
Giovedì 27 febbraio 2025.
Oggi è passato un anno da quando Orient XXI mi ha dato l’opportunità di avere uno spazio dove potermi esprimere. È grazie a loro che si parla della Palestina, e soprattutto di quello che sta avvenendo a Gaza. È stata un’amica giornalista, Gwenaëlle Lenoir, moglie del mio fraterno amico Pierre Prier ad avere l’idea di questo Diario da Gaza e a suggerirmi di proporlo a Orient XXI. Lo scopo era quello di raggiungere un pubblico più ampio rispetto a quello del mio gruppo WhatsApp, che conta circa 150 persone, tra cui molti giornalisti francesi. La redazione ha accettato la proposta e così siamo partiti subito. Con i mezzi che avevo a disposizione: all’epoca, non avevo un pc portatile, ma solo un vecchio smartphone. Il metodo è questo: io detto, in francese, Pierre trascrive, e la redazione edita l’articolo. Per questo desidero ringraziare l’intera redazione, il direttore di OrientXXI Alain Gresh, la caporedattrice Sarra Grira e tutti gli altri colleghi e le altre colleghe che non conosco. Prima parlavo a 150 persone e, d’un tratto, eccomi a scrivere per migliaia di lettori e lettrici di lingua francese, in Francia e in altri paesi.
Nello spazio che mi veniva offerto, come potevo far sentire la voce di Gaza? Non mi era più possibile fare il mio lavoro di giornalista per mancanza di risorse. Quando vivevo ancora a Gaza City, il nostro quartiere era stato circondato e non potevo muovermi. Quando ci siamo dovuti rifugiare a Rafah, nel sud, non era quasi più possibile muoverci liberamente per fare ricerche o reportage. Così ho deciso di parlare di me e della mia famiglia.
Ho cominciato a scrivere quello che non potevo dire
Sono uno dei 2,3 milioni di persone che stanno vivendo questo genocidio. Io sono solo un esempio tra gli altri. Raccontando la nostra storia, quella di Sabah, mia moglie, di mio figlio Walid e ora del piccolo Ramzi, appena nato, parlo della storia di Gaza. Su Orient XXI posso raccontare tutto ciò che vedo, le mie sensazioni, le mie paure, le mie analisi, anche se non sono ottimistiche. Tutte cose che non posso fare con la mia famiglia, i miei amici, i miei vicini, perché vorrei sempre tirarli su di morale. E così mettevo una maschera, non solo con mio figlio Walid di tre anni. Avevo l’impressione di vivere una vita parallela dove tutto andava bene.
Era difficile portare tutto dentro, o, come si dice da noi, in corpo, portare questo fardello. A far uscire tutto, è arrivato Orient XXI, così ho cominciato a scrivere quello che non riuscivo a dire. La maggior parte dei miei amici qui non conosce il francese. All’inizio, per me era uno spazio per poter sperare, per esprimermi, e anche per compensare l’iniquità dei media. Su Orient XXI, ho trovato davvero uno spazio di libertà, dove posso usare termini che non si possono scrivere o dire su altri media dove si teme sempre di essere accusati di antisemitismo, se si criticano troppo apertamente Israele e Netanyahu. Il genocidio avviene anche a livello mediatico, in un certo senso un “mediacidio”, dove tutto è permesso, dalla falsificazione della realtà all’inversione dei ruoli tra carnefici e vittime, fino all’annientamento di un popolo a colpi di caricature e disprezzo.
Conosco bene i media europei. Li seguo quando riesco a connettermi. So che alcuni giornalisti sono stati licenziati dalla radio a causa di Gaza, che alcuni comici non riescono più a trovare spazio perché hanno parlato dell’aggressione israeliana. I palestinesi devono essere delle vittime gentili, non devono lamentarsi, né dire “basta”, né tantomeno parlare delle torture nelle carceri israeliane. Bisogna fare le vittime e tacere. Essere ragionevoli ed accettare la legge del più forte.
Tantissimi messaggi inviati dalla redazione
Ma non tutti i giornalisti si sono lasciati abbindolare dalla propaganda israeliana. L’ho capito quando ho ricevuto due premi per il mio Diario da Gaza su Orient XXI al Premio Bayeux Calvados-Normandie per i corrispondenti di guerra: quello nella categoria carta stampata, assegnato da una giuria di colleghi, e quello per l’importante quotidiano regionale Ouest-France, che, da quanto so, pubblica spesso degli articoli che esprimono il punto di vista dei palestinesi. Un premio prestigioso che ha dimostrato a tutto il mondo che è possibile essere giornalista e palestinese, contrariamente a quanto spesso viene detto o scritto. Ma il riconoscimento significa anche che non è così difficile vedere da che parte è la giustizia. Un proverbio arabo dice che non si può nascondere il sole con un setaccio. Questi premi rappresentano per me una vittoria, quella di una piccola penna di Gaza contro un arsenale mediatico.
Quello che mi è piaciuto ancor di più della mia esperienza con la redazione di Orient XXI è l’aver trovato una grande famiglia in Francia. All’inizio, la mia famiglia francese erano i miei amici giornalisti con cui avevo lavorato quando era ancora possibile entrare a Gaza. Questa famiglia è cresciuta fino ad arrivare a migliaia di lettori. Oggi ricevo tantissimi messaggi inviati dalla redazione. Tanti lettori mi ringraziano per aver fatto conoscere loro l’umanità degli abitanti di Gaza, altri mi chiedono in che modo possono sostenermi. Purtroppo, non uso molto i social, non ho un account su Facebook, né su X. Uso solo WhatsApp.
Parlare di me stesso o della mia famiglia non mi viene naturale. La mia vita privata ha una grande importanza per me, ma, in via eccezionale, ho infranto questa regola. Ho sacrificato la mia vita privata per parlare di Gaza e della Palestina attraverso la nostra esperienza personale. Non me ne pento, perché la mia famiglia oggi conta migliaia di persone. Non faccio alcuna propaganda, parlo solo della mia vita, di ciò che vedo o di quello che vivo. Non diffondo alcuna ideologia, parlo solo di giustizia. Parlo a nome di un popolo che è sotto occupazione dal 1948, e che ora sta subendo un genocidio che si vuole rendere invisibile.
So che molte persone hanno scoperto il mio Diario da Gaza grazie al libro pubblicato dalla casa editrice Libertalia. Dopo la pubblicazione, ho ricevuto tantissimi messaggi da lettori e lettrici che avevano scoperto il mio lavoro per caso, entrando in una libreria. E ora è in uscita una seconda ristampa, che conterrà nuove pagine!
È grazie a voi, lettori e lettrici, che migliaia di persone oggi possono capire quello che stiamo vivendo a Gaza. Voglio ringraziare questa nuova famiglia e spero di essere all’altezza della loro fiducia.
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