Diario da Gaza 42

“Abbiamo rilanciato la Press House-Palestine”

Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI. Giornalista fondatore di GazaPress, un’agenzia di stampa che forniva aiuto e traduzioni ai giornalisti occidentali, Rami ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza con la moglie e il figlio Walid di due anni e mezzo. Rifugiatisi a Rafah, Rami e la sua famiglia sono stati costretti a un nuovo esilio interno, bloccati come tante famiglie in questa enclave miserabile e sovraffollata. Questo spazio gli è dedicato dal 28 febbraio 2024.

Nell'immagine si vede un uomo che cammina accanto a un'auto. Indossa una maglietta scura e ha delle cuffie che gli pendono dalle orecchie. Sullo sfondo si nota un camion verde e alcune piante. L'uomo sembra concentrato e diretto verso un punto specifico. A sinistra, è presente un'etichetta che indica il suo nome e la sua posizione, come direttore di un'organizzazione legata alla stampa in Palestina.
Bilal Jadallah, ex direttore della Press House (Palestina), ucciso dalle schegge di una granata il 19 novembre 2023.
Capture d’écran/Press House - Palestine.

Mercoledì 24 luglio 2024.

Oggi voglio darvi una bella notizia: pochi giorni fa abbiamo ripreso le attività della Press House – Palestine, un’organizzazione no-profit creata nel 2013 da un’idea di Omar Shaaban, Bilal Jadallah e mia per sostenere lo sviluppo dei media palestinesi indipendenti. L’abbiamo fondata con l’obiettivo di promuovere la libertà di stampa e per poter offrire assistenza ai giornalisti e ai reporter, soprattutto freelance. La nostra iniziativa è nata dalla constatazione che la maggior parte dei media palestinesi, in Cisgiordania come a Gaza, sono gestiti da fazioni politiche, cosa che costringe i neolaureati a lavorare per dei mezzi d’informazione di parte, se non direttamente per i partiti, anche senza avere alcuna appartenenza politica. L’idea era quindi quella di sostenere gli aspiranti giornalisti, dando loro una maggiore libertà e la possibilità di fare esperienza. Così abbiamo organizzato dei corsi di formazione e degli stage. Sono tanti i giornalisti stranieri, in particolare francesi e svizzeri, venuti qui a tenere corsi di giornalismo, lezioni sui reportage d’inchiesta o sulle tecniche di ripresa e montaggio audiovisivo. È stata davvero una bellissima iniziativa. Abbiamo lavorato davvero bene tanto da far diventare la Press House un luogo molto noto non solo a Gaza, ma anche in Cisgiordania.

Quasi tutti i giovani laureati sono venuti da noi per seguire corsi, ascoltare conferenze, partecipare a vari workshop. Abbiamo cercato di promuovere la libertà di espressione, in un paese in cui è difficile per i giornalisti svolgere il proprio lavoro, sia a causa degli israeliani che delle autorità locali.

Bilal era il mio socio

La figura carismatica della Press House era Bilal Jadallah, che ne era anche il direttore. È grazie a lui che abbiamo avuto così tanto successo. Per me Bilal non era solo un amico, ma un fratello. C’eravamo conosciuti durante la guerra del 2009. Il 19 novembre 2023, però è stato ucciso nel corso di un raid. Si trovava a Gaza City, ma aveva intenzione di tornare verso sud.

Alla rotonda di Salah al-Din, lui e suo cognato sono scesi dalla macchina per chiedere indicazioni, perché da quel luogo bisognava proseguire a piedi. Una granata di un carro armato è esplosa proprio accanto a loro. Bilal è morto sul colpo, mentre suo cognato, a causa delle gravi ferite riportate, è morto due settimane dopo. Bilal era il mio socio. Avevamo lavorato insieme come “fixer”1, ma anche come giornalisti, e sempre insieme abbiamo fondato la Press House Palestine. Tra noi c’era un’amicizia molto forte. Abbiamo vissuto tante avventure insieme durante le guerre del 2009, 2012 e 2014. Non lavorava sul campo con me, ma eravamo soci.

Eravamo l’uno l’opposto dell’altro. Io ho la tendenza a mantenere un profilo basso, lui no. Aveva un carattere irascibile, mentre io tendo quasi sempre a mantenere la calma. Lui nutriva ambizioni politiche, io no. Anche nel lavoro non avevamo sempre lo stesso punto di vista, e non vedevamo le cose allo stesso modo. Ma, nonostante ciò, mi ha sempre considerato il suo consigliere. Nei momenti più difficili, quando c’erano decisioni importanti da prendere, Bilal ne parlava come me. Quando vedevo una chiamata di Bilal alle prime ore del mattino o a fine giornata, ero sicuro che voleva un consiglio per risolvere qualche problema.

Mi aveva tirato fuori dai guai

Torniamo alla Press House-Palestine. Bilal passava tutte le sue giornate in ufficio, trascorreva più tempo lì che con la sua famiglia e i suoi amici. Grazie a lui, oltre ai giovani laureati, venivano a trovarci giornalisti, intellettuali, ma anche ambasciatori, consoli e capi delegazione.

Abbiamo cominciato a muovere i primi passi grazie alla delegazione svizzera che ci ha subito sostenuto, seguita poi da norvegesi, canadesi e francesi. Da lì c’è stato un effetto valanga: tutti volevano sostenere i giornalisti attraverso la Press House-Palestine, grazie al lavoro di Bilal. Non solo era un ottimo direttore, ma aveva anche ottimi rapporti con le autorità locali. È grazie a lui che siamo riusciti ad avere una maggiore autonomia rispetto ad altre persone politicamente isolate. Bilal ha sbrogliato molte situazioni difficili, come l’arresto di qualche giornalista. Non l’ha fatto in via ufficiale, come direttore della Press House-Palestine, ma a titolo personale. Quando ho avuto problemi con le autorità locali e con Hamas, è stato lui a tirarmi fuori dai guai.

Bilal aveva ottimi rapporti anche in Cisgiordania. Cosa molto importante dal momento che, come organizzazione no-profit, dipendevamo dal governo dell’Autorità Palestinese, malgrado fosse Hamas a governare Gaza. Quando avevamo un problema, era sempre Bilal a risolverlo, sia a Gaza che in Cisgiordania. Lavorava senza sosta, era brillante e conosciuto da tutti. Negli ultimi mesi prima della guerra, quando la Press House-Palestine era diventata sempre più un luogo di incontro per diplomatici e giornalisti, ha avuto la tentazione di sfruttare la sua notorietà, cominciando ad avere ambizioni più politiche che giornalistiche. Voleva fare qualcosa di diverso rispetto al giornalismo. Ma la granata sparata dal carro armato ha messo fine alle sue ambizioni e ai suoi sogni.

Abbiamo perduto tanti colleghi

Oggi, su richiesta del Consiglio di Amministrazione, sono io che ho assunto la direzione della Press House-Palestine. Non era la mia massima aspirazione, perché non amo essere sotto i riflettori. Ma dovevo farlo, perché c’erano tante questioni amministrative in sospeso: dipendenti che non hanno ricevuto lo stipendio, persone che hanno realizzato dei servizi e non sono state pagate, ecc. Era Bilal che gestiva tutto, dai rapporti con la banca all’amministrazione, fino all’apporre le firme. Abbiamo avuto molti problemi a sistemare tutte le questioni dopo la sua morte. Alla fine, abbiamo trovato l’accordo che sarei stato io ad assumere temporaneamente la direzione dell’organizzazione, fino alla fine della guerra.

Il problema è che tutti i nostri progetti scadevano a fine dicembre 2023. Con l’inizio della guerra nell’ottobre 2023, non c’erano più progetti per il 2024. Inoltre, la nostra sede di Gaza City era stata distrutta nel febbraio 2024. Nel frattempo, è stato ucciso anche Bilal. Abbiamo perso altri colleghi molto bravi: Ahmad Ftima, che era il factotum della Press House-Palestine, ucciso direttamente da un missile drone. Suo figlio di cinque anni è sopravvissuto, ma è rimasto gravemente ferito. Mohamed Ajaja, responsabile dei progetti amministrativi e delle richieste di finanziamento, è stato ucciso insieme alla moglie e a tutti i suoi figli nel bombardamento della loro casa. Sono tragedie che ci hanno paralizzato per un bel po’. Ora abbiamo ripreso il lavoro, grazie alla delegazione canadese in Cisgiordania, che ha finanziato l’affitto della nuova sede, il consumo di energia elettrica e la connessione internet grazie all’energia solare. Trovare una sede, l’energia elettrica e una connessione rappresentano oggi un grande problema per un giornalista.

Per avere tutto questo, i prezzi sono diventati esorbitanti. Nella nostra sede di Gaza City avevamo 24 pannelli solari che fornivano 5 kW. Ci erano costati circa 12.000 dollari (circa 11.000 euro), ma avevamo l’energia elettrica 24 ore al giorno. Oggi abbiamo solo due pannelli solari e delle batterie; tutto è di seconda mano perché non si trova più nulla di nuovo nella Striscia di Gaza, e il tutto ci è venuto a costare... 15.000 dollari (quasi 14.000 euro). Lo stesso vale per la linea internet: i bombardamenti hanno distrutto l’intera rete della compagnia di telecomunicazioni e internet.

Spero di essere all’altezza

Per prima cosa abbiamo cercato un posto dove potessimo avere una connessione. Appena individuato, abbiamo cominciato a lavorare. Presto riprenderemo anche tutti i nostri progetti. Ora i giovani giornalisti sono davvero entusiasti di poter trovare una redazione in cui poter lavorare con energia elettrica e connessione internet, oltre ai vari corsi, stage ecc.

Il mese prossimo sarà una Ong francese, Supernova, a sostenerci nell’organizzazione di corsi e tirocini per neolaureati, soprattutto nei campi dove vivono gli sfollati. La maggior parte dei giovani oggi non ha un lavoro. Non hanno nulla da fare e non ci sono più scuole. Però, come evidente dai social, la maggior parte della gente ha un cellulare e filma quello che succede a Gaza, anche se in maniera casuale. È per questo che ci è venuta l’idea di organizzare dei corsi per tutti quei giovani che vivono nei campi, in modo da poter insegnare loro come usare meglio il cellulare. È presto per dire se diventeranno dei giornalisti, ma almeno gli insegneremo le basi del mestiere, in modo che possano usare le immagini in maniera un po’ più professionale.

La Press House-Palestine mancava a tutti. Durante le guerre precedenti, la redazione aveva sempre tenuto le porte aperte. Sul nostro sito web, c’erano centinaia di giornalisti, locali e stranieri, che venivano a farci visita, a cui fornivamo tutto ciò di cui avevano bisogno. Ma in questa guerra, il nostro sostegno è venuto meno, soprattutto per i giovani giornalisti palestinesi indipendenti che non possono contare su grandi mezzi. Prima della guerra, eravamo in grado di fornire circa 85 giubbotti antiproiettile a giornalisti che non lavoravano per grandi media o grandi case di produzione.

Inoltre, la Press House-Palestine ha dato sostegno a molti giovani per creare una propria società, alcune delle quali oggi sono realtà molto note, e di questo ne siamo orgogliosi. Da parte mia, sono molto orgoglioso di far parte di questa associazione, nonché di aver avuto un fratello come Bilal. Ho voluto condividere questa storia con voi, anche se ho esitato a lungo, perché temevo che le mie parole non avrebbero reso giustizia né a Bilal, né alla tristezza per la sua scomparsa. Ma volevo ugualmente rendergli omaggio, parlarne, anche con parole semplici che non trasmettono appieno la tristezza che provo, né la mia ammirazione per tutto quello che è riuscito a realizzare. Ecco, spero di essere all’altezza del mio compito durante questo periodo temporaneo, come spero che la Press House-Palestine possa arrivare fino in fondo, perché, per tutti noi, è un po’ come un figlio, anche se è soprattutto una creatura di Bilal. La mia speranza è quella di salvaguardare ciò che Bilal ci ha lasciato in eredità.

1Termine giornalistico per definire chi aiuta a stabilire contatti; con particolare riferimento a chi è nato o vive in zone di guerra e aiuta i giornalisti a entrare in contatto con gli ambienti locali. [NdT].