Egitto. Il regime demolisce le ultime case galleggianti sul Nilo

A fine giugno il governo egiziano ha deciso di rimuovere dalla città le storiche houseboats, simbolo dell’epoca d’oro culturale del paese. A difenderle ci sono due scrittrici che combattono le ambizioni urbanistiche del regime.

Una casa galleggiante vicino al ponte Imbaba, Il Cairo, 16 settembre 2011

La signora Ekhlas ha i capelli bianchi e lo sguardo assente. Ha perso suo marito molto tempo fa e da allora ha dedicato la sua vita agli animali nella sua casa galleggiante sul Nilo, ormeggiata a piazza Kit Kat, al Cairo. La scorsa settimana la sua esistenza ha subito un nuovo stravolgimento. Un altro lutto. Forse peggiore della perdita del marito. Allora era più giovane, aveva la forza di ricostruire la sua esistenza. Oggi, a 88 anni, non ce l’ha più.

Il governo egiziano ha deciso che la sua casa non ha più diritto di esistere. In quella piccola porzione del Nilo in cui sono adagiate una trentina di houseboats, le ultime rimaste in città, il regime egiziano non vuole più case ma solo attività commerciali. Poco importa se le ‘awwāmāt, le abitazioni galleggianti, siano un patrimonio inestimabile. La loro storia risale all’Ottocento. La tradizione dice che i funzionari ottomani facoltosi e di alto rango, i cosiddetti pascià, le usassero per incontrare le loro amanti.

Negli anni ’20 del ‘900, quando addirittura il gabinetto di governo si riuniva nella houseboat della celebre diva del cinema Munira al-Mahdiyya (1885-1965), sul Nilo se ne contavano più di 200.

Ai tempi del presidente Gamal Abdel Nasser, tra gli anni ‘50 e ‘60, molte delle strutture furono demolite per fare spazio a nuovi club dedicati agli sport acquatici. Tuttavia, quelle poche case rimaste evocano ancora oggi l’epoca d’oro della cultura egiziana, della letteratura del premio Nobel Naguib Mahfouz e del cinema in bianco e nero dove al Cairo si avvicendavano i migliori registi e scenografi del mondo.

Ma il regime egiziano non sembra sensibile ai grandi fasti del passato e nell’ultima settimana ha iniziato a portare via le strutture. “Io andrò insieme alla mia casa”, dice Ekhlas a tutti i giornalisti che in questi giorni la intervistano. Anche se ha già fatto le scatole con cui ha raccolto tutti i suoi averi e sistemato i suoi adorati animali, tra cui decine di gatti.

Tra i volontari che la stanno aiutando c’è Yasmine el-Rashidi. Ha 44 anni ed è una scrittrice, uno dei suoi libri, Cronaca di un’ultima estate, è stato pubblicato anche in Italia nel 2018 da Bollati Boringhieri1.

“Ekhlas è frastornata perché abitare in una casa galleggiante è una scelta di vita importante. Lei era abituata a stare sul fiume, era autonoma e accudiva i suoi animali”, racconta Yasmine. “Ha dei parenti, probabilmente andrà a vivere con la sorella. Ma la sua vita è comunque stravolta e nonostante sappia che la sua casa non c’è più, non sembra veramente accettare quello che sta accadendo”.

Le notifiche di rimozione a sorpresa

Tutto è iniziato l’ultima settimana di giugno. Yasmine, che vive sulla riva opposta del Nilo, ha visto che una houseboat veniva portata via. La motivazione ufficiale era cha appartenesse ai Fratelli Musulmani, il movimento islamista inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche dal governo egiziano. Ma non era solo una questione politica. Poche ore dopo, l’ordine di rimozione è arrivato agli abitanti di tutte le case. “Quando ho saputo che il governo voleva eliminarle non potevo restare indifferente, allora mi sono messa a disposizione per far uscire la notizia sui giornali, raccogliere fondi e aiutare le persone in difficoltà”, spiega. “I miei cugini vivono vicino a Ekhlas, la conoscevo e sono andata subito da lei”.

La scrittrice egiziana non è l’unica intellettuale coinvolta in questa vicenda e forse non è un caso che contro un regime che in maniera autoritaria e asettica cancella la storia del paese ci siano due scrittrici che sono riuscite a portare la loro battaglia sui giornali internazionali.

Una delle ‘awwamat, infatti, appartiene a un altro nome importante della cultura e della politica egiziana. È Ahdaf Soueif, 73 anni. Scrittrice, saggista e vedova del poeta e critico letterario britannico Ian Hamilton, ha comprato la sua casa galleggiante nel 2012. “Pensavo che dopo tanti anni all’estero sarebbe stata l’abitazione per il resto della mia vita”, racconta mentre suo figlio Omar è volato da Londra per affiancare la madre in questa battaglia.

Un sistema di multe e bollette per colpire i proprietari delle case galleggianti

Ahdaf fa parte di una famiglia di attivisti della rivoluzione di Piazza Tahrir. Suo nipote è Alaa Abdel Fattah, il blogger simbolo della rivolta popolare del 2011, che dopo numerosi anni di carcere è in sciopero della fame da oltre tre mesi per protestare contro le sue condizioni di detenzione.

“Tra il 20 e il 21 giugno abbiamo ricevuto una comunicazione ufficiale che diceva che avremmo dovuto lasciare le nostre case con l’obbligo di pagare le multe che ci avevano comminato in questi anni per non avere pagato alcune bollette”, racconta.

La vicenda delle sanzioni non è una cosa di secondo piano. Perché racconta la guerra celata, e ammantata di burocrazia, che il governo egiziano ha dichiarato ai proprietari delle houseboats. Per decenni, infatti, le autorità hanno cercato di spostare le case galleggianti, ma i proprietari sono stati in grado di negoziare con le autorità. Negli ultimi cinque anni, il governo ha aumentato le tasse o modificato i regolamenti più volte e nel 2020 ha smesso di rinnovare o rilasciare licenze per le case galleggianti.

“Ci sono diverse utenze da pagare”, spiega la scrittrice. “Per quanto riguarda il parcheggio, la mia barca è lunga 20 metri e sino al 2015 la tassa era di 3000 sterline egiziane (154 euro). Dal 2016 sono cambiati i criteri di calcolo. Il Ministero ha deciso che si doveva prendere in considerazione l’area del fiume occupata e così la bolletta è arrivata a costare 45.000 sterline (2300 euro)”.

Da sei anni gli abitanti hanno smesso di pagarla e hanno fatto ricorso in tribunale perché ritengono incostituzionale la nuova modalità di calcolo. La questione giudiziaria è bloccata dai continui rinvii della corte. Ma in questi anni la bolletta per il parcheggio ha continuato a essere sempre più alta.

Nel 2018 quella di Ahdaf è arrivata a 72.000 sterline egiziane (3700 euro). Se si sommano le utenze arretrate e la multa, la cifra che Ahdaf oggi sarebbe costretta a pagare ammonta circa a 1 milione di sterline (50.000 euro). “Se saldi il conto puoi trasformare la tua licenza da residenziale a commerciale. Lo fai prendendo parte a una sorta di bando pubblico ma non è certo che tu ci riesca e soprattutto nessuno sa quanto costerà”.

Ahdaf ha appreso del nuovo sistema per il cambio della licenza guardando l’intervista di un rappresentante del Ministero dell’Irrigazione in un talk show. A nessuno degli abitanti, infatti, è stato ufficialmente comunicato che le case potrebbero rimanere solo a patto che diventino un bar, una palestra o un club. E che gli abitanti, pagando le multe e le bollette arretrate, potrebbero riavere il diritto di mantenere il loro edificio sul Nilo partecipando a un bando pubblico. “Il rappresentante del Ministero ha anche ammesso che la decisione di demolire le nostre case risale al 2020”, aggiunge Ahdaf. “Allora abbiamo fatto un controllo e abbiamo scoperto che era vero. Nessuno ci aveva detto niente sino a fine giugno ma siamo certi che il governo aveva deciso di mandarci via già da due anni”.

La casa di Ahdaf è stata portata via il 4 luglio. Per il momento la terrà ormeggiata fuori dalla città. Ma tra gli abitanti c’è chi non ha i soldi per pagare le multe e chi non ha un alloggio alternativo. “Almeno 3 famiglie non sanno dove andare. Noi abbiamo fatto due ricorsi, una per le bollette e uno per l’ordinanza che impone la rimozione delle case. Porteremo il caso nei tribunali di competenza”, conclude Ahdaf.

I piani urbanistici del regime per modellare un nuovo Egitto

Quello che sta succedendo sulle rive del Nilo è la conseguenza di una delle strategie più importanti del regime egiziano. È la nuova pianificazione urbana che già dai primi anni dal colpo di stato del presidente al-Sisi sta ridisegnando l’intera capitale e altre grandi città del paese.

Il governo e l’esercito costruiscono nuove infrastrutture, riducendo in macerie tutto quello che ostacola i loro progetti. “Uniscono gli imperativi economici e di sicurezza a discapito del bene pubblico e di uno sviluppo economico sostenibile”, ha scritto l’analista politico Maged Mandour in un lungo articolo per il Carnegie Endowement for International Peace2.

“Il regime sta tentando di alterare radicalmente il paesaggio urbano nazionale con un’enfasi speciale sul Cairo. Lo scopo è minimizzare l’impatto dei disordini di massa, e, allo stesso tempo, di agevolare la repressione tramite la nuova conformazione delle città”. Ridisegnare gli spazi per aumentare gli affari, in cui sono coinvolti le aziende dei militari, e fare in modo che le autorità possano controllare meglio i loro cittadini. Il progetto di punta di questa nuova strategia è la Nuova Capitale amministrativa. È una cattedrale nel deserto, sorge a 50 km a est del Cairo e costa 58 miliardi di dollari, quasi dodici volte il nuovo Canale di Suez, inaugurato nel 2015. La nuova Capitale avrà palazzi presidenziali, edifici governativi, un quartiere dedicato alle sedi delle imprese nazionali e internazionali, e sarà in grado di ospitare 6 milioni di residenti. Nel 2021 i dipendenti pubblici hanno iniziato a trasferirsi nei nuovi palazzi lasciando il centro del Cairo.

Ma al momento, a causa della pandemia e della gestione opaca dei fondi e dei finanziamenti, il progetto resta ancora incompiuto. Intanto, interi quartieri della capitale sono stati demoliti, e i loro abitanti sfrattati, per fare posto al passaggio di ponti e autostrade per collegare la “vecchia Cairo” con il nuovo quartiere faraonico. E proprio per costruire una nuova arteria stradale, il regime ha sacrificato un altro pezzo del suo patrimonio storico: il cimitero della “Città dei morti”. Lo sgombero è iniziato lo scorso aprile e ora di quei monumenti resta poco o nulla.

In quel cimitero convivevano vivi e morti con sepolture illustri. Per chi abitava tra le tombe, il governo ha riservato un condominio nel mezzo del deserto. Dovranno pagare un affitto che nessuno degli occupanti del cimitero può permettersi.

Alle tombe storiche non è andata meglio. Persino la salma della regina Farida, prima moglie di Farouq che regnò sull’Egitto dal 1936 al 1952 - anno della rivoluzione degli Ufficiali Liberi - è stata trasferita e tumulata in una vicina moschea.

La storia in cambio della modernità e degli affari, dicono gli attivisti. In un modello urbano che guarda sempre di più ai paesi del Golfo. “Vogliono trasformare ogni centimetro di terra in un progetto di business”, dice Ahdaf Soueif. “Non si rendono conto che la cosa che distingue veramente il Cairo da Abu Dhabi o Dubai è il nostro patrimonio storico e culturale”.

Per Yasmine el-Rashidi, invece, la mentalità dell’esercito non è legata alla cultura. "Lo si evince da quello che hanno fatto in questi anni. E’ chiaro che non capiscano il valore dei monumenti e delle opere che ci circondano”, dice.

Se alcune operazioni come la città dei morti sembrano essere passate in sordina nel dibattito pubblico egiziano, l’attenzione mediatica locale verso la demolizione delle houseboats è senza precedenti e diversi canali sulle tv nazionali, tutti rigorosamente allineati con il regime, hanno iniziato a parlarne.

“Per la prima volta abbiamo visto alcuni commentatori più in vista della tv egiziana difendere le houseboats e dire che l’innovazione e la storia possono vivere insieme”, dice Yasmine el-Rashidi.

La battaglia non finisce qui. Ahdaf sta progettando un centro culturale che sorgerà nel nuovo posto dove è stata ormeggiata la sua ‘awwama e mantiene aggiornato il pubblico dai suoi canali social raccontando le operazioni delle autorità sulle rive del suo amato Nilo. Il comitato contro la demolizione delle case continua a riunirsi con gli inquilini e segue l’evoluzione dei ricorsi nella lenta marcia burocratica dei tribunali egiziani.

Tutti sanno che in gioco non c’è solo il destino di una decina di case ma il futuro di una intera città. “Siamo di fronte alla fine di un’era”, dice Yasmine el-Rashidi. “È come se Il Cairo, quello che ho sempre conosciuto, si stia perdendo per sempre”.