Cinema

Festival del Cinema Palestinese. Terra occupata, terra di resistenza

A giugno 2023, si è svolta l’ultima edizione del Festival del Cinema Palestinese (FCP) che ha offerto al pubblico una ricca rassegna dal titolo “Su questa terra”. Uno sguardo critico sull’appropriazione coloniale della terra e sul pretesto della salvaguardia ambientale, che ha messo in luce i molteplici significati del termine “terra” oltre ai diversi strumenti di lotta attraverso l’immagine.

Una scena di Foragers di Jumana Manna (2022)

Dal 2015, le festival Ciné-Palestine, il Festival del Cinema Palestinese, rassegna in collaborazione con Orient XXI, presenta al pubblico il meglio della produzione palestinese. Supportato da un team di volontari, il festival si svolge ogni anno a Parigi, nell’Ile-de-France e, negli ultimi due anni, a Marsiglia. Un vero evento itinerante che mette al primo posto le sperimentazioni cinematografiche contemporanee, ma anche gli archivi, i classici, i documentari e le forme ibride dove il racconto dialoga con l’immagine. Un appuntamento imperdibile che si svolge tra sale cinematografiche, carceri, sale d’essai e cinema all’aperto, ospitando anche cineclub e un concorso... Un festival in continua evoluzione, che si inventa e si reinventa mantenendo la sua linea, ossia quella di promuovere la vitalità del cinema palestinese, la qualità e la diversità delle sue opere audiovisive.

Il tema di quest’anno, “Su questa terra”, è stato ricco di riflessioni: affrontando i temi della tutela dell’ambiente e della colonizzazione, i film in programma, ognuno secondo il proprio stile, hanno gettato uno sguardo lucido sul processo di appropriazione e colonizzazione della terra palestinese. Infatti, tutto ciò che cresce su questa terra è vivo e interagisce in un ecosistema ecologico, economico e culturale che la colonizzazione sta distruggendo, perché il green washing, alla fine, serve all’agricoltura industriale e il seme più piccolo può portare in sé il germe della resistenza, una tematica che ha evidenziato i profondi legami che uniscono l’ambiente e la lotta per la libertà.

Dalla Giornata della Terra a Google Earth passando per le piante selvatiche, la sovranità alimentare e le catastrofi climatiche, il festival ha permesso di vedere e ascoltare i molteplici significati che assume in Palestina la parola “terra” e le lotte che evoca, così come le tante forme con cui i registi trattano il tema.

Mangiare è (già) resistere

I film in programma hanno messo in risalto l’intreccio di ingiustizie sociali e climatiche, di disastri ecologici e politici, denunciando gli argomenti scientifici di un sistema coloniale che si erge a “paladino dell’ambiente” per negare ancora di più la terra al popolo palestinese. Presentato a Parigi e a Marsiglia, il film Foragers (2022) dell’artista visiva e regista d’origine palestinese Jumana Manna mostra dei raccoglitori palestinesi di fronte alla violenza dell’autorità israeliana nei parchi e nelle riserve naturali. Qui, il ricorso alla finzione aiuta a mettere in luce l’agghiacciante racconto di come le pattuglie israeliane perseguitano tutti coloro che, raccogliendo piante selvatiche commestibili, contribuiscono alla conservazione del paesaggio e delle tradizioni culinarie. Colture, inseguimenti in collina, confische, arresti, interrogatori, processi, pene pecuniarie, qui, il ciclo che va dalla terra al piatto è disseminato di insidie e anche mangiare diventa una forma di resistenza. E poiché la realtà è impossibile da filmare, Jumana Manna la mette in scena con una grande sensibilità, al punto tale che il pubblico è sorpreso alla fine di veder menzionare degli attori nei titoli di coda. Il ricorso alla finzione permette di mostrare l’assurdità di una potenza coloniale minacciata dai raccoglitori di akkoub1 e zaatar2. oltre alla scarsa consistenza degli argomenti ufficiali e alla violenza delle autorità...

La violenza coloniale dietro il pretesto della tutela dell’ambiente

Nascondersi per raccogliere, nascondersi per filmare, aggirare i divieti, resistere: Foragers è un film in cui contenuto e forma rimandano l’un all’altro per raccontare nel modo migliore l’ipocrisia di una violenza coloniale esercitata dietro il pretesto della tutela dell’ambiente, denunciando così i terribili effetti di un sistema dove la tutela della vita diventa pretesto per la sua distruzione3.

Visto che le immagini vengono vietate, negate dalle autorità e sono pericolose anche per i protagonisti, la finzione diventa qui lo strumento del documentario. In altri casi, i registi utilizzano immagini d’archivio, come ad esempio, nel cortometraggio Yom al-Ard (Land Day, 2019) di Monica Mauer, con riprese girate nel 1981 durante la quinta Giornata della Terra. Proiettato prima di Foragers, il film torna su quella particolare manifestazione, dove ancora una volta, il significato simbolico della terra pervade ogni lotta.

“Aggirare la censura”

Anche i designi e l’animazione fanno parte dei mezzi che i registi e le registe, a cui viene negato l’utilizzo delle telecamere, usano per raccontare la verità. È il caso del film The Wanted 18 (2014) di Amer Shomali e Paul Cowan, co-registi, che racconta, attraverso i disegni animati e la plastilina, le ricostruzioni e le interviste, la storia vera delle mucche del villaggio di Beit Sahour e delle lotte per l’autonomia alimentare.

Altri usano immagini quotidiane, ma molto significative: quelle di cellulari, tv, video, telecamere di sorveglianza o satelliti. Nel bellissimo cortometraggio sperimentale Your father was born 100 years, and so was the Nakba (2017), di Razan Al-Salah, una nonna ritorna sui luoghi della sua infanzia a Haifa con l’unico mezzo possibile: la street view di Google Maps. Il racconto è affidato a una voce fuori campo: “Al posto di quella rotonda, c’era un pozzo”. È sempre la voce off che si rivolge alle sagome immobili dei turisti, che cerca nella folla qualche volto familiare, che racconta la storia: negare le immagini significa anche togliere ai palestinesi la propria famiglia e la propria memoria. Il cinema diventa soprattutto un modo, nonostante tutto, di esprimersi al di là dei divieti, di aggirare la censura per raccontare una terra confiscata, minacciata, calpestata da un sistema coloniale che nega paesaggio e immagini a un popolo che resiste.

1La akkoub è una pianta spinosa, simile al cardo, che cresce in aree semi-desertiche in Palestina e Libano. [N.d.T.].

2In arabo, il termine za’tar fa riferimento ad alcune piante locali medio orientali appartenenti alla famiglia delle Lamiaceae, come timo, maggiorana ed origano. [N.d.T.].

3Jumana Manna ha realizzato un altro film documentario, Wild Relatives, seguendo la ricostruzione del centro di conservazione dei semi nella città di Aleppo, impiantato poi in Libano dopo il 2011, che affronta le questioni geopolitiche internazionali.