Diario da Gaza 6

“I camion che distribuiscono gli aiuti sono protetti da uomini armati”

Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI. Giornalista fondatore di GazaPress, un’agenzia di stampa che forniva aiuto e traduzioni ai giornalisti occidentali, Rami ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza con la moglie e il figlio Walid di due anni e mezzo. Ora condivide un appartamento con due camere da letto con un’altra famiglia. Nel suo diario, racconta la sua vita quotidiana e quella degli abitanti di Gaza a Rafah, bloccati in questa enclave miserabile e sovraffollata. Questo spazio è dedicato a lui.

Rafah, 10 marzo 2024. Bambini palestinesi portano le tradizionali lanterne del Ramadan (fawanis), alla vigilia dell’inizio del mese di digiuno musulmano.
SAID KHATIB / AFP

Martedì, 12 marzo 2024.

Oggi voglio parlare di come si vive abitualmente il Ramadan. Delle luci. In genere, per il mese di Ramadan ci sono luci ovunque. Per strada, nelle case, nei negozi. Vicino alle botteghe, si sentono altoparlanti che vendono regali per il Ramadan, accompagnati da canti religiosi tradizionali, i tawachich, che intonano: “È arrivato Ramadan! Preparatevi al digiuno!”. Altra consuetudine è che ci siano anche canzoncine per bambini, spesso egiziane, conosciute in tutto il mondo arabo.

È un mese di gioia e di festa. Solitamente, durante il Ramadan, c’è tutto ciò di cui si ha bisogno, si può trovare tutto ciò che si vuole. Nei mercati, le bancarelle sono piene zeppe.

Ma stavolta no.

Durante il Ramadan, tre o quattro ore prima del tramonto, cioè prima dell’iftar (il pasto che interrompe il digiuno), tutti sono soliti uscire di casa per fare la spesa, comprare gli ingredienti per fare i dolci. Perché il Ramadan è anche il mese dei dolci. Ma oggi non si trova nulla, o lo si trova a prezzi esorbitanti. Quando penso che un tempo dicevamo che durante il Ramadan i prodotti erano troppo cari... Oggi, i dolci tipici del Ramadan, come i qatayef1, non esistono più. Di solito, i qatayef sono farciti con frutta secca o con formaggio bianco dolce. Oggi è impossibile trovare sia la frutta secca che il formaggio bianco dolce.

Prima rimanevamo svegli tutta la notte, camminavamo per le strade, sulla strada costiera, in riva al mare. Un’altra cosa molto importante durante il Ramadan sono le visite tra famiglie, tra vicini. Il Ramadan ci unisce. Oggi uscire è diventato pericoloso. Non appena tramonta il sole, sembra che ci sia il coprifuoco.

In ogni caso, non abbiamo nulla da portare in dono. Lunedì volevamo andare a trovare degli amici, sfollati come noi, ma non avevamo niente da portare ai bambini. Niente dolci, niente knafeh2. Abbiamo deciso di rimandare la visita e vedere se per allora saremo in grado a trovare qualcosa al mercato.

I prezzi sono saliti alle stelle. Prima, un chilo di qatayef costava tra gli 8 e i 10 shekel (tra i 2 e i 2,5 euro), oggi costa tra i 40 e i 50 shekel (tra i 10 e i 12,5 euro). Un mix di frutta secca costava 4 shekel (un euro) per 250 grammi. Oggi costa 10 volte di più e, per giunta, è un mix in cui c’è un po’ di tutto e non ti invoglia. Per quanto riguarda la carne, quando si trova, costa 150 shekel al chilo (37,50 euro). Un chilo per una famiglia di cinque persone è nulla. Ad esempio, lunedì, per il primo iftar di questo Ramadan, abbiamo mangiato solo riso, accompagnato da fagioli bianchi in scatola, e anche in questo caso, siamo stati fortunati rispetto alla maggior parte degli altri sfollati. I bambini desiderano le specialità del Ramadan: i sambousek3, i knafeh o i qatayef. Ma non ce ne sono.

Trovare acqua potabile è molto faticoso. A volte sono le Ong a distribuirla nei campi profughi. Altrimenti si deve comprare, ma richiede fatica e tempo, oltre che soldi.

Anche le bottiglie di acqua minerale sono troppo care: 3 shekel per una bottiglia da un litro e mezzo (0,75 euro). La compro solo per i bambini, altrimenti compriamo taniche d’acqua vendute con autocisterne, a 3 shekel per una tanica da 20 litri. È un’acqua che proviene dagli impianti di depurazione. Ce ne sono tre ancora funzionanti. Pompano acqua dai pozzi. Credo che sia l’Unrwa a fornire il gasolio per le pompe. È acqua pulita, ma non c’è la certezza assoluta che sia potabile.

Il cibo arriva con il contagocce. In media entrano dai 100 ai 120 camion al giorno, quando ne servirebbero almeno cinquecento. Fanno un giro molto complicato. Arrivano tutti dall’Egitto, ma devono poi passare attraverso i valichi israeliani per le ispezioni. I camion entrano prima attraverso il confine egiziano, a Rafah; quindi, si dirigono verso i due valichi di Nitzana e Kerem Salem, per poi far ritorno a Rafah. I tir egiziani scaricano la merce ai camion palestinesi.

Ci sono due tipi di camion, quelli dell’ONU, delle Ong, della Mezzaluna Rossa e Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR), e quelli di proprietà dei corrieri privati palestinesi, dai venti ai trenta camion al giorno. Ci sono sei spedizionieri, scelti dagli israeliani. La maggior parte del cibo viene acquistato in Egitto ed è spesso di qualità scadente. A volte ci sono prodotti in scatola scaduti, e ciò si deve al fatto che i fornitori egiziani o gli importatori palestinesi vogliono guadagnare di più. Normalmente questi camion sono destinati all’intera Striscia di Gaza, ma dopo il “massacro della farina”4, sono pochissimi quelli che passano attraverso il checkpoint che taglia in due Gaza. Come tutti sanno, le persone che sono state uccise, volevano prendere gli aiuti direttamente dai camion. Perché avevano fame. È anche vero che ci sono stati anche dei saccheggi da parte di alcune bande, ma la maggior parte della gente accorsa per gli aiuti, era lì perché c’è una grande carenza e la distribuzione non riesce ad arrivare a tutti.

Stiamo parlando di non più di 150 camion. Quindi 1.500 pallet, per 2,3 milioni di persone. Ciò equivale a meno di un terzo di una confezione a persona.

Gli aiuti sono mal distribuiti. Prendiamo il mio caso. Sono uno sfollato, ma non ho ricevuto nulla. È anche vero che non ho chiesto nulla, ma nessuno è venuto a cercarmi. Ci sono migliaia, centinaia di migliaia di persone che non hanno toccato niente. Sono gli israeliani che non consentono l’arrivo di sufficienti aiuti perché vogliono far salire i prezzi e generare il caos.

Per ora ci sono meno saccheggi. A Rafah il fenomeno non esiste quasi più perché i camion sono protetti da uomini armati di bastoni o kalashnikov. Sono gli uomini di Hamas che si occupano degli aiuti umanitari. Per il settore privato, i corrieri hanno le loro guardie. Ma a volte ricorrono agli uomini di Hamas.

Di solito durante il Ramadan, le moschee sono piene di gente. Si prega anche all’esterno, nelle piazze, negli spazi aperti. Ma questa volta no. Ci sono abitanti di Rafah che vanno a pregare, perché non hanno vissuto quello che abbiamo vissuto noi sfollati del nord: i bombardamenti dell’esercito israeliano sulle moschee per uccidere i fedeli. Da quando sono arrivato a Rafah, non sono più andato in moschea. Ho ascoltato il sermone dell’imam dagli altoparlanti della moschea vicina. La sua speranza era che Dio avrebbe fermato questa guerra durante il Ramadan. L’imam ha parlato anche di resistenza, raccomandando di essere pazienti rispetto a questa situazione perché Dio ci sta mettendo alla prova.

Non si recita più il tarawih, una preghiera che si esegue da un’ora e mezzo dopo il tramonto a poco prima dell’alba, nel corso del mese di Ramadan. Di solito si pregava tutti insieme all’aria aperta, soprattutto quando c’era bel tempo.

Oggi tutto questo non esiste più.

1Sono delle crêpes un po’ più spesse.

2Dolci a base di pasta fillo (kataifi) e formaggio. [NdR

3Piccoli fagottini fritti ripieni di carne o formaggio. [N.d.R.

4Riferendosi ai 112 palestinesi uccisi dagli spari dei soldati israeliani il 29 febbraio 2024, durante una distribuzione di aiuti alimentari, nella parte occidentale di Gaza. [Ndr].