È il 5 novembre 2021.1 Alaa misura a grandi passi la gabbia nella quale è rinchiuso, nell’aula del tribunale dove si sta tenendo la seconda udienza del processo che lo vede imputato per terrorismo, diffusione di informazioni false lesive della sicurezza nazionale e uso dei social media a fini sovversivi. Si sbraccia, gesticola, letteralmente non riesce a stare fermo, tanta è l’energia repressa. Afferra la protezione della gabbia e la scuote quando il giudice, teatralmente, esce dall’aula furente perché qualcuno sta scattando delle fotografie.
Che amara ironia, lui, il rappresentante di una giustizia corrotta e asservita al potere, protesta, mentre in quest’aula tre uomini che hanno votato la propria esistenza alla difesa della libertà e della giustizia, Alaa Abd el-Fattah, Mohamed el-Baqer e Mohamed Ibrahim Radwan, affrontano un processo farsa, in cui lo stato di diritto viene pervertito nell’estensione arbitraria della legge di emergenza e nel totale disprezzo dei normali standard processuali.2 Alaa è stanco: “Non ce la faccio più a vivere come una bestia. Mangiare, bere, cagare, pisciare. Non ce la faccio più” dice ai familiari, che cercano di vederlo e parlargli, approfittando dell’uscita del giudice dall’aula. “Non sei una bestia! Pensa, tesoro, pensa!” Poco prima dell’inizio dell’udienza, appena le aveva viste, alla madre Leyla, alla sorella Mona, alla zia Ahdaf, aveva chiesto: “Notizie, avete delle notizie da darmi? Cosa succede in Sudan?” E allora ad ogni informazione, ecco che commenta, chiede dettagli, contestualizza, spiega, chiede ancora: “Quando si va a elezioni in Sudan?” tra l’ilarità e lo stupore delle quattro guardie, sedute con le schiene aderenti alla gabbia, che si trovano in mezzo a quel botta e risposta.
“Pensa, Alaa, pensa”! Così che loro, che da oltre due anni ti negano libri, carta, luce del sole ed esercizio fisico, non ti privino dell’essenza di te stesso, della tua stessa dignità. E per quanto Alaa sia abbattuto e stanco, le sue idee, sono riuscite, grazie allo sforzo collettivo della sua famiglia e di una rete internazionale di editor, giornalisti ed organizzazioni di advocacy come Amnesty International e ARCI, a uscire dalle stanze cieche del confinamento corporeo, materializzandosi in un libro prezioso che ha da poco visto la luce in due edizioni contemporanee, una in lingua inglese3 e una in italiano, Non siete ancora stati sconfitti, pubblicata da Hopeful Monster, con la cura editoriale di Paola Caridi e traduzione di Monica Ruocco.
Scrittura, pratica del sé e (r)esistenza in carcere
Il libro, «un manuale di attivismo», come è stato ben definito,4 e un lavoro d’amore, raccoglie un’antologia del pensiero di Alaa Abd el Fattah, figura iconica del rivoluzionarismo egiziano, sviluppatore informatico, blogger e attivista, intellettuale, narratore incisivo e visionario incarcerato da otto anni nelle prigioni egiziane, da oltre due in detenzione preventiva in condizioni estreme nel carcere di massima sicurezza di Tora. Le riflessioni di Alaa ci accompagnano attraverso l’ultimo decennio della storia d’Egitto, dall’apogeo del fermento di Piazza Tahrir nel 2011 al cupo presente controrivoluzionario, tramite saggi, articoli, contenuti social, parole carpite nella sua prigionia e poi diffuse all’esterno da catene di trasmettitori che rimangono anonimi perché, come si spiega bene nell’introduzione dei curatori all’edizione italiana, “l’autoritarismo poggia sul fatto che le conseguenze siano imprevedibili” e l’unico scopo dell’opera è quello di far conoscere le parole del suo autore (p.19). Questo libro ci consegna innanzitutto la voce di Alaa, impegnato nel titanico sforzo di resistere fuori dalla retorica della resistenza (p. 207) alla violenza di stato tramite il costante esercizio della mente e del pensiero critico, ma è anche tante altre cose. Nel suo aspetto più universale, si situa all’interno di una più vasta tradizione di scrittura carceraria e di riflessione sul rapporto tra pratiche disciplinari e forme di soggettivazione. Scrivere significa dare forma ai pensieri, ordinare la realtà. È un atto creatore e di affermazione del sé. In questo senso dunque, la negazione della scrittura costituisce una pratica de-umanizzante finalizzata ad annichilire il detenuto, al pari del suo confinamento fisico e della rimozione dallo spazio pubblico. La storia di Alaa e della sua (r)esistenza attraverso la scrittura costituisce una parte fondamentale di una storia globale di opposizione al potere necropolitico nelle sue molteplici manifestazioni storiche.
Storia della rivoluzione e biografia intellettuale
Troviamo poi in queste pagine l’intreccio tra la storia del rivoluzionarismo egiziano contemporaneo, scandita dalle riflessioni dell’autore sugli snodi delle lotte dell’ultimo decennio e la biografia intellettuale di Alaa, che di questa rivoluzione è diventato volente o nolente un simbolo. Dalla blogosfera alla piazza, la traiettoria di Alaa rappresenta molto bene il profilo di una generazione di attivisti arabi che, a cavallo della fine del primo decennio degli anni 2000, ha inizialmente trovato nei social media uno spazio virtuale e relativamente libero per articolare una profonda disanima del malessere civile del loro tempo, individuare responsabilità e dibattere strategie e modalità pratiche per generare cambiamento. Alaa è già figura di riferimento della dissidenza egiziana ben prima di Tahrir infatti, come fondatore, insieme alla moglie Manal Hassan, di manalaa.net, aggregatore di blog egiziani e spazio virtuale in cui si forma la nuova coscienza politica giovanile emergente cui Tahrir fornirà poi la prima occasione storica di reale protagonismo. Sullo sfondo di un’ eredità famigliare di attivismoche ben gli trasmette il senso della mobilitazione e della disobbedienza civile, la blogosfera è per Alaa uno spazio fondamentale di elaborazione del pensiero che però non vi si esaurisce, ma trova nello spazio pubblico la necessaria e naturale dimensione di azione. Alaa è alla guida di una campagna a favore dell’indipendenza della magistratura egiziana quando viene arrestato per la prima volta nel 2006. Si trova invece in Sudafrica nel gennaio del 2011, quando la piazza si popola e si rivela essere quello spazio del possibile in cui, forse per la prima volta nella storia egiziana, paiono esistere le condizioni per una riconfigurazione del patto sociale in senso inclusivo e partecipativo. Alaa torna al Cairo e si mette al servizio della causa: profondamente influenzato dall’esperienza sudafricana, pone come centrale il tema del ripensamento della comunità politica egiziana. Attraverso un processo di giustizia riparativa e la dismissione di ogni feticcio ideologico novecentesco, nazionalismo e identità in primis, Alaa è convinto che il dialogo di tutte le parti possa portare a “un nuovo progetto collettivo” e alla “decostruzione dei linguaggi di potere” (p. 209) al fine di elaborare soluzioni ai problemi complessi ed apparentemente irrisolvibili dell’ Egitto.
Nel 2011 Alaa viene arrestato di nuovo per due mesi. Il 2012 lo vede infaticabile. In un anno politicamente tumultuoso e convulso, usa i social media per pungolare l’opinione pubblica alla mobilitazione e all’esercizio del pensiero critico, ciò che porterà alla vendetta controrivoluzionaria che si abbatterà su di lui ineluttabile a partire dal novembre 2013. Da allora inizia un periodo di reclusione che dura tutt’oggi, con la tetra eccezione di un periodo di libertà vigilata tra il marzo ed il settembre 2019 quando, nell’ambito di una riorganizzazione della sicurezza interna e conseguente stretta sull’attivismo, viene prelevato dalla caserma di Doqqi in cui rimane confinato nelle ore notturne e rimandato direttamente in carcere in detenzione amministrativa. Il libro documenta ciascuna di questi momenti restituendoci il processo di formazione di un pensiero estremamente affilato, francamente impressionante per la profondità e la vastità di analisi, in cui si affrontano dirimenti questioni di forma e prassi di emancipazione e agency collettiva tra locale e globale, discussioni sulla contemporaneità, sull’attivismo, sulla natura del potere e la condizione di detenuto.
“Non siete ancora stati sconfitti”
In tutto questo trova spazio anche una disillusa, amara, valutazione dell’esperienza di Piazza Tahrir, un senso di sconfitta a tratti esorcizzata dall’autoironia, la percezione che un’occasione storica sia stata persa a causa di una fondamentale immaturità del movimento. Tuttavia, quello che forse più rimane al lettore, paradossalmente, è anche altro, accanto all’ammirazione e alla riconoscenza nei confronti di un uomo, da poco quarantenne, che è in grado di farci cogliere il senso dell’apparentamento delle lotte degli umili, ovunque, senza retorica ed eroismo, un senso di recondita speranza:
Siamo stati, e poi siamo stati sconfitti, il significato è stato sconfitto con noi. Ma non siamo ancora morti, e anche il significato non è stato ucciso. Forse la nostra sconfitta era inevitabile, ma il caos che sta investendo il mondo darà vita, prima o poi, a un mondo nuovo, un mondo che ovviamente sarà governato dai vincitori. Nessuno potrà ostacolare i potenti, né riuscirà a stabilire i margini di libertà e giustizia, né potrà fissare gli spazi di bellezza e la possibilità di una vita comune tranne i deboli, che insistono sul fatto che il significato dovrebbe prevalere, anche dopo la sconfitta”(p. 190).
La causa di Alaa è universale e la prospettiva globale e transnazionale che le è centrale ne costituisce la dimensione di speranza, insieme all’atteggiamento di responsabilità individuale a cui ci chiama. Nel 2017 ad Alaa viene consentito di mandare una lettera alla RightsCon, una conferenza di techies sul rapporto tra etica e tecnologie, cui era già stato invitato a ridosso della condanna del 2011 e scrive:
Viviamo in tempi estremamente reazionari. La mia sconfitta era inevitabile. […] A differenza di me non siete ancora stati sconfitti. Non ho molto da dire né consigli da dare. Dopo tutto sono fuori dal mondo e mi sento leggermente datato. Il meglio che posso fare è ripetere i temi che toccavo […] in passato. Migliorate la vostra democrazia […]: se i diritti umani fanno un passo indietro in un contesto in cui la democrazia ha radici profonde, ciò sarà sicuramente usato come pretesto da società in cui i diritti sono più fragili; non fate il gioco delle nazioni: […] ci rivolgiamo a voi non perché siamo alla ricerca di potenti alleati, ma perché affrontiamo gli stessi problemi globali, condividiamo valori universali e crediamo fermamente nel potere della solidarietà; difendete la complessità e la diversità […] rivendicate il vostro diritto ad essere creatori, non consumatori. (p. 191-4)
È imperativo concludere con le parole di Alaa. Il suo appello, che interroga direttamente chiunque creda nella possibilità stessa di sovvertire l’attuale narrazione del potere e costruire qualcosa di nuovo, è un invito all’azione e alla lotta contro le forze dell’indifferenza “che potentemente operano nella storia”,5 ancora più incisivo nella misura in cui arriva dal profondo del dispositivo repressivo. Non lasciamolo cadere inascoltato.
1Questa sezione introduttiva è un adattamento narrativo del post Facebook di Ahdaf Soueif, romanziera, intellettuale ed attivista egiziana nonché zia materna di Alaa Abd el Fattah, dello scorso 5 novembre. https://www.facebook.com/ahdafsoueif
2Insieme ad Alaa Abd el Fattah, blogger e attivista, in aula siedono Mohamed al Baqer, avvocato specializzato in diritti umani e membro fondatore del Centro per le libertà e i diritti Adala, arrestato nel settembre 2019, e Mohammed Ibrahim Radwan, noto come Oxygen, blogger arrestato per aver denunciato irregolarità nelle operazioni di voto delle presidenziali del 2018. Per una recentissima esposizione generale delle irregolarità processuali, si veda https://barhumanrights.org.uk/continued-prosecution-and-detention-of-alaa-abd-el-fattah-mohamed-el-baqer-and-others-before-the-egyptian-state-security-court-raises-concern-about-egypts-profound-rule-of-law-crisis/?fbclid=IwAR3IcJ80EEL0EAT4uK4BuHC74w9EaW8Q9Nw9N31NMpzYDtPiHy1tWnPDJaY
3You have not been defeted: selected works, 2011-2021, Londra, Fitzcarraldo, 2021
4Emanuele Russo, presidente di Amnesty International Italia, durante la presentazione di Non siete ancora stati sconfitti al Salone Internazionale del Libro di Torino, 15 ottobre 2021.
5Antonio Gramsci, Indifferenti, 11 febbraio 1917.