L’Egitto oltre la rivoluzione e la controrivoluzione
Il volume curato da Marta Bellingreri e Costanza Spocci è un omaggio all’Egitto laico e progressista che, alla vigilia del colpo di stato del 2013, non stava né con i militari, né con i Fratelli musulmani.
Dopo anni di odiosa detenzione politica da parte del regime di Abdel Fattah al-Sisi, la notizia, alla fine dello scorso mese, della liberazione di Alaa Abd El-Fattah, personaggio simbolo della rivoluzione egiziana del 2011, è stata una boccata d’aria per migliaia di persone in tutto il mondo.
Mentre i feed dei nostri social sono ancora invasi dalle terribili notizie sul genocidio in corso a Gaza, vedere il video che mostra Alaa entrare nel soggiorno di casa sua al Cairo dopo sei anni di prigionia, gridando di gioia e abbracciando teneramente l’esile madre Laila Soueif, ancora fisicamente provata da mesi di sciopero della fame in suo sostegno, è stato consolante e liberatorio.
Oggi, decine di migliaia di prigionieri di coscienza presenti nelle carceri egiziane rimangono in parte orfani del loro più carismatico emblema internazionale: fortunatamente per lui, Alaa non può più rappresentarli a pieno titolo.
Ora che il blogger di Piazza Tahrir è finalmente fuori dal carcere, è necessario tenere alta l’attenzione sui detenuti politici egiziani, allargando lo sguardo a quei “tutti” che venivano sempre evocati accanto al nome di Alaa durante le campagne per la sua liberazione. #FreeAlaa, #FreeThemAll erano, infatti, i due hashtag, inscindibili, usati dal movimento per la scarcerazione di Alaa.
Le storie di chi sfida il regime
Allo scopo di conoscere meglio il mondo degli “all”, di quei “tutti” che hanno sfidato il regime egiziano finendo spesso in carcere o vittime di sparizione forzata, il lettore italiano trova una risorsa nel libro “Generazione Cairo – Le storie di chi sfida il regime”, curato da Marta Bellingreri e Costanza Spocci, edito quest’anno dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.
Se è vero che i saggi raccolti nel volume sono spesso ispirati al pensiero e all’azione dei Seif, la famiglia da cui proviene Alaa e che, come scrivono le curatrici, ha fatto “la storia della dissidenza in Egitto”, le loro vicende si inseriscono, infatti, in un racconto corale molto più ampio.
Introdotto da una prefazione della giornalista e saggista Paola Caridi, il testo raccoglie il lavoro di autori vari e con profili differenti, egiziani e italiani, accomunati da una profonda conoscenza dell’Egitto contemporaneo e dalla speranza che il Paese possa e debba ancora completare un processo rivoluzionario, solo iniziato nel 2011.
Il testo di Spocci è un ricordo avvincente e nostalgico della sua esperienza di Piazza Tahrir, arricchita da precisi riferimenti storici, sul contesto sociale e sul vivace fermento culturale di quel periodo.
La storica dei paesi arabi Lucia Sorbera si concentra, nel capitolo da lei curato, sul femminismo, dalle sue radici, che risalgono a oltre un secolo fa, fino alle proteste delle donne egiziane di oggi, in prima linea nelle manifestazioni per Gaza, represse dal regime di al-Sisi con violenze e arresti.
Alle donne e a Gaza torna Lina Attalah, voce iconica del giornalismo indipendente egiziano, che nelle sue riflessioni traccia un filo ideale tra le gazawi e le egiziane che restano vicine ai propri cari detenuti, come ha fatto lei stessa con l’amico Alaa. Nel suo testo, la cura e la capacità di dare la vita si configurano come antidoto contro la necropolitica in atto a Gaza come in Egitto, contro quel “potere di decidere chi può vivere e chi deve morire” teorizzato dal filosofo Achille Mbembe1.
A questo concetto di Mbembe si ispira gran parte della riflessione che Spocci e Bellingreri stanno portando avanti in una serie di lavori sul regime egiziano, a cominciare dal loro podcast Cairo Necropolitik, che ha preceduto il libro e che si basa in parte sugli stessi materiali, tra cui citiamo un’intervista a Sanaa Seif, attivista e sorella di Alaa Abd El-Fattah
Necropolitica
Se la necropolitica è il potere di decidere chi può vivere e chi deve morire, le fotografie di Mohamed Hozyen, presenti nel testo in un inserto a colori, indagano sul potere di decidere quali luoghi possano vivere e quali debbano, invece, morire. Dal colpo di stato di Al-Sisi (2013) in poi, infatti, Il Cairo, così come altre città, è oggetto di una forsennata opera di demolizioni ordinate per fare posto a nuovi progetti, spesso finanziati dai paesi del Golfo.
Queste operazioni non hanno solo danneggiato elementi del patrimonio culturale della città, colpendo ad esempio le case galleggianti del Nilo o gli antichi sepolcri della città dei morti, ma soprattutto, come testimonia il lavoro di Hozyen, aggredito la memoria collettiva e le reti sociali di quartieri storici del Cairo, come il distretto di al-Bulaq.
Alla dimensione più squisitamente politica tornano Francesco De Lellis e Gennaro Gervasio, studiosi da molti anni dei movimenti sindacali e delle lotte contadine in Egitto, ampliando il focus temporale della loro riflessione oltre i fatidici 18 giorni di piazza Tahrir e allargandolo, anche in senso geografico. Il loro contributo spazia, infatti, dalle città industriali come Mahalla al-Kubra, fino alle campagne e all’isola di al-Warraq, dove i residenti si oppongono allo sfratto che dovrebbe far posto ai piani di sviluppo immobiliare degli Emirati.
Sul piano temporale, la “lunga rivoluzione” egiziana si è protratta, come ricordano De Lellis e Gervasio citando la studiosa Maha Abdelrahman, per oltre un decennio in cui “lavoratori, contadini e (sostanzialmente) tutti gli altri sono stati al cuore del processo”2. Ricostruendo la lunga genealogia della rivoluzione attraverso i movimenti che l’hanno preceduta e anticipata, e osservandone i riflessi sulla società rurale, Gervasio e De Lellis contribuiscono a smentire due narrazioni della rivoluzione del 2011 fatte circolare, in Occidente e in Egitto, con intenti reazionari.
La prima: che l’occupazione di piazza Tahrir sarebbe stata possibile, dal nulla, solo “grazie” a un paio di corporation statunitensi, al secolo Facebook e Twitter. La seconda, che la rivoluzione sarebbe stata in qualche modo il frutto di una macchinazione imperialista ordita dall’Occidente.
Infine, Patrick Zaki, che è stato detenuto in Egitto per le sue opinioni per oltre un anno e mezzo, torna a parlare di carcere a partire dalla sua esperienza, in amare considerazioni che mettono in rapporto la disgregazione delle reti di solidarietà interne al carcere con le conseguenze di una grave crisi economica che ha spinto milioni di cittadini egiziani verso la povertà.
Oltre Tahrir
Al di là del percorso universitario di molti tra coloro che hanno contribuito al libro, “Generazione Cairo” non è tanto un testo accademico quanto, soprattutto, una raccolta di testimonianze e un atto d’amore per l’Egitto che le autrici e gli autori hanno conosciuto e animato in prima persona. Spaziando dalla filosofia alla storia, dalla fotografia al racconto autobiografico, il testo si presenta come un variegato omaggio all’Egitto laico e progressista che, alla vigilia del golpe di al-Sisi del 2013, non stava né con i militari, né con i Fratelli musulmani.
Attraverso i suoi diversi linguaggi, il volume sembra indicare anche una direzione per il futuro a chi è rimasto orfano dell’entusiasmo rivoluzionario del 2011, invitando a guardare oltre Tahrir, fin dentro le carceri dove languono tanti prigionieri politici, fino a Gaza e alle battaglie che più ci animano oggi.
Generazione Cairo è il libro dell’Egitto che continua, talvolta in maniera sotterranea, talvolta in modo luminoso, come nel caso della famiglia Seif, ad opporsi alla necropolitica del regime, con ostinata abnegazione e con appassionata militanza per i diritti, per la libertà, per la vita. Ed è un invito, forti dell’eredità di una rivoluzione ancora in corso, a seguire il loro esempio.
Lo spirito che accomuna le “storie di chi sfida il regime” è quello di un ostinato sumud, una solida perseveranza che resiste alla necropolitica della dittatura attraverso una militanza per la vita che si esprime in molti modi.
Nella cura di chi risponde alla brutalità del carcere preparando un dolce per i detenuti, nella prodigiosa generatività delle donne palestinesi ed egiziane, che si oppone ai diktat demografici del potere. Nelle reti di solidarietà che resistono ai bulldozer ad al-Bulaq. Nelle lotte dei contadini dell’isola di al-Warraq, che, a dispetto dei tentativi di espulsione, continuano a gettare semi, così come fanno le attiviste e gli attivisti egiziani che lavorano nell’ombra. Fino a quando la vita, ingovernabile a e testarda, tornerà a germogliare.
1Achille Mbembe, Necropolitica, Verona, Ombre corte, 2016.
2Maha Abdelrahman, Egypt’s long revolution, London, Routledge, 2014.
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