Fino a dove si spingerà Tel Aviv? Dopo aver ridotto Gaza a un cumulo di macerie, oltre alle accuse di aver commesso atti di genocidio contro la popolazione palestinese, Israele ha allargato la sua offensiva lungo il confine meridionale del Libano, con gli stessi metodi, gli stessi massacri, le stesse distruzioni, forte dell’appoggio incondizionato dei paesi donatori occidentali, diventati complici diretti delle sue operazioni.
Dopo i bombardamenti in Libano, il bilancio delle vittime è salito a 1.640 morti, mentre si intensificano le “incursioni” israeliane. Iniziate con l’attacco hacker che ha fatto esplodere i cercapersone, un grande “exploit tecnologico” che ha mandato in visibilio molti commentatori occidentali. Peccato per le vittime, uccise, sfigurate, accecate, amputate, vittime collaterali da mettere in conto. Si continuerà a dire ad nauseam che in fondo si trattava solo di Hezbollah, di una “umiliazione” per un’organizzazione che la Francia non considera terroristica. Come se le esplosioni non avessero colpito la società nel suo complesso, uccidendo in maniera indiscriminata miliziani e civili. Eppure, l’uso di trappole esplosive è una violazione del diritto internazionale, come ricordato da molti esperti e organizzazioni umanitarie1.
Le uccisioni sommarie dei leader di Hezbollah, compreso quello del segretario generale Hassan Nasrallah, sono state ogni volta accompagnate da numerose “vittime collaterali”, e la cosa non ha destato scandalo. L’ultimo affronto di Netanyahu all’ONU è stato che proprio lì, nella sede dell’organizzazione internazionale, ha dato il via libera al bombardamento della capitale libanese.
A Gaza e nel resto dei territori palestinesi occupati, i membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU stanno affossando ogni giorno di più i pareri emessi dalla Corte Internazionale di Giustizia (CIG). La Corte Penale Internazionale (CPI) esita ad emettere un mandato contro Netanyahu, malgrado il suo procuratore capo, Karim Khan, abbia denunciato pressioni “da parte dei leader mondiali” e di altri soggetti, comprese quelle personali e contro la sua famiglia2. Abbiamo mai sentito proteste da parte di Joe Biden, Emmanuel Macron o Olaf Scholz contro questa serie di attacchi?
È passato quasi un anno da quando qualche sporadica voce, quasi fosse un pazzo del villaggio, ha denunciato l’impunità del governo israeliano, incoraggiato dall’inerzia occidentale. Una guerra del genere non sarebbe mai stata possibile senza il ponte aereo militare che ha permesso di inviare forniture militari da parte americana – e in misura minore, europea –, e senza la copertura diplomatica e politica degli Stati occidentali. Volendo, la Francia potrebbe adottare delle misure per colpire realmente Israele, ma non ha intenzione di sospendere le licenze di esportazione di armi che le ha rilasciato. Per di più, potrebbe anche difendere all’Unione europea, con paesi come la Spagna, la sospensione dell’accordo di associazione con Israele. Ma non lo fa.
La Nakba palestinese senza fine e la distruzione accelerata in Libano non sono crimini solo di Israele, ma anche di tutto l’Occidente. Sui governi di Washington, Parigi e Berlino grava una responsabilità diretta. Al di là del messe in scena di questi giorni all’Assemblea generale dell’ONU, non ci si lasci ingannare dalla rabbia di Joe Biden, né dalle belle parole di Emmanuel Macron sulla “protezione dei civili”, pronunciate da chi non ha mai perso occasione per mostrare pieno sostegno al governo di estrema destra di Netanyahu. Non parliamo poi di quei diplomatici che hanno lasciato l’aula dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite al momento del discorso del premier israeliano, con un gesto che è apparso più come una catarsi che una scelta politica. Se i paesi occidentali sono i primi responsabili dei crimini israeliani, altri, come la Russia o la Cina, non hanno adottato alcuna misura per fermare questa guerra, che allarga ogni giorno di più il suo raggio, oggi nello Yemen e domani, chissà, in Iran.
Una guerra che ci fa sprofondare in un’epoca buia in cui le norme, il diritto, le misure di sicurezza, tutto ciò che impedisce all’umanità di cadere nella barbarie, vengono sistematicamente infrante. Un’epoca in cui una parte ha deciso di uccidere l’altra parte ritenuta “barbara”. “Abbiamo di fronte dei nemici selvaggi” – per riprendere le parole di Netanyahu – che minacciano la “civiltà giudaico-cristiana”. Il premier israeliano sta cercando di trascinare l’Occidente in una guerra di civiltà con connotazioni religiose, di cui Israele si considera l’avamposto in Medio Oriente. Con un certo successo.
Gli Stati che continuano a rifornire militarmente Israele di armi e esplosivi, con il loro incrollabile sostegno a un fallace “diritto a difendersi”, con il rifiuto di concedere ai palestinesi il diritto all’autodeterminazione e alla resistenza di fronte a un’occupazione che la Corte Internazionale di Giustizia ha decretato come illegale, ordinandone la fine – una decisione che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si rifiuta di attuare – sono responsabili della hybris israeliana. I membri di istituzioni prestigiose come il Consiglio di Sicurezza dell’ONU o il G7, i governi di questi Stati stanno sostenendo la legge della giungla imposta da Israele e la logica della punizione collettiva. Una logica già attuata in Afghanistan nel 2001 e in Iraq nel 2003, con i risultati che tutti ben conosciamo. Nel 1982, Israele aveva già invaso il Libano, occupato la zona meridionale, assediato la capitale Beirut e supervisionato i massacri nei campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila. È stata questa macabra “vittoria” che ha portato all’ascesa di Hezbollah, proprio come la politica di occupazione israeliana è culminata nel 7 ottobre. Perché la logica della guerra e del colonialismo non potrà mai portare alla pace e alla sicurezza.