Analisi

Tunisia. La sinistra divisa su Kaïs Saïed

Nonostante le continue divisioni già all’indomani delle elezioni del 2014, la minaccia per la sinistra tunisina è oggi più che mai l’autoritarismo di Kaïs Saïed. Più che con gli arresti tra i suoi membri, il presidente tunisino punta a mettere uno contro l’altro attaccando direttamente il suo nemico storico, il partito islamista.

Il leader del Fronte popolare e segretario generale del Partito dei lavoratori Hamma Hammami (al centro) durante una manifestazione il 14 gennaio 2019 in Habib Bourguiba Avenue a Tunisi, in occasione dell’ottavo anniversario della rivoluzione del 2011.
Fethi Belaid/AFP

Con l’arresto di Rashid Ghannushi il 17 aprile 2023, la sinistra tunisina sembra aver ricevuto il suo colpo di grazia. Nemico numero uno delle varie correnti che la compongono, il leader del partito islamista Ennahda è considerato il principale responsabile del naufragio politico del paese. Inoltre, gran parte di questa sinistra lo accusa di essere responsabile della morte dell’avvocato e attivista Chokri Belaid, leader del Movimento dei patrioti democratici (MPD), e di Mohamed Brahmi, deputato e leader di Movimento del Popolo (Echaâb), due figure di spicco della coalizione del Fronte Popolare tra il 2012 e il 2013, uccisi rispettivamente il 6 febbraio e il 25 luglio 2013.

In realtà, le reazioni a quello che un membro del partito nazionalista arabo, il Movimento del popolo, ha definito un “non-evento”, hanno dimostrato un’ulteriore spaccatura, forse la più profonda, all’interno del movimento. Perché se, da una parte, alcuni leader e qualche partito si sono opposti agli arresti politici dell’11 febbraio 2023, giudicandoli arbitrari e pericolosi per lo stato delle libertà e della democrazia, dall’altra, sono in molti a considerare Ghannushi un criminale che merita di essere condannato.

Il golpe, un filtro democratico

Tuttavia, questa spaccatura tra una sinistra ancorata, malgrado tutto, ai principi democratici e un’altra che può liquidarne alcuni in maniera sbrigativa quando si tratta di lottare contro l’islam politico, è emersa dopo il colpo di Stato del 25 luglio 2021. Se, in un primo momento, il golpe poteva sembrare legittimo oltre che molto popolare, il decreto 117 promulgato il 22 settembre 2021 ha segnato le sorti della transizione democratica, spingendo la Tunisia sulla via della dittatura, con la sospensione della Costituzione del 2014.

Dopo la manovra politica di Kaïs Saïed, sono emerse due linee politiche. Da una parte i partiti contrari all’interpretazione presidenziale della Costituzione. Il Partito dei Lavoratori e Al-Joumhouri (il partito repubblicano) sono stati, infatti, tra i primi, nei loro comunicati stampa, a considerare le mosse dell’inquilino di Cartagine come un golpe. I partiti socialdemocratici di Corrente Democratica e del Forum Democratico per il Lavoro e le Libertà (Ettakatol) sono stati meno critici, pur manifestando il loro rifiuto e disaccordo con le misure adottate dal Presidente della Repubblica. Molto presto, anche la loro posizione diventerà un’opposizione frontale. Questi quattro partiti formano con il Qutb, Polo democratico modernista, soprannominato in Tunisia “il Quintetto”, che si oppone a Kaïs Saïed.

Dall’altra parte, troviamo i sostenitori del presidente. Si tratta principalmente di partiti di obbedienza nazionalista araba, come il Movimento Popolare, la Corrente Popolare, ma anche e soprattutto personalità del partito Watad (Democratici patriottici), come Mongi Rahoui, che gode di un peso simbolico rilevante all’interno della sinistra tunisina. Rahoui aveva provocato, in particolare, la fine della coalizione del Fronte popolare nel 2019, con la sua decisione di candidarsi contro Hamma Hammami, leader della coalizione, alle elezioni presidenziali. Secondo i sostenitori della prima ora del presidente la transizione democratica in corso dal 2011 è una farsa, e chiedono la fine di quello che chiamano “il decennio oscuro”. Ecco il paradosso: tutti sono stati protagonisti di questo decennio, partecipando alle varie elezioni e con eletti locali e nazionali nelle assemblee, e alcuni hanno anche ricoperto incarichi ministeriali.

Gli islamisti come unica bussola

In realtà, non è tanto la transizione democratica quanto la presenza del partito islamista Ennahda, al potere in tutti questi anni, a spiegare il consenso di questa parte della sinistra all’autoritarismo di Kaïs Saïed. In questo modo si rinnova, ancora una volta, il conflitto storico nel mondo arabo tra la sinistra e gli islamisti, come nel caso della sinistra nazionalista araba sotto Gamal Abdel Nasser in Egitto o, in modo più esasperato, sotto Hafez al-Asad in Siria.

In Tunisia, le due correnti politiche e filosofiche si sono fronteggiate nei campus universitari già a partire dagli anni 1980. La rivoluzione ha portato a galla quegli scontri, creando una linea di demarcazione fondamentale nel panorama politico. All’interno della sinistra la questione è ancora aperta: si può vivere in un sistema democratico con un partito islamista? I vari attori di questo movimento politico sono da tempo divisi a riguardo: c’è chi ritiene che gli islamisti debbano essere aboliti per la vita democratica, e chi pensa che gli islamisti possano entrare a far parte del sistema pluralista. Gli anni di governo di Ennahda non hanno però aiutato a trovare una risposta alla questione.

Dal 2011, il partito islamista è sempre stato al potere. Dopo aver vinto le elezioni per l’Assemblea nazionale costituente nell’ottobre 2011, il partito è stato alla guida del paese fino alla crisi dell’estate 2013. Se, per oltre un anno, il testimone è passato a un governo di tecnocrati, lo è stato grazie al suo consenso. Durante le elezioni legislative del 2014, il partito è arrivato secondo alle spalle del suo avversario Nidaa Tounes1 di Beji Caid Essebsi, ma i due partiti hanno deciso di allearsi per poter governare per cinque anni. Infine, il partito ha vinto le elezioni del 2019, ma con meno del 25% dei voti, una vittoria che gli ha concesso solo una piccola maggioranza nell’Assemblea. Anche in questo caso, gli islamisti sono riusciti, attraverso un gioco di alleanze, a restare al potere fino al colpo di stato del luglio 2021.

Tra scandali di corruzione dei leader e accuse di compiacenza – se non di complicità – con il terrorismo, l’anti-islamismo sterminatore ha trovato di che alimentarsi. Da questo punto di vista, il 2013 ha rappresentato una svolta importante, con gli omicidi politici di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi. I riflettori sono stati subito puntati su Ennahda e il suo leader Rashid Ghannushi, accusati di essere complici, se non di aver architettato i due omicidi.

Dieci anni dopo, la convinzione della colpevolezza di Ennahda è ancora viva. Il 7 marzo 2023, durante una manifestazione organizzata dal sindacato generale del lavoro tunisino (UGTT), i manifestanti hanno intonato di nuovo lo slogan del 2013: “Ghannushi assassino”. Hamma Hammami, che all’epoca era presente, ha dichiarato che “non è questo il momento” di riproporre quello slogan, perché, a suo avviso, l’unico obiettivo del corteo dev’essere quello di denunciare l’autoritarismo del Presidente della Repubblica. Poi n’è seguita un’intera campagna di violenze e insulti contro il leader del Partito dei Lavoratori, portata avanti da una parte della sinistra con l’hashtag “non è il momento”, con l’accusa di aver tradito i compagni uccisi.

Tuttavia, dopo il suo colpo di stato, Kaïs Saïed ha continuato a strumentalizzare quest’odio, soprattutto su questa delicata questione. Così, il 6 febbraio 2022, giorno della commemorazione dell’assassinio di Chokri Belaid, il presidente ha annunciato l’abolizione del Consiglio superiore della magistratura, con l’accusa di corruzione e sudditanza al partito islamista.

L’impossibile terza via

Seppure in una forma diversa, la questione del rapporto con gli islamisti riguarda anche il campo dell’opposizione democratica, che cerca disperatamente di trovare una propria strada.

L’opposizione a Kaïs Saïed si può riassumere a tre raggruppamenti principali: il Partito desturiano libero (Pdl) della leader Abir Moussi, una nostalgica del regime pre-2011, il Fronte di salvezza nazionale, una coalizione che ha come componente principale il partito islamista, con figure di spicco della sinistra come Ahmed Najib al-Shabbi, e per finire il Quintetto.

Se il Pdl sembra dare poco peso alla democrazia e, soprattutto, voler andare da solo, la questione di un riavvicinamento tra il Quintetto e il Fronte di salvezza nazionale preoccupa la coalizione delle forze progressiste. Ha persino provocato una spaccatura all’interno della Corrente Democratica, con la fuoriuscita di molti suoi dirigenti, tra cui in particolare il suo segretario generale Ghazi Chaouachi, recluso dal febbraio 2023. Anche il partito Al-Joumhouri, il cui segretario generale Issam Chebbi è in carcere, ha lasciato la coalizione, senza dubbio per gli stessi motivi.

Non è la prima volta che nelle file dell’opposizione si pone la questione dell’alleanza tra la sinistra e gli islamisti. Il 18 ottobre 2005, in occasione del Vertice mondiale sulla società dell’informazione (WSIS) organizzato in Tunisia, si era formata un’inedita coalizione di forze della sinistra e degli islamisti sotto il nome di “Fronte del 18 ottobre”. Molte personalità di spicco come Ahmed Najib al-Shabbi, Hamma Hammami o persino Samir Dilou (Ennahda) avevano iniziato insieme uno sciopero della fame, per denunciare la dittatura di Zine El-Abidine Ben Ali.

Ma, se nel 2005 l’alleanza era ancora possibile, gli strascichi lasciati dal decennio di transizione democratica e i vari scontri che hanno contrapposto i due schieramenti rendono molto più improbabile l’ipotesi di un tale riavvicinamento. La sinistra democratica si trova quindi combattuta tra l’alleanza con i suoi nemici di ieri, che per alcuni equivale a tradire le lotte del passato, o un’opposizione solitaria e inefficace all’attuale nemico. Da soli, i partiti del Quintetto non hanno alcuna capacità di mobilitare, come dimostra lo scarso numero di partecipanti alle manifestazioni che hanno indetto.

La coalizione dei partiti progressisti per ora resta in piedi e, malgrado tutte le crisi, continua ad andare avanti. Alla vigilia del terzo congresso di Corrente Democratica (28-30 aprile 2023), l’ipotesi di un ricambio generazionale all’interno delle formazioni potrebbe essere l’unica speranza per questa sinistra di governo per poter un giorno pesare nell’attuale scenario politico.

1Appello della Tunisia, è un partito politico di matrice laica fondato in Tunisia nel 2012 dall’allora Primo ministro Beji Caid Essebsi. In occasione delle elezioni presidenziali del 2014, la formazione ha sostenuto la candidatura di Essebsi per la carica di Presidente. [NdT].