (poi Jabal al-Druze). I drusi del Jabal Hauran, fuori dall’emirato autonomo del Monte Libano, si trovano di fatto per la prima volta sotto l’autorità diretta del governatore (wali) di Damasco, responsabile della riscossione delle tasse e della coscrizione per conto di Istanbul.

È qui che la storia dei drusi di Siria prende una strada diversa da quella dei loro correligionari del Monte Libano. Mentre nel XIX secolo nel Monte Libano i drusi si erano scontrati con i maroniti, un’altra minoranza, in conflitti confessionali, i drusi di Siria si confrontano direttamente con il potere centrale ottomano, nella persona del suo rappresentante, il governatore di Damasco. Alla fine del XIX secolo, il rifiuto di fornire uomini per conflitti a cui erano estranei, costituisce uno dei motivi delle repressioni che si abbattono su di loro.

Le recenti dichiarazioni di Hamoud al-Hennawi, uno degli sceicchi Al-Aql della comunità2, si inseriscono, spesso con un simbolismo simile, nel ricordo della Grande Rivolta siriana (1925-1927) contro l’occupante francese, come garanzia di fedeltà alle lotte comuni di ieri e alle lotte del 2024 al fianco dei sunniti per la liberazione del Paese. Ma è una voce che raccoglie l’unanimità. Come la maggior parte delle comunità cosiddette minoritarie, i drusi – o almeno una buona parte – hanno avuto e hanno ancora la tentazione della protezione straniera, sia essa britannica, francese e oggi israeliana.

Nella Siria a maggioranza sunnita, i drusi del Jabal mantengono un rapporto di diffidenza con la capitale Damasco, tanto più che la provincia drusa ha approfittato dell’indebolimento del potere degli Assad per guadagnare una maggiore autonomia. Un altro sceicco al-Aql, Hikmat al-Hijri, considera il ripiegamento identitario una necessità esistenziale per la comunità: “Per noi ora si tratta di essere o non essere” (nahnu al-ân fî marhaleh an nakûn aw lâ nakûn, aprile 2025).

Ecco perché, dall’8 dicembre 2024, data in cui il potere centrale è passato nelle mani degli islamisti sunniti, la tentazione separatista è molto forte in una parte dei drusi. È vero che, dal 1936, la storia di queste minoranze è stata segnata da errori, incomprensioni e malgoverno da parte di Damasco.

Il modello dello Stato-nazione

La creazione dello Stato moderno nel 1920, sia in Libano che in Siria, doveva garantire l’uguaglianza degli uomini e delle comunità. Il modello dello Stato-nazione, importato dal mandato francese, non poteva trasformare, con un colpo di bacchetta magica, una società di comunità in una società di cittadini. Il compito era quindi contraddittorio e le minoranze credevano sempre meno in questo Stato quanto più la tutela coloniale – come oggi quella occidentale – ritornava sul discorso della loro necessaria “protezione”. Nel corso dell’età contemporanea, le comunità minoritarie siriane si sono adattate allo Stato moderno, senza mai abbandonare il ricordo dell’epoca ottomana costruito sul tema della vittimizzazione.

Alcune minoranze pensano ancora che la loro sicurezza si trovi al di fuori dello Stato centrale o che passi attraverso il loro controllo dello Stato e delle forze armate. Gli esempi recenti, degli alawiti in Siria e degli sciiti in Libano, ne sono una dimostrazione.

Il regime degli Assad (1971-2024) ha cercato di instillare nelle comunità minoritarie la paura di un Islam minaccioso, disincarnato e atemporale. In ragione dell’appartenenza degli Assad alla comunità alawita, quest’ultima è stata senza dubbio la più colpita dal sistematico processo di disumanizzazione dei sunniti. Gli alawiti formano oggi una comunità che è stata a lungo sfavorita ed emarginata, caratterizzata da una forte concentrazione in montagna che ha finito per portare il loro nome. Sebbene abbiano una composizione e una storia molto diverse, drusi e alawiti sono legati alla loro aristocrazia religiosa e sociale, la cui influenza dipende anche dal livello di autonomia della comunità, un’autonomia che il mandato francese aveva offerto alle minoranze in cambio della loro adesione al proprio operato.

Un meccanismo minoritario

A partire dal 1970, la comunità alawita è stata presa di mira dalla società sunnita per la sua vicinanza alla dittatura degli Assad e per i numerosi benefici che ne ha tratto; è stata particolarmente stigmatizzata durante la rivolta (thawra) e la guerra civile (2011-2024). In un contesto di violenta repressione del regime contro la popolazione sunnita, la maggioranza di quest’ultima ha operato un ripiegamento identitario. Un movimento che è in crescita dall’inizio degli anni ‘80, favorito dal declino del nazionalismo arabo e, tra l’altro, dai massacri commessi dal regime degli Assad nella città sunnita di Hama (1982).

Nell’autunno del 2013, il passaggio della maggior parte dei combattenti dell’Esercito Siriano Libero (ESL) sotto le bandiere dell’Islam radicale e del jihadismo è avvenuto in maniera indolore e senza rinunciare all’idea fondante dell’unità. Ma questa volta si tratta di un’unità di cui i sunniti siriani vogliono essere i promotori e i garanti nei confronti delle minoranze, di cui contestano lo status di vittime rimproverandone il silenzio di fronte ai crimini del regime. Sono i sunniti, dichiarano pubblicamente, ad essere stati vittime del potere di Damasco. È quindi normale che la liberazione avvenga alle loro condizioni, come dimostrano i primi mesi di governo di Ahmed al-Shara.

Ormai, per i sunniti, il termine “shaab” (popolo) è riferito alla loro comunità: “Bisognava liberare il nostro popolo dalle prigioni”, ha dichiarato Jamil al-Saleh, ufficiale comandante della divisione 74 di Hayat Tahrir al-Sham (HTS) nella marcia su Damasco, a Syria TV, il 27 aprile 2025. “La liberazione degli abitanti della città rappresenta la liberazione dei nostri”, ha continuato riferendosi alle città di Hama e Homs. Tuttavia, questo meccanismo identitario di tipo minoritario, lungi dal basarsi sul rifiuto dell’Altro, si fonda sulla volontà di conquistare lo Stato e controllare l’esercito per garantire la propria sicurezza. Ne è prova la campagna che ha permesso all’HTS e alle fazioni islamiste-jihadiste di prendere il potere evitando di attaccare i civili cristiani e persino i soldati dell’esercito del regime in rotta.

Riparare il tessuto sociale e nazionale

Se è vero che in un contesto regionale e interno destabilizzante la tentazione di rifugiarsi nella comunità è forte, l’urgenza di costruire il futuro di una Siria pacificata per tutti lo è ancora di più. Sotto la presidenza di Ahmad al-Shara si intravede quasi un ritorno allo Stato riformatore ottomano dei Tanzimat3 nell’esercito, nelle istituzioni, nell’istruzione, nello sviluppo economico e nelle relazioni con i capi religiosi delle comunità. Un potere monocromatico e identitario che diffida di una serie di libertà individuali. Il suo principale vantaggio è quello di avere il sostegno di una popolazione sunnita ultra-impoverita che vive nel lutto dei propri cari e nel ricordo delle umiliazioni. È una popolazione a cui la liberazione ha restituito, a loro avviso, il sogno storico dell’unità e di un proprio Stato, e che si riunisce attorno alla figura di Ahmad al-Shara. Nel momento in cui il nazionalismo arabo, avverso a tutte le realtà comunitarie e tribali, è agonizzante, l’attuale regime siriano sembra seguire la scia dei dibattiti riformisti musulmani sulla compatibilità dell’Islam con la modernità, lo stesso regime, un tempo jihadista, proclama la sua accettazione dei confini della Siria indipendente e la sua volontà di pace, è giunto il momento per le minoranze di essere all’altezza della svolta storica che sta vivendo la Siria.

Di fronte al profondo trauma collettivo sunnita e alle ferite della memoria del presente, spetta ora alle comunità minoritarie siriane invertire il loro approccio uscendo dall’eterna vendetta storica contro un impero musulmano ormai scomparso. Per le comunità è il momento di guardare in faccia il presente considerando finalmente uni Stato di diritto moderno, da ricostruire, secondo quello che rappresenta in Siria: un garante dell’uguaglianza di tutti. Spetta a loro trarre insegnamento dalla storia del XX secolo: dal 1918, le minoranze non sono vittime, ma attori della loro storia contemporanea.

In un Oriente minacciato da tante violente destabilizzazioni, l’interesse delle minoranze non risiede nella “vendetta”, ma coincide con quello dei sunniti: la difesa dell’unità nazionale instaurando un rapporto di fiducia con gli attuali governanti sunniti. È la conditio sine qua non affinché possano posizionarsi in maniera decisa sulla scena politica unendo le loro voci a quelle dei sunniti desiderosi di inventare un nuovo modo di creare una nazione, in conformità con gli slogan della thawra del 2011.

Dalla conquista francese alla caduta di Bashar al-Assad

  • 1918: dopo il ritiro degli Ottomani dalla Siria, le truppe francesi sbarcano in ottobre per occupare la costa siriano-libanese.
  • 1920: l’8 marzo, il Congresso Generale Siriano proclama l’indipendenza del Regno Arabo di Siria. Faisal I è nominato re di Siria. Il 4 luglio viene proclamata la Costituzione e il 24 luglio i francesi conquistano Damasco.
  • 1925-27: Grande rivolta siriana contro il mandato francese. È guidata dal capo druso Sultan Pascià al-Atrash, affiancato dai nazionalisti di Damasco.
  • 1936: Trattato franco-siriano che promuove l’annessione dei territori autonomi (drusi e alawiti, nonché il Sangiaccato di Alessandretta) a Damasco.
  • 1946: L’ultimo soldato francese lascia il territorio siriano. 17 aprile, festa dell’indipendenza.
  • 1949-1951: A seguito della creazione dello Stato di Israele e della guerra del 1948, tre colpi di Stato militari portano a una dittatura militare che dura fino al 1954.
  • 1958-1961: L’Egitto e la Siria si uniscono nella Repubblica Araba Unita (RAU).
  • 1970: Il generale Hafez Al-Assad prende il potere.
  • 1981: Annessione del Golan da parte di Israele.
  • 1982: Insurrezione di Hama, lanciata dai Fratelli Musulmani; repressione spietata: decine di migliaia di sunniti uccisi in tre giorni.
  • 2000: Morte di Hafez Al-Assad il 10 giugno. Gli succede il figlio Bashar al-Assad. Il regime mantiene l’opzione securitaria nel Paese.
  • 2011: Inizio a marzo di un vasto movimento di protesta contro il regime. È la thawra (rivolta/rivoluzione) laica e pacifica che viene repressa con una violenza inaudita.
  • Settembre 2013: Dopo che il regime di Assad ha superato le linee rosse tracciate dal presidente statunitense Barack Obama, il ritiro americano dal sostegno alla thawra segna l’entrata in scena dei gruppi islamisti e jihadisti sostenuti dai paesi del Golfo e dalla Turchia.
  • 8 dicembre 2024: Caduta del regime di Assad. Hayat Tahrir al-Sham (HTS) e le fazioni islamiste alleate prendono il potere sotto la guida di Ahmad al-Shara.

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1Il Sangiaccato è un’antica divisione amministrativa dell’Impero ottomano. Il Sangiaccato di Alessandretta fu ceduto dalla Francia alla Turchia nel 1938 e divenne la provincia Hatay.

2Nella comunità drusa, solo gli uomini iniziati alla dottrina hanno accesso ai testi sacri, sono garanti dell’identità religiosa del gruppo e sono considerati Saggi. Poiché nessuna famiglia deve rivendicare il monopolio della direzione spirituale della comunità, lo Sceicco Al-Aql è un’autorità religiosa quando è riconosciuto da tutti o da alcuni degli iniziati e dei non iniziati; le rivalità familiari e/o politiche possono quindi portare due o tre sceicchi di Al-Aql a coesistere.

3“Riorganizzazione” in turco ottomano. Il termine indica una serie di riforme modernizzatrici avviate nel 1839 dall’Impero ottomano.