Il ritorno nella Lega Araba del presidente siriano Bashar Al-Asad1, in attesa di una sua possibile riabilitazione da parte dei paesi occidentali che continuano grosso modo a boicottarlo, rappresenta una indiscutibile vittoria personale del ràis di Damasco e della sua famiglia che governa il paese da più di sessant’anni. Ma la sua sopravvivenza politica ha il sapore di una vittoria di Pirro e pone molti interrogativi sul futuro di uno Stato sull’orlo del fallimento.
Regni potenti e non certo meno importanti sono scomparsi dalla faccia della terra; quindi, per quale motivo non dovrebbe scomparire la Siria che ha meno di un secolo di esistenza? Cos’ha di eterno, visto che il suo nome è conosciuto fin dall’antichità? Oggi la sua geografia fisica e umana sembra però più un’illusione, un enigma, e potrebbe finire presto nel dimenticatoio della Storia se non si interviene immediatamente.
Confini cancellati, o addirittura in alcuni luoghi inesistenti, territori occupati, usurpati o violati, se non separati, popolazioni disperse (undici milioni di abitanti esiliati o rifugiati), sanzioni internazionali, leader isolati e ostracizzati, ma che resistono con il sostegno degli alleati russi e iraniani, cosa resta di questo Stato, indipendente dal 1946? Dal punto di vista sociale, economico e politico, la Siria è un paese a pezzi, martoriato.
Debito astronomico e taglio degli aiuti
La Siria sta crollando sotto il peso dell’indebitamento. Solo il debito verso l’Iran ammonta a quasi 50 miliardi di dollari (45,88 miliardi di euro), una cifra astronomica, come riporta il sito economico Syria Report il 25 maggio, che cita notizie trapelate da fonti vicine al governo iraniano2.
Oltre ai numerosi problemi in cui grava la popolazione, il 13 giugno il Programma alimentare mondiale (PAM) ha reso noto che, a causa della mancanza di fondi, sarò costretto a ridurre di circa la metà gli aiuti alimentari alla Siria. “La crisi finanziaria senza precedenti in Siria sta costringendo il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite a ridurre l’assistenza a 2,5 milioni [dagli attuali 5,5 milioni]”, secondo una nota dell’ONU.
L’appello dell’opposizione alla ripresa dei negoziati
Domenica 4 giugno, una parte dell’opposizione siriana ha chiesto a gran voce una ripresa, sotto l’egida delle Nazioni Unite, dei negoziati con il governo.
Le condizioni internazionali, regionali e siriane “forniscono una circostanza appropriata per la ripresa dei negoziati diretti... secondo un’agenda e un calendario specifici”, ha detto in una nota l’Alto Comitato per i Negoziati (HNC), che ha riunito a Riyad i principali gruppi d’opposizione in esilio.
Per anni, le opposizioni all’estero hanno cercato invano di avviare un dialogo con il governo per raggiungere una soluzione politica che comprendesse una nuova Costituzione, un nuovo esecutivo, delle elezioni e altre varie riforme. Un dialogo che non poteva far ben sperare visto che da una parte c’era un regime intransigente e dall’altra un’opposizione troppo divisa. E in mezzo, un popolo stanco, annientato, enormemente impoverito. Secondo l’ONU, sono stati quasi 6,6 milioni i siriani costretti a lasciare il loro paese dopo la rivoluzione del 2011, affrontando notevoli difficoltà oltre alla paura di non poter mai più far ritorno a casa.
La società civile accorre in aiuto
Senza una soluzione politica, qualche speranza può arrivare dalla società civile, di cui il presidente siriano parlava in questi termini: “Cos’è una società civile? Una società è per definizione civile!”. Così come si prefiggeva di creare un paese libero dai suoi “microbi”, una società “omogenea”, vale a dire libera dai “terroristi”.
Per una strana coincidenza del calendario, il 7 giugno 2023, pochi giorni dopo l’incontro a Ginevra delle opposizioni, più di 150 rappresentanti di associazioni e organizzazioni siriane hanno lanciato a Parigi una piattaforma comune col nome di Madaniya (civile), di cui fanno parte avvocati, medici, paramedici, media, ecc., indipendente dai partiti politici. La piattaforma ha come obiettivo una Siria democratica, malgrado dodici anni di guerra e centinaia di migliaia di morti e dispersi. Tutti sostengono di lavorare per far sentire la voce dei siriani, con una fase di transizione in corso. Va sottolineato però che alcuni rappresentanti di associazioni che lavorano nelle zone controllate dal regime hanno scelto di non recarsi a Parigi per paura di eventuali rappresaglie.
“L’impressione è che forse c’è il regime da una parte e un’opposizione (...) che non ha ottenuto risultati dall’altra, ma ciò significa non tener conto delle centinaia di organizzazioni che hanno fatto e continuano a fare un grande lavoro nelle zone non controllate dal regime”, ha dichiarato il 7 giugno al quotidiano francese Libération Ayman Asfari, uomo d’affari britannico di origine siriana che presiede Madaniya. La direttrice generale della nuova piattaforma è, invece, Sawsan Abu Zainedin, un’architetta esperta di sviluppo sostenibile, nonché attivista per i diritti civili.
Per spiegare il ruolo di Madaniya, Asfari fa un raffronto con i sindacati britannici, il cui operato influenza le scelte politiche del Partito Laburista nel suo paese di residenza.
“C’è stata una grande maturità da parte dei tanti partecipanti a questo forum che ha l’obiettivo di influenzare la situazione politica, (...) è stato un segnale positivo, molto emozionante”, ha detto il direttore di Syria Report Jihad Yazigi a Orient XXI.
Esistere ancora nella memoria
Senza memoria individuale e collettiva, non c’è nazione, si potrebbe aggiungere. È per questo che il sito web Creative memory of the Syrian revolution, che ha festeggiato il suo decimo anniversario il 30 maggio 2023, ha raccolto un materiale di quasi 37.000 documenti e testimonianze. Molto presente sui social e di libera consultazione, il sito è stata fondato da Sana Yazigi, siriana laureata all’Accademia di Belle Arti dell’Università di Damasco, che oggi risiede in Francia in attesa di tornare nel suo paese.
Creato in Libano, il sito è diventato noto anche in molti paesi, dove ha partecipato a molti eventi culturali e artistici, in collaborazione con vari media (radio, mostre, festival) e circoli intellettuali. “L’importanza di tutto il nostro lavoro diventerà ancora più evidente col tempo. Siamo sicuri che gli archivi saranno di cruciale importanza per le future generazioni, che vorranno informarsi e conoscere in assoluta libertà”, ha detto Sana Yazigi a Orient XXI. “Il nostro è un lavoro che mira soprattutto a raccogliere e archiviare in tre lingue (arabo, francese, inglese) – quindi per tutti i siriani sparsi nel mondo – tutte le produzioni culturali e artistiche nate dalla rivolta e prodotte da allora, in Siria e nella diaspora”. A partire dal 2014, il sito è stato arricchito con commenti in linea e storie disseminate nei vari luoghi della Siria durante il conflitto. Una cinquantina di questi racconti sono stati pubblicati in inglese nel 2017.
All’interno della società, ci sono quindi molte forze vive oltre alla volontà di far rinascere la Siria, ma perché ciò avvenga il paese e il suo popolo, compresi i futuri leader, hanno ancora molto da penare.
1La Lega Araba, che aveva espulso il regime siriano alla fine del 2011 per la repressione di una rivolta popolare, lo ha ufficialmente reintegrato il 7 maggio 2023. Bashar Al-Asad ha potuto così prendere parte al suo primo vertice della Lega Araba il 19 maggio dopo oltre un decennio.[Ndr].
2“New Estimates Put Syria’s Debt to Iran at USD 50 billion”, 23 maggio 2023.