Diario da Gaza 67

“Alla fine, tutti vedranno con i nostri occhi”

Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI. Giornalista fondatore di GazaPress, un’agenzia di stampa che forniva aiuto e traduzioni ai giornalisti occidentali, Rami ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza con la moglie e il figlio Walid di due anni e mezzo. Rifugiatisi a Rafah, Rami e la sua famiglia sono stati costretti a un nuovo esilio interno, bloccati come tante famiglie in questa enclave miserabile e sovraffollata. Il 12 ottobre 2024, Rami ha ricevuto, per il suo Diario da Gaza, tre riconoscimenti al premio Bayeux per i corrispondenti di guerra. Questo spazio gli è dedicato dal 28 febbraio 2024.

L'immagine ritrae una grande folla di persone in un'area urbana. Si osservano uomini, donne e bambini, tutti concentrati in uno spazio ristretto. L'atmosfera sembra intensa e caotica, con molte persone che si affollano. La luce del sole filtra tra gli edifici, creando un contrasto tra ombre e zone illuminate. La scena potrebbe suggerire un evento significativo o una situazione di emergenza.
Khan Yunis, 20 novembre 2024. Una folla enorme fa la fila davanti a un panificio per prendere del pane fresco.
Eyad BABA / AFP

Lunedì 16 dicembre 2024.

Oggi tutti gli occhi sono puntati sulla Siria, sulla caduta del regime di Bashar al-Assad e della sua Bastiglia, la prigione di Sednaya. Tutti i media del mondo parlano del crollo inaspettato del regime del dittatore siriano, ma non parlano più di Gaza.

Non si parla più dei massacri di Gaza, della carneficina in corso a Gaza, delle “israelerie” che, invece, continuano senza sosta. Anche la condotta dei governi occidentali è altrettanto deplorevole. Esiste ovviamente una teoria del complotto secondo la quale, alla base, ci sarebbe stato un accordo tra Russia e Stati Uniti per negoziare la Siria rispetto all’Ucraina, e che l’esito dell’accordo si vedrà quando Trump andrà alla Casa Bianca. Ma è evidente che la Russia non è intervenuta per proteggere il regime, com’è altrettanto evidente che l’Occidente crede di poter negoziare con dei gruppi che considera “terroristi”. Anche le ambasciate sono prossime alla riapertura. Molti inviati speciali da vari Paesi sono in viaggio per parlare con Ahmad al-Shara (noto anche con il nome di battaglia di Abu Mohammed al-Jolani), il leader di Hayat Tahrir al-Sham (HTS) al potere a Damasco.

Quando è in gioco la Palestina, tutte le norme cambiano

Fino a ieri, Ahmad al-Shara era considerato un “fanatico qaedista”, oggi, invece, è possibile parlare con al-Jolani per capire se ci sono le condizioni per poter lavorare con i ribelli siriani al potere. Perché gli occidentali non hanno fatto la stessa cosa in Palestina? Tra l’altro, nel nostro Paese, gli islamisti non hanno preso il potere con la forza, ma sono stati eletti! Nel 2006, Hamas ha vinto le elezioni parlamentari in tutto il territorio palestinese, compresa la Striscia di Gaza e la Cisgiordania. Mahmoud Abbas, il presidente dell’Autorità Palestinese (ANP), aveva nominato primo ministro il leader di Hamas Ismail Haniyeh. Il suo governo è stato però immediatamente boicottato dai governi occidentali, che hanno sospeso ogni aiuto. Perché i governi occidentali si sono rifiutati di riconoscere la legittimità delle elezioni? Perché non hanno fatto all’epoca quello che, all’apparenza, stanno facendo in Siria: mettere alla prova, discutere, comprendere le intenzioni di Hamas per cercare di capire se c’era stato un cambiamento? E, invece, c’è stato un netto rifiuto. Il governo formato da Ismail Haniyeh è stato immediatamente boicottato dall’Autorità Palestinese, dai governi europei e dagli Stati Uniti.

Ma noi sappiamo bene chi usa due pesi e due misure. Il pastore non abbandona mai le sue pecore. Oggi ha deciso che in Siria il nemico può diventare un alleato, quindi tutti si dichiarano a favore. Ieri, quando non ha riconosciuto la vittoria elettorale di Hamas, erano ugualmente tutti d’accordo. È questo che non sopporto. Quando è in gioco la Palestina, cambiano tutte le norme, cambia il diritto internazionale, la logica, i concetti. Quando in gioco c’è la Palestina, è Israele che decide le norme. È Israele che decide chi è terrorista e chi no. È sempre Israele che decide con chi possiamo parlare, o no. Decisioni che possono mutare nel tempo. Yasser Arafat è stato prima un terrorista con cui non si poteva trattare, poi l’uomo che ha firmato la pace con Israele, poi di nuovo il più grande terrorista del mondo, di cui bisognava sbarazzarsi.

Lo stesso discorso vale per Hamas. Israele ha favorito la nascita di Hamas per indebolire l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). Dopodiché, Hamas è diventato un’organizzazione politica “che vuole distruggere Israele, cancellandolo dalla carta geografica”. Eppure, Netanyahu ha continuato a sostenerlo facilitando i trasferimenti di fondi a Gaza. In genere, appena si parla della resistenza palestinese, Netanyahu tira fuori la carta di Hamas. Ogni forma di resistenza è vietata. Occupano le nostre terre, annettono l’intera Palestina e ci sfollano. Ma se reagiamo, beh, allora siamo dei terroristi.

Di norma, qualsiasi forma di resistenza è legittima, sia militare che popolare, ma se noi palestinesi facciamo resistenza, allora siamo dei terroristi, compresi i giornalisti. Gli israeliani continuano a ucciderli, con diversi pretesti. Chiunque lavori per un media di Hamas, è un terrorista, poiché Hamas è un gruppo terroristico. In ogni caso, per Israele e le agenzie di stampa mondiali, un palestinese non può essere un giornalista perchè fa giocoforza propaganda, quindi merita di morire. E questo, in generale, vale per ogni palestinese.

Una forza al di sopra della legge

Sono gli israeliani a decidere la nostra identità, che è quella di essere “terroristi”. E, di conseguenza, tutto il mondo gli va dietro. Israele dice che siamo “animali umani” e il mondo inizia a trattarci come animali umani. Lo vediamo chiaramente dalle reazioni a questo genocidio, questo “Gazacidio” in corso. Tutto il mondo vede che siamo dilaniati dalle bombe, umiliati, affamati, ma Israele dice che non si tratta di un genocidio, non è una pulizia etnica, mentre costringe a sfollare con la forza centinaia di migliaia di persone da nord a sud, distruggendo le loro case con bombe da una tonnellata. Di conseguenza, l’Occidente dice che non si tratta di genocidio o pulizia etnica, e che Israele “ha il diritto di difendersi”.

Si tratta di un comportamento vergognoso. L’Occidente continua a parlarci di democrazia e libertà. All’epoca delle “primavere arabe”, l’Occidente appoggiava le rivoluzioni popolari contro quegli stessi regimi che prima aveva sostenuto, gridando gli slogan della democrazia, del diritto internazionale, del diritto umanitario. Ma se Israele non vuole, allora non se ne parla più. All’inizio, pensavo che fosse a causa del razzismo latente nei nostri confronti, visto che non abbiamo gli occhi azzurri e i capelli biondi. Ma a poco a poco, mi sono reso conto che la vera ragione è che l’Occidente condivide gli stessi standard di Israele. Certo, alcuni paesi europei hanno riconosciuto lo Stato di Palestina, facendo riferimento anche al genocidio, ma restano una minoranza. Mentre qualsiasi bambino a cui venisse spiegato il significato della parola “genocidio” direbbe che ce n’è uno in corso davanti ai suoi occhi. Purtroppo, siamo occupati da una forza che è al di sopra della legge e può fare quello che vuole.

Quando la Corte Penale internazionale (CPI) hanno emesso dei mandati di arresto per Netanyahu e il ministro della Difesa israeliano, gli Stati europei hanno dichiarato di non poterli applicare. Ma quando si tratta della Russia, ne difendono l’applicazione.

L’unico diritto internazionale è la legge della giungla

Sono arrivato al punto da non credere più a tutto ciò che ho imparato. Mi hanno insegnato i diritti umani, il diritto internazionale, il diritto di guerra. Ma i più forti ne sono esclusi. L’unico diritto internazionale è la legge della giungla. La libertà significa la libertà della giungla. L’uguaglianza è l’uguaglianza della giungla. È il più forte che definisce i diritti.

Noi facciamo parte dei più deboli. E il più forte, cioè Israele, non vuole solo distruggerci fisicamente, ma instillare in noi delle nuove norme. La sua intenzione è cambiare il nostro modo di pensare, in noi cittadini palestinesi che non abbiamo nulla a che fare con le fazioni, fino ad accettare il punto di vista di Israele, vale a dire che non c’è alcun genocidio, che ogni palestinese è un terrorista e che non abbiamo diritto ad avere una patria.

Ma io dico no. Rispondo che viviamo sotto occupazione e che continueremo a lottare contro questa occupazione. Il mondo ci ha abbandonato dopo la spartizione della Palestina nel 1947, poi di nuovo dopo l’occupazione dell’intera Palestina nel 1967. Infine, una terza volta oggi, di fronte al genocidio e al progetto di annessione del nostro Paese. Ma la questione palestinese non finirà. I palestinesi resteranno. Le nostre idee, la nostra lotta e la nostra resilienza non finiranno, anche se il mondo si rifiuta di chiamare le cose con il loro nome. Loro possono mentire a sé stessi, ma noi no, noi non possiamo mentire.

Alla fine, riusciremo ad ottenere la nostra libertà perché la giustizia trionfa sempre, anche nella giungla. Alla fine, costruiremo la nostra patria. Alla fine, tutti vedranno con i nostri occhi, perché l’ingiustizia non può durare a lungo. Alla fine, noi palestinesi dimostreremo a tutto il mondo che siamo un popolo che merita di vivere, un popolo come tutti gli altri, che vive sotto occupazione e che un giorno avrà un proprio Stato, per vivere in pace con il mondo intero.