Diplomazia

Sotto l’egida cinese, l’accordo a sorpresa tra Iran e Arabia Saudita

In politica estera, il principe ereditario saudita Mohamed bin Salman (MbS) ha sviluppato un vero talento da funambolo. Il suo ultimo numero di equilibrismo però è indubbiamente il più rischioso. Tra la sorpresa generale, l’Arabia Saudita e l’Iran, con la mediazione della Cina, hanno annunciato la ripresa dei rapporti diplomatici interrotti nel 2016.

L’accordo tra Arabia Saudita e Iran è stato raggiunto durante i colloqui svolti in Cina dai loro attuali consiglieri per la sicurezza nazionale. Con questo raro esempio di riuscita mediazione cinese nei conflitti mediorientali, Pechino si gode un importante successo diplomatico. Nel 2016, infatti, l’Arabia Saudita aveva interrotto le relazioni con l’Iran dopo aver bombardato l’ambasciata del regime di Teheran, in segno di protesta contro l’esecuzione di un importante imam sciita d’origine saudita.

Consolidamento militare del regno saudita

La ripresa delle relazioni iraniano-saudite è avvenuta malgrado i timori iraniani per un’eventuale minaccia saudita. Teheran nutre difatti preoccupazione per i massicci investimenti dell’Arabia Saudita per creare un’industria della difesa nazionale, e per la cooperazione con gli Stati Uniti per trasformare l’esercito saudita in un’efficace potenza militare. Con l’acquisto da parte di Riyad di sofisticati sistemi d’armamenti statunitensi ed europei a cui l’Iran non può accedere, la monarchia saudita ha intenzione di dotarsi di dispositivi in grado di colpire l’asse portante della strategia di difesa iraniana, vale a dire droni e missili balistici.

Negli ultimi anni, l’Arabia Saudita ha concordato con la Cina la costruzione di un impianto di produzione di droni all’interno del regno. Sarà il primo impianto di produzione cinese in un paese straniero. Mentre, alla fine di questo mese, Stati Uniti e Arabia Saudita hanno in programma di organizzare la loro prima esercitazione sperimentale contro i droni.

Le immagini satellitari degli ultimi anni fanno pensare che la monarchia saudita abbia costruito delle basi missilistiche grazie all’aiuto della tecnologia cinese.

Da parte iraniana, gli sforzi finora intrapresi nel Golfo per evitare un’escalation non hanno impedito alla Repubblica islamica di potenziare il suo arsenale militare, con la recente aggiunta di una nuova nave da guerra e 95 motoscafi lanciamissili alla sua flotta navale. Si parla anche dell’acquisto di aerei da combattimento russi Sukhoi-Su-35. Inoltre, l’esercito iraniano e il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica sono esperti e addestrati, malgrado gli svantaggi dovuti alle rigide sanzioni imposte dagli Stati Uniti.

Un gioco di sponda?

Dal punto di vista strategico, però, la riconciliazione iraniano-saudita nasce in seguito alla proposta dell’Arabia Saudita di stabilire relazioni diplomatiche ufficiali con Israele in cambio di un impegno giuridicamente vincolante degli Stati Uniti a favore della sicurezza del Golfo, di un sostegno americano a un pacifico programma nucleare saudita e di un aumento della vendita di armi statunitensi alla monarchia saudita1. Se dovesse concretizzarsi l’accordo, Teheran lo valuterebbe diretto alla Repubblica islamica.

Se l’intesa tra Iran e Arabia Saudita ha un senso è proprio quello di rafforzare la posizione di Arabia Saudita e Iran come interlocutori in grado di ridurre le tensioni nella regione. A condizione che la loro riconciliazione aiuti a porre fine alla guerra in Yemen e alle guerre per procura in altre regioni. Potrebbe anche aiutare a riaprire le trattative sul programma nucleare iraniano. Ma per farlo, i sauditi dovrebbero anche modificare la loro proposta agli Stati Uniti. Per Riyad, Israele resta un jolly, anche se l’importanza di un significativo contributo israeliano alla sicurezza nel Golfo, nel contesto delle nuove relazioni diplomatiche formali tra l’Arabia Saudita e lo Stato d’Israele, rimane poco chiara.

L’Arabia Saudita, come gli Emirati Arabi Uniti, vede di buon’occhio la guerra segreta di Israele contro l’Iran con attacchi verso obiettivi nella Repubblica islamica e in Siria. Allo stesso tempo, gli Stati del Golfo temono di essere oggetto di ritorsioni iraniane. Un impegno militare statunitense nel campo della difesa avrebbe l’effetto di fugare i timori, oltre ad incoraggiare Israele in un momento in cui la ripresa delle relazioni diplomatiche tra Arabia Saudita e Iran potrebbe alterare le dinamiche della loro rivalità.

“Risponderemo con un colpo reciproco”

Ai primi di marzo, il contrammiraglio Alireza Tangsiri, comandante della Marina Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche , ha messo in guardia i Paesi del Golfo contro ogni forma di sostegno alla guerra segreta di Israele. “Se vogliono attaccarci dal territorio di un qualsiasi paese o approfittare dello spazio aereo di un qualsivoglia paese... noi risponderemo con un colpo reciproco, deciso e forte a qualsiasi azione il nemico dovesse prendere contro di noi”, ha dichiarato Tangsiri.

I timori di ritorsioni iraniane, però, potrebbero passare in secondo piano rispetto alla negoziazione di un accordo americano-saudita-israeliano. I vantaggi di un accordo così tripartito sembrano chiari. Un tale intesa permetterebbe al principe saudita di far fronte alle esigenze più immediate in termini di difesa, ridisegnando in modo significativo la mappa geopolitica del Medio Oriente e definendo un contesto per le relazioni della monarchia saudita con gli Stati Uniti e la Cina.

Se concluso, un tale accordo sarebbe un punto fermo del nuovo ordine mondiale del XXI secolo, al principio improntato al bipolarismo e, a lungo termine, tripolare, con Stati Uniti e Cina nel ruolo di prime superpotenze, affiancate dall’India in una fase successiva, e molte medie potenze come l’Arabia Saudita, con un maggiore potere d’influenza. Ciò aprirebbe inoltre la strada al riconoscimento di Israele da parte di molti Stati a maggioranza musulmana, soprattutto in Asia. E cosa altrettanto importante, l’accordo darebbe nuova fiducia ai Paesi del Golfo sull’affidabilità degli Stati Uniti come garanti della sicurezza regionale.

Una fiducia che è stata erosa da vari fattori: l’enfasi data dagli Stati Uniti al rapporto con la Cina in quanto avversario strategico; la priorità accordata negli ultimi tempi alla guerra in Ucraina; un atteggiamento riluttante degli Stati Uniti a rispondere agli attacchi iraniani contro obiettivi sauditi ed emiratini; le divergenze sui livelli di produzione petrolifera e sui diritti umani.

Le perplessità degli Stati Uniti

Superare i numerosi ostacoli all’accordo proposto dall’Arabia Saudita comporterebbe forse un cambio di rotta, se non una svolta politica, negli Stati Uniti, in Arabia Saudita, in tutto il mondo musulmano e in Israele. Sembra quasi impossibile ottenere un sostegno bipartisan negli Stati Uniti per un accordo formale con l’Arabia Saudita, da parte di molti membri del Congresso, di ogni schieramento, che si mostrano restii verso il regno. Per rendere possibile l’impegno sia possibile, il principe saudita dovrà dimostrarsi un partner affidabile. I dubbi degli Stati Uniti sull’Arabia Saudita sono stati alimentati dalla brutale repressione di MbS del dissenso e della libertà di parola, dalla sua condotta nella guerra in Yemen e da alcune controverse azioni in politica estera, come il boicottaggio economico e diplomatico del Qatar portato avanti dai sauditi per tre anni e mezzo. “I sauditi devono dimostrare di essere partner responsabili”, ha dichiarato l’ex diplomatico statunitense e analista di spicco Martin Indyk. La monarchia saudita “non può giocare su entrambi i tavoli. Se vuole questo tipo di impegno dagli Stati Uniti, deve allinearsi con gli Stati Uniti... Se il nostro rapporto di sicurezza con l’Arabia Saudita deve essere approfondito per la volontà dei sauditi, allora ci sono alcuni obblighi da rispettare”.

In particolare, MBS potrebbe mostrare la propria affidabilità negoziando le condizioni del sostegno degli Stati Uniti al programma nucleare della monarchia. L’Arabia Saudita punta a realizzare sedici reattori nucleari. Nel febbraio 2023, sono arrivate offerte per la prima centrale. L’Arabia Saudita ha sempre sostenuto che il suo programma è destinato a scopi pacifici e che la monarchia è impegnata a porre le sue future strutture sotto la supervisione dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA). Tuttavia, mentre l’Iran sarà in grado a breve di produrre armi nucleari, l’Arabia Saudita sta cercando di acquisire le competenze e gli elementi tecnologici necessari per essere alla pari con l’Iran se quest’ultimo dovesse oltrepassare la soglia di produzione di armi nucleari. I leader sauditi hanno avvertito che l’Arabia Saudita svilupperà le sue competenze se l’Iran dovesse diventare una potenza nucleare.

Ambizioni nucleari

L’Arabia Saudita ha smentito le voci sulla costruzione di un impianto di estrazione di yellow cake2 con l’aiuto della Cina, che, da parte sua, possiede importanti giacimenti di uranio. Gli Stati Uniti hanno intenzione di fermarlo convincendo la monarchia saudita ad accettare le garanzie richieste dalla legge statunitense, che i sauditi finora hanno sempre respinto. Garanzie che costringerebbero l’Arabia Saudita a rinunciare alla produzione di combustibile nucleare, anche avendo la possibilità di acquistarlo a prezzi più convenienti in un altro Paese. La legge americana sulla politica energetica stabilisce che i Paesi che cooperano con gli Stati Uniti nel campo dell’energia nucleare debbano rinunciare all’arricchimento dell’uranio e al ritrattamento del combustibile esaurito.

Le autorità americane temono che l’insistenza dei sauditi non porti a riesaminare il protocollo d’intesa firmato nel 2009 con gli Stati Uniti, che sanciva l’impegno della monarchia saudita ad acquisire combustibile nucleare dai mercati internazionali.

Tuttavia, anche se il principe MbS dovesse convincere gli Stati Uniti sul suo senso di responsabilità oltre a soddisfare le condizioni americane per la cooperazione nucleare, Israele rimane il suo jolly. Il principe ereditario e altre alte personalità saudite hanno chiarito che vogliono stabilire una relazione ufficiale con Israele, ma ciò sarà possibile solo se il conflitto israelo-palestinese verrà risolto in un modo che tenga conto degli interessi di entrambe le parti, ma il governo del premier Netanyahu vuole tutto tranne che questo.

Netanyahu è convinto che il sostegno ai palestinesi in Arabia Saudita, e in altri luoghi del mondo arabo e musulmano, sia diminuito al punto tale che, se dovesse presentarsi la scelta tra il sostegno ai palestinesi o la sicurezza e la cooperazione tecnologica con Israele, specialmente contro l’Iran, la monarchia saudita sceglierà Israele.

Un calcolo che può funzionare solo nella remota eventualità in cui gli Stati Uniti si impegnino giuridicamente a garantire la sicurezza dell’Arabia Saudita e del Golfo e che il regno saudita soddisfi le condizioni sull’energia nucleare imposte dagli Stati Uniti. Dal suo canto, il principe ereditario dà per scontato che se Arabia Saudita e Stati Uniti dovessero trovare un accordo, Netanyahu lo sosterrà, ma è una scommessa rischiosa. Per quanto Netanyahu sia interessato a mantenere rapporti ufficiali con l’Arabia Saudita, è improbabile che metta a repentaglio il suo destino politico rischiando una crisi con gli alleati della coalizione, soprattutto con l’estrema destra e gli ultra-religiosi, che vogliono sbarazzarsi dei palestinesi il prima possibile.

1“Saudi Arabia offers its price to normalize relations with Israel”, The New York Times, 10 marzo 2023.

2La yellowcake (“torta gialla” in inglese) è il prodotto finale dei processi di concentrazione e purificazione dei minerali estratti che contengono l’uranio. [NdT].