LGBTQI+ nel mondo arabo e musulmano

Turchia. Erdoğan, la famiglia e “l’omo-eresia”

Dall’inizio dell’autunno 2022, ci sono state diverse manifestazioni omofobe a Istanbul e in altre città turche. Dietro c’è l’attività che stanno svolgendo le organizzazioni religiose conservatrici, sostenute dai più alti vertici dello Stato. In vista dell’imminente campagna elettorale, il governo di Recep Tayyip Erdoğan, dopo l’attacco ad alcuni artisti ritenuti “immorali”, sta preparando una legge per difendere la struttura familiare tradizionale.

L'immagine mostra un gruppo di persone in una strada affollata, probabilmente durante una manifestazione o una parata. Al centro, una giovane donna con capelli corti e bianchi è in primo piano, mentre tiene alta una grande bandiera arcobaleno. Sembra esprimere gioia e determinazione. Intorno a lei, altre persone sventolano bandiere e manifestano il loro sostegno, creando un'atmosfera di festeggiamento e orgoglio. Le decorazioni e i colori vivaci trasmettono un messaggio di inclusione e solidarietà.
Il Gay Pride di Istanbul, 26 giugno 2022.
Kemal Aslan/AFP

Contro la “propaganda LGBT” e “in difesa della famiglia”: domenica 18 settembre 2022, diverse migliaia di persone hanno risposto all’appello di Fikirde Birlik ve Mücadele Platformu (Piattaforma di unità di opinione e lotta), dandosi appuntamento nel quartiere Fatih a Istanbul e in altre città turche. A proposito di queste manifestazioni, alcuni giornali indipendenti turchi hanno parlato di “atti di odio” che espongono l’intera comunità LGBTQI+ a forme d’intimidazione senza precedenti.

“La marcia aveva come obiettivo i diritti umani fondamentali. […] Già in questi ultimi anni, c’è stato un clima piuttosto teso per le persone LGBTQI+. Questa marcia è stato un ulteriore segnale di quel clima di tensione”, spiega Defne Güzel, analista per i diritti umani presso Kaos GL, un’organizzazione in difesa dei diritti della comunità LGBTQI+ . E ricorda inoltre che “la “legittimazione dell’omosessualità” è stata una delle ragioni invocate dal governo turco per il suo ritiro dalla Convenzione di Istanbul1.

Azioni e dichiarazioni del governo

Questa marcia è stata certamente un’occasione per una parte della popolazione di esprimere la sua contrarietà in un contesto generale di involuzione in materia di diritti e libertà individuali in Turchia. In vista delle elezioni presidenziali previste per giugno 2023, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) ha lanciato un attacco al mondo dell’arte e della cultura, le attività di solito preferite dalle minoranze, perché meno soggette alle norme, e già minacciate dall’attuale crisi economica e dalla mancanza di prospettive per i giovani. Un attacco che ha portato alla cancellazione di più di 13 festival e numerosi concerti da parte delle autorità, tra maggio e agosto 2022. Come nel caso del festival rock Zeytinli a Balikesir, annullato su richiesta delle associazioni religiose.

Ad agosto, Gülşen, una delle cantanti pop più famose in Turchia, è finita agli arresti domiciliari per un commento provocatorio durante un concerto del 30 aprile 2022, con l’accusa di “incitamento all’odio”. Sostenitrice della comunità LGBTQI+, icona femminile e autrice di canzoni simbolo dell’indipendenza, Gülşen è stata presa di mira per il suo stile anticonformista ritenuto “immorale”. L’accusa è quella di aver rivolto, durante un concerto, una battuta sarcastica a uno dei suoi musicisti, dicendo che la sua educazione religiosa presso le Imam Hatip2 lo avrebbe reso un “perverso”. Le Imam Hatip sono le scuole religiose, il cui numero è aumentato del 73% tra il 2013 e il 2017, sostenute sotto il governo di Recep Tayyip Erdoğan alla pari degli istituti pubblici – e ripristinate grazie alla riforma del sistema scolastico, che rientrano negli strumenti di propaganda per “allevare una generazione devota” secondo il programma politico del partito AKP. Dopo l’annuncio del suo arresto, gli hashtag #FreeGülşen o #GülşenYalnızDeğildir (“Gülşen non è sola”) hanno invaso la rete. L’arresto della cantante rappresenta un ulteriore atto illiberale in un paese che ha il primato dell’arbitrarietà.

In precedenza, il 26 giugno 2022, più di 370 manifestanti erano stati arrestati durante il Pride, vietato per il settimo anno di fila dal 2015.

Per gli oppositori della comunità LGBTQI +, la cultura, lo sport, i social network rappresentano degli strumenti di propaganda. Il Consiglio superiore per la televisione e la radiofonia (RTÜK), i cui membri vengono nominati dalla maggioranza in Assemblea e il cui attuale presidente ha già dichiarato il suo sostegno al governo, ha cominciato a censurare, a partire dal 2015, alcune serie tv della piattaforma Netflix. La censura ha colpito in particolare If Only e Love 101 (titolo turco “Aşk 101”) per una presunta “propaganda omosessuale”. RTÜK ha consentito che l’appello a partecipare alle proteste contro la comunità LGBTQI+ – una clip di circa 40 secondi – ricevesse l’etichetta kamu spotu (spot di interesse pubblico), in modo da poter trasmettere la clip gratuitamente sui canali televisivi nazionali.

“Una famiglia forte crea una nazione forte”

Gli organizzatori di queste manifestazioni omofobe provengono dall’associazione religiosa Yesevi Alperenler Eğitim Kültür ve Yardımlaşma Derneği, ed esprimono le idee di esponenti radicali vicini al governo. Una vicinanza che ha permesso loro di ottenere carta bianca dall’esecutivo e la libertà di manifestare illegalmente senza alcun intervento della polizia. In molti si sono mobilitati sul web contro la diffusione di questa propaganda di Stato attraverso l’hashtag #NefretYürüyüşüneHayır (“No alla marcia dell’odio”) che denuncia, ma allo stesso tempo critica, il silenzio quando si parla di stupro, incesto o femminicidio.

Come La Manif pour tous in Francia, Questo movimento si è raggruppato sotto il nome di Büyük Aile Buluşması (“Grande incontro per la famiglia”) e s’ispira a valori reazionari e nazionalisti. La questione principale è l’interesse del bambino, da cui la critica allelubunya (queer) e alle femministe di essere contro la famiglia, considerata come l’unica struttura legittima, eterosessuale e monogama regolata da matrimonio e procreazione.

Un argomento che rafforza una concezione rigida della famiglia, che tuttavia denota sostanzialmente un impegno incondizionato o sentimentale tra le persone, oltre a una certa scala di valori, che rende la comunità LGBTQI+ un gruppo “contrario ai valori sociali condivisi”. Ribaltando così i ruoli rispetto alle comunità oppresse, il potere si ritaglia un primo successo criminalizzando i gruppi fragili, ed un secondo etichettandoli con uno stigma “reazionario” che, ovviamente, legittima la marcia di protesta. E così indebolisce ogni gruppo emarginato: curdi, aleviti, donne, migranti, dissidenti...

Incitare all’odio

Malgrado ciò, la società turca sta cambiando. I discorsi di netto rifiuto che fanno riferimento alla “tradizione” sono volti a mantenere il legame con l’ordine patriarcale costituito, garantendo il controllo sugli individui considerati “devianti”. Ma al di là di una sterile retorica, questa manifestazione di odio rende più chiara una forma di bipolarismo di una popolazione stretta tra una crisi senza precedenti (al 3 ottobre 2022, il tasso di inflazione è superiore all’83%) e politiche statali che ricorrono facilmente a capri espiatori. Le parole di Mustafa Kır, presidente della Ankara Civil Society Platform, responsabile dell’ultima marcia anti-LGBTQI+ ad Ankara il 30 ottobre 2022 con lo slogan “Marciamo insieme contro la perversione e l’eresia”, evidenziano perfettamente questioni legate a paure irrazionali, e persino minacce esistenziali. Per Kır, “con la famiglia è in gioco la sopravvivenza”.

D’altra parte, l’influenza di teorie complottiste sul terreno opaco degli ingranaggi politico-economici favorisce il diffondersi di oscure credenze quali il Piano Büyük (“Grande Piano”), che allude alla minaccia di nemici che mirano ad attaccare la “razza turca”. Le varie dichiarazioni, quasi ossessive, di Süleyman Soylu, ministro dell’Interno, o di Erdoğan, alimentano l’idea che la comunità LGBTQI+ sarebbe sostenuta da non ben definite “potenze straniere”. Tutti elementi che impediscono ogni forma di riflessione sensata sui dibattiti riguardanti i diritti della comunità LGBTQI+, che costituiscono prima di tutto un problema politico. Per Erdoğan, la situazione è semplice:

Di recente, delle persone LGBTQI+ sono riuscite a infiltrarsi all’interno della società, facendo il possibile per trasformare la nostra struttura familiare. Ma noi faremo quel che è necessario fare. Sappiamo già chi sono.

In questo contesto, il lavoro delle associazioni e della società civile è ancor più importante. Ma “l’intensificarsi dei controlli delle organizzazioni e l’essere bersaglio della stampa hanno influito in negativo sulla loro motivazione”, commenta Defne Güzel. “Sono stati depositati ordini di chiusura per alcune associazioni inclusive dei diritti LGBTQI+. Si tratta di cause ancora in corso”. Inoltre, poiché la Turchia è alla vigilia delle elezioni, Güzel aggiunge che “ciò comporta un aumento delle tensioni a livello nazionale. […] Sappiamo già che alcuni partiti faranno ricorso a discorsi anti-LGBTQI+ per propaganda politica ed elettorale”.

La presenza di partiti come Vatan Partisi (Partito patriottico), Türkiye Gençlik Birligi (Unione giovanile turca) o Büyük Birlik Partisi (Grande partito sindacale) alla manifestazione del 18 settembre dimostra l’ascesa di questa propaganda discriminatoria. Mentre la campagna presidenziale è in pieno fermento, “il principale partito di opposizione (CHP) insieme agli altri partiti e a esponenti politici che hanno un linguaggio inclusivo verso i diritti della comunità LGBTQI+ non si sono espressi contro questa marcia o almeno non abbastanza”. Kemal Kılıçdaroğlu, esponente del CHP, è stato di recente proposto in qualità di garante per la libertà di abbigliamento delle donne nella Costituzione. Vietato negli uffici pubblici, il velo è diventato di fatto un accessorio tollerato dal governo dell’AKP. Il presidente Erdoğan ne ha approfittato per giocare al rialzo, includendo così anche la struttura familiare “composta da un uomo, una donna e uno (o più) figlio/i”.

Infine durante la pandemia, le persone della comunità LGBTQI+ sono state prese di mira con violenze verbali, e spesso anche fisiche. Le loro condizioni di vita sono notevolmente peggiorate negli ultimi due anni: difficoltà a trovare un lavoro, a ottenere assistenza e cure, a socializzare. In Turchia, “le organizzazioni LGBTQI+ hanno mostrato in passato una notevole capacità di resistere a una pressione sempre maggiore. Una resistenza che va avanti, e si sta adeguando a nuovi metodi”, afferma Defne Güzel. In un immaginario globale caratterizzato da un ideale di “universalismo”, la comunità LGBTQI+ consente a tutti/e/* noi di riorientare nelle forme giuste il dibattito per riconoscere le lacune di questo ‘universalismo’, andando verso un ‘pluriversalismo’”. Güzel conclude: “Le nostre organizzazioni continueranno ad esistere finché esisteranno le persone LGBTQI+, per garantire i loro diritti, la loro sopravvivenza e la loro uguaglianza. Abbiamo il coraggio e la forza per provarci”.

1La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, nota come “Convenzione di Istanbul”, è un trattato internazionale del Consiglio d’Europa, che porta gli Stati firmatari a concordare l’eliminazione di ogni forma di violenza contro le donne. [NdR].

2Scuole professionalizzanti statali turche destinate alla formazione del personale religioso musulmano (imam e khatib) [NdT].