Intervista con l’ambasciatrice Brigitte Curmi

Sanzioni: “Proteggere i siriani e cercare una soluzione politica”

Il terremoto che ha devastato la Turchia e la Siria ha rimesso al centro dell’agenda politica il tema delle sanzioni contro il regime di Bashar al-Asad. È ancora il caso di mantenerle? Sono realmente efficaci? Colpiscono il regime o la popolazione? Le risposte di Brigitte Curmi, ambasciatrice francese in Siria.

Nell'immagine si vede una scena di un'area di stoccaggio o mercato. Ci sono alcune persone che sembrano occupate a scaricare e trasportare materiali. Un uomo e una donna sono in primo piano: l'uomo indossa abiti scuri e tiene una cassetta, mentre la donna è vestita con un lungo mantello scuro e apparente una certa preoccupazione sul volto. Dietro di loro, ci sono merci come bottiglie di plastica e tappeti, oltre a veicoli e altri uomini che svolgono attività di carico e scarico. L'atmosfera sembra essere quella di un'operazione di supporto umanitario.
Distribuzione di aiuti umanitari ad Atareb, in provincia di Aleppo, 10 febbraio 2023.
Aaref Watad/AFP

Alain Gresh. — Nel nord-ovest della Siria, i convogli umanitari sono bloccati da una settimana e gli aiuti internazionali stanno arrivando solo col contagocce; come mai?

Brigitte Curmi. — È evidente che ci sono ragioni logistiche legate al blocco delle arterie stradali e al caos causato dal terremoto tra gli operatori umanitari nei primissimi giorni, ma esistono anche ragioni politiche che hanno impedito all’ONU di fornire assistenza in tempi rapidi nel nord-ovest della Siria.

Di chi è la colpa? Vorrei ricordare a questo proposito che la Russia e la Siria hanno sistematicamente ostacolato negli ultimi tre anni il rinnovo degli aiuti transfrontalieri dalla Turchia. Dei quattro valichi autorizzati dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU nel 2014 nel nord, est e sud della Siria, si è passati solo attraverso il valico di Bab Al-Hawa, approvato nel 2021. Malgrado tutti i nostri sforzi al Consiglio di Sicurezza di New York, il periodo di validità della risoluzione ONU che autorizza gli aiuti alle popolazioni siriane del nord è stato ridotto a sei mesi, per la forte opposizione della Russia, che ha diritto di veto, al tavolo dei negoziati.

Data la vicinanza del valico di Bab Al-Hawa dall’epicentro del sisma, le rotte du transito degli aiuti internazionali sono state gravemente danneggiate. Ci sono voluti otto giorni di negoziati perché Bashar al-Asad – dietro pressione di una proposta di nuova risoluzione – autorizzasse finalmente l’apertura di due vecchi valichi verso la zona colpita. Nel frattempo, i siriani nel nord-ovest del Paese si sono trovati di fatto abbandonati al loro destino, potendo contare solo sulla straordinaria mobilitazione delle Ong impegnate nelle attività di soccorso sul campo.

A. G.Dopo il sisma, gli Stati Uniti e l’Unione europea (UE) hanno revocato alcune sanzioni imposte alla Siria?

B. C. — Dopo il terremoto, sia l’Unione europea che gli Stati Uniti, ma anche il Regno Unito, hanno reagito introducendo un’esenzione trasversale al regime di sanzioni al fine di facilitare ancor di più le operazioni umanitarie e far fronte alle esigenze delle popolazioni.

Alcuni hanno visto quest’esenzione come un chiaro segno del fatto che le sanzioni frenano realmente gli aiuti umanitari come sostiene il regime. Non è affatto così: le sanzioni europee prevedevano già tutta una serie di deroghe ed esenzioni per gli aiuti umanitari. Le nuove misure adottate a Bruxelles mirano soprattutto a consentire alle Ong di agire con maggiore facilità e in tempi più rapidi, in particolare verso gli istituti finanziari che adottano spesso, per precauzione, una strategia di riduzione dei rischi (derisking1).

“Uno dei tanti strumenti della diplomazia”

A. G.I paesi occidentali vedono le sanzioni come un modo per indirizzare la politica di Damasco. Ciononostante, non ci sono stati passi in avanti dal punto di vista politico. Si sono dunque rivelate un fallimento?

B. C. — Le sanzioni europee, che sono specifiche, hanno effettivamente un obiettivo a lungo termine, che è quello di contrastare la politica repressiva del regime siriano. Inoltre, mirano a ostacolare l’attività di soggetti e istituzioni vicini al regime di Bashar al-Asad congelandone i capitali e impedendo che le loro transazioni passino attraverso l’Unione europea.

Le nostre sanzioni hanno prodotto degli effetti: hanno fermato le reti per la proliferazione delle armi di distruzione di massa in Siria; hanno prosciugato le risorse dell’apparato repressivo siriano e impedito inoltre a figure di spicco del regime di Damasco di spostarsi sul territorio europeo. Sono sanzioni mirate e specifiche che non colpiscono né impediscono l’esportazione di beni di prima necessità o di prodotti alimentari e farmaceutici.

Detto questo, le sanzioni sono uno dei tanti strumenti della diplomazia per far fronte a un conflitto di grande complessità. Non possono essere considerate un fallimento solo perché non c’è stato un cambio di regime. In realtà, la revoca delle sanzioni dipende dalla volontà di rispondere alle richieste chiare e precise contenute nella risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. È l’intransigenza del regime che fa sì che le sanzioni siano ancora in vigore. La revoca è nelle mani del regime, oltre che in quelle dell’Iran e della Russia, che lo hanno fortemente sostenuto nel proprio interesse, nel momento in cui era più a rischio.

A. G.Quando parliamo di sanzioni contro la Siria, a cosa ci riferiamo esattamente? Ci può fornire informazioni dettagliate a riguardo? Chi è che decide le sanzioni? Quelle adottate dagli Stati Uniti e dall’Europa, per esempio, non sono le stesse?

B. C. — L’UE ha adottato all’unanimità misure restrittive contro il regime siriano già nel maggio 2011 in risposta alla violenta repressione del regime contro la sua popolazione. Le sanzioni si riferiscono a questi documenti: una decisione del Consiglio europeo – che è vincolante per gli Stati membri – e un regolamento – che è vincolante per i cittadini dell’UE in qualsiasi parte del mondo e per le persone giuridiche all’interno dell’Unione. Dal 2011, queste sanzioni sono state regolarmente integrate e adattate per rendere questo strumento più accurato ed efficace. A differenza di alcune sanzioni statunitensi, le misure europee non sono quindi extraterritoriali.

In concreto, esistono misure restrittive individuali e settoriali.

Per le misure individuali, si tratta di restrizioni – congelamento dei beni, divieti di accesso al territorio europeo – nei confronti di individui o entità legate alla repressione o al finanziamento del regime siriano. Le sanzioni prendono di mira i principali di spicco dell’esercito siriano, ministri e altri uomini d’affari legati al governo, alle imprese statali, a società di copertura che consentono al regime di aggirare le sanzioni. Sono misure che vietano, ad esempio, di stabilire rapporti commerciali con loro.

Le misure settoriali, invece, vietano determinate transazioni relative al settore finanziario e bancario, delle armi e dell’energia in Siria. È vietata l’esportazione di attrezzature e tecnologie utilizzate per la repressione interna. Il finanziamento del regime attraverso l’acquisto di titoli di Stato, la fornitura di servizi assicurativi e di intermediazione, la fabbricazione di banconote per la Banca centrale o ancora è vietata la cessione di oro e metalli preziosi. Nessun bene di lusso può essere esportato in Siria. Alcuni settori, come l’elettricità, hanno restrizioni più limitate in merito alla possibilità di stipulare nuovi contratti, ma consentono comunque di mantenere i progetti in essere.

Come già detto, vi è un gran numero di deroghe ed esenzioni previste nell’ambito di questo regime di sanzioni, anche per i soggetti e le attività che operano in campo umanitario. Misure eccezionali e deroghe sono state da poco integrate con un’esenzione trasversale molto ampia per rispondere in modo più veloce all’emergenza del post-terremoto.

Le misure extraterritoriali di Washington

A. G.Diverse società e banche (specialmente europee) non applicano sanzioni “più ampie” di quelle decise per paura di incorrere in controversie legali con gli Stati Uniti? Ma le prime ad essere colpite non sono le popolazioni civili?

B. C. — È vero che la questione è complessa: alcune sanzioni americane hanno un ambito d’applicazione extraterritoriale, altre si applicano solo alle transazioni effettuate in parte sul territorio americano. Alcune imprese e banche europee scelgono quindi di applicare le sanzioni statunitensi in via precauzionale o, in alcuni casi, perché sono obbligate a farlo se effettuano le loro transazioni in dollari, ad esempio.

Non possiamo, come Stato, costringere soggetti privati a fare delle operazioni considerate rischiose. Tuttavia, a livello europeo, stiamo cercando di rendere il più chiaro possibile la regolamentazione esistente, comunicando o pubblicando istruzioni per l’applicazione delle sanzioni e introducendo, ove necessario, esenzioni e deroghe. Tutto ciò ha lo scopo di limitare dei comportamenti di non conformità.

Sento spesso dire che le popolazioni civili sono le prime vittime delle sanzioni internazionali. Non è vero. Questa è la narrazione del regime e dei suoi sostenitori, responsabili della situazione catastrofica in cui hanno fatto precipitare la Siria e il popolo siriano. Un pregiudizio duro da estirpare, ma le norme delle sanzioni europee e americane non prendono in nessun caso di mira i beni e i servizi essenziali per la vita quotidiana o il sostegno alla popolazione locale.

Al contrario, è la palese negligenza di un regime corrotto, repressivo e mafioso che ha trasformato la Siria in un cumulo di macerie, riducendo in miseria la popolazione. Ha davvero dell’incredibile che in questo momento si dia la colpa alle sanzioni per le sofferenze del popolo siriano, quando parliamo di un regime che ha bombardato la sua popolazione per dodici anni, usando anche armi chimiche, e che ora sta dirottando gli aiuti umanitari post-terremoto e bloccando i convogli diretti verso il nord-ovest della Siria.

Dal 2011, l’Unione europea è stata la prima a finanziare e sostenere la popolazione siriana nell’affrontare questa crisi, con oltre 25 miliardi di euro. Non dimentichiamo che molti degli edifici colpiti dal sisma sono stati distrutti o gravemente danneggiati dagli incessanti bombardamenti del regime e della Russia. Di fronte a questa immane tragedia, il nostro imperativo è duplice: non abbandonare il popolo siriano, ovunque si trovi, senza cadere nella trappola di Damasco, che sta sfruttando la catastrofe a suo favore.

Un sistema di elusione delle sanzioni creato da Russia e Iran

A. G.La Russia e l’Iran hanno istituito un sistema di elusione che dà ai due paesi un grande controllo sulla Siria. Le sanzioni non rischiano di aggravare tale dipendenza?

B. C. — L’Iran è presente in Siria da più di trent’anni e ha scelto subito da che parte stare all’inizio del conflitto, spingendo il governo siriano a non arrendersi e scegliere l’opzione militare contro un popolo che chiedeva i diritti più elementari. La Russia ha fatto della Siria il suo “laboratorio” – gli effetti sono sotto gli occhi di tutti in Ucraina –, appoggiando la repressione del regime con bombardamenti incessanti e indiscriminati sulla popolazione siriana e salvando il rais di Damasco per avere una leva geostrategica nel Mediterraneo. Il regime siriano si è volontariamente sottomesso a questo strapotere, preferendo perdere il suo popolo piuttosto che condividere il potere. Tutto ciò ha poco a che fare con il regime di sanzioni, anche se si devono trovare modi più efficaci per combattere questo sistema di elusione delle sanzioni.

Malgrado le proteste, il regime siriano non sta facendo alcun tentativo per ridurre questa dipendenza, sebbene la cosa ci preoccupi fortemente. Sono sempre più numerosi i gruppi paramilitari e le milizie iraniane presenti nel sud della Siria e su entrambe le sponde dell’Eufrate che partecipano a fianco del regime ai traffici di droga con conseguenze deleterie per l’intera regione, in primo luogo in Giordania e nei paesi del Golfo. E a breve, potrebbero esserci ricadute anche in Europa.

L’UE ha sanzionato a più riprese le attività destabilizzanti della Russia e dell’Iran in Siria. Sono azioni che rischiano di compromettere una soluzione politica inclusiva – che comprenda i siriani – che è assolutamente necessaria per creare le condizioni di una pace giusta e duratura.

A. G.Le sanzioni contro la Siria sono tanto più impopolari secondo l’opinione della regione perché il regime sembra non pagarne le conseguenze. Come in Iraq, le sanzioni non rafforzano il controllo del regime sulla popolazione? È stata compresa la lezione dalle sanzioni contro l’Iraq? Più in generale, nel Sud si ha la forte sensazione che siano sempre i paesi dell’ex Terzo Mondo ad essere presi di mira.

B. C. — A differenza del precedente embargo contro l’Iraq di Saddam Hussein, le sanzioni contro la Siria riguardano settori specifici dell’economia. Prendono di mira l’apparato repressivo e i signori della guerra e in nessun caso la popolazione, che al contrario va protetta. Abbiamo dunque imparato la lezione dalla storia dell’Iraq.

Però è anche vero che le opinioni sono molto importanti e dobbiamo più che mai raddoppiare i nostri sforzi per spiegare ciò che stiamo facendo e a quale scopo: la nostra politica in Siria mira a proteggere i siriani, cercando una soluzione politica che affronti le cause dell’attuale crisi. In questo contesto, le sanzioni europee sono uno dei pochi strumenti a nostra disposizione per fare pressione sul regime e spingerlo a cambiare. L’adozione di un’esenzione trasversale decisa dopo il sisma dimostra che sappiamo come affrontare situazioni d’emergenza, senza perdere le nostre finalità.

Continueremo a sostenere attivamente i siriani in Siria e i rifugiati nei vari paesi ospitanti. Dal 2011, l’Unione europea e i suoi Stati membri sono di gran lunga i maggiori donatori di aiuti umanitari ai siriani. La Francia è determinata a portare avanti il suo impegno al fianco di tutti i siriani, in ogni regione della Siria, così come nei paesi in cui sono rifugiati.

1Il de-risking si riferisce alle decisioni prese dagli istituti finanziari di non fornire servizi ai clienti in determinate categorie di rischio. [NdT].