Diario da Gaza 38

“Come se non si potesse essere palestinese e giornalista”

Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI. Giornalista fondatore di GazaPress, un’agenzia di stampa che forniva aiuto e traduzioni ai giornalisti occidentali, Rami ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza con la moglie e il figlio Walid di due anni e mezzo. Rifugiatisi a Rafah, Rami e la sua famiglia sono stati costretti a un nuovo esilio interno, bloccati come tante famiglie in questa enclave miserabile e sovraffollata. Questo spazio gli è dedicato dal 28 febbraio 2024.

L'immagine mostra due donne che camminano lungo una strada, accanto a un murale. Il murale ritrae una donna con un cappello alla "press" e un volto espressivo. Sullo sfondo, si possono vedere edifici caratteristici, e ci sono scritte in arabo che possono fare riferimento a temi di libertà di stampa o giustizia. La scena è vivace e riflette una cultura ricca e una narrazione importante legata ai diritti dei giornalisti.
Gaza City, 13 luglio 2022. Due giovani donne passano davanti a un murale dedicato alla giornalista palestinese Shireen Abu Akleh, assassinata l’11 maggio 2022 dall’esercito israeliano nel corso di raid a Jenin.
MOHAMMED ABED / AFP

Venerdì 21 giugno 2024.

Sabato scorso, sono iniziati gli esami di maturità in Palestina, o almeno diciamo, in linea di massima, in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Quest’anno, però, non ci saranno esami a Gaza. Stiamo parlando di 39.000 studenti che non potranno sostenere l’esame, quindi perderanno un anno di scuola, ma soprattutto non sanno se sarà così anche l’anno prossimo. Tra queste 39.000 speranze sospese, c’è anche quella di Ayate, la nipote di mia moglie Sabah. Ayate sognava il giorno dell’esame, per potersi iscriversi all’università e realizzare il suo sogno, che è quello di diventare giornalista. Il suo idolo è la giornalista Shireen Abu Akleh, la reporter di Al-Jazeera uccisa dagli israeliani a Jenin l’11 maggio 2022. Shireen era molto conosciuta e amata da tutti perché aveva seguito e raccontato tutte le guerre e i raid israeliani in Palestina. Il suo volto e il suo dolce tono di voce erano una presenza quotidiana nella vita di ogni palestinese. Ayate vuole essere proprio come lei, e fare lo stesso lavoro.

Fare il giornalista nella Striscia di Gaza è un mestiere molto pericoloso. Sono oltre 100 i giornalisti uccisi dall’esercito israeliano dall’inizio della guerra, spesso in omicidi mirati. Eppure, i reporter continuano a fare il loro lavoro, e ciò rende ancora più irritanti le tesi che si sentono regolarmente sui media occidentali secondo le quali “è difficile sapere cosa sta succedendo a Gaza perché i giornalisti occidentali non possono entrare nella Striscia”. È un irritante pregiudizio di stampo colonialista: come se non si potesse essere palestinesi e giornalisti. Le principali agenzie internazionali, AFP e Reuters, sono molto ben presenti qui, e sono rappresentate da giornalisti locali, cioè da reporter palestinesi!

“Vorrei raccontare com’è cambiata la nostra vita”

Malgrado i rischi, quella del giornalista è una professione che ha ancora un grande prestigio. Nel nostro paese, i giovani vogliono diventare medici per curare la popolazione, entrare in politica per difendere la causa palestinese, o diventare giornalisti per raccontare al mondo la nostra situazione. Anche Ayate vuole seguire il mio esempio. Come me, vuole imparare delle lingue straniere in modo da poter leggere e interpretare a partire dall’arabo. Mi ha detto anche che è terribilmente delusa, perché sono anni che aspetta il giorno della maturità. Ora non sa quanto durerà quest’interruzione forzata dei suoi studi. La guerra l’ha fatta maturare. “Questa guerra mi ha insegnato tante cose”, mi ha confessato Ayate.

Prima ero un po’ timida e spesso non osavo rivolgere la parola agli altri. Ma il fatto di vivere nelle tende insieme a centinaia di migliaia di profughi, mi ha dato la possibilità di conoscere tantissime persone diverse e di parlare liberamente con loro. Questo mi ha permesso di perdere un po’ della mia timidezza, e così ora non ho più paura di parlare con degli sconosciuti. Qui viviamo uno accanto all’altro, ci raccontiamo le nostre storie. Ecco, io vorrei raccontare tutto questo, e soprattutto come è cambiata la nostra vita. Sono curiosa di vedere in che modo riuscirò ad esprimere tutte queste esperienze vissute.

Ayate non vedeva l’ora di cimentarsi con la prova di arabo, che include anche un saggio scritto. La sua intenzione era quella di descrivere la sua esperienza della guerra. Per lei, il saggio doveva essere il primo articolo della sua vita da giornalista. Pensava che l’offensiva contro la Striscia di Gaza sarebbe durata al massimo due o tre mesi, come già avvenuto in passato, e che dopo la guerra sarebbe riuscita a superare l’esame.

Il suo desiderio è quello di continuare a studiare lingue all’università, soprattutto l’inglese, che per lei è molto importante. Ayate ha visto su Internet molti dei miei interventi sui canali televisivi francesi, e vorrebbe farlo anche lei. Mi ha detto: “Voglio parlare un’altra lingua in modo che la gente sappia cosa stiamo passando, non solo nel mondo arabo ma anche in quello occidentale”. Purtroppo, oggi i sogni di Ayate si sono arenati. Sarà forse per un anno, o forse di più. Questo sarà un anno perduto per i 39000 studenti della Striscia di Gaza. E dopo? Oggi tutte le infrastrutture, gli edifici scolastici, le università, sono stati distrutte.

Prendere il diploma di maturità palestinese in Egitto

Il ministero dell’Istruzione di Ramallah, che è tuttora responsabile dell’istruzione nella Striscia di Gaza anche dopo la presa del potere da parte di Hamas, sta cercando di far sostenere gli esami agli studenti che hanno lasciato Gaza con le loro famiglie all’inizio della guerra. Un migliaio di loro hanno trovato rifugio in Egitto. Per loro sarà possibile prendere il diploma di maturità palestinese al Cairo, come già avviene nelle scuole palestinesi presenti in Qatar o in Turchia. La maggior parte di questi studenti ha lasciato la Striscia di Gaza a novembre e dicembre, alcuni addirittura a gennaio, quando il valico di Rafah di tanto in tanto veniva riaperto. Questi studenti non hanno più contatti con le loro scuole, ma hanno almeno potuto seguire dei corsi online per recuperare il tempo perso, anche se è risaputo che questo genere di corsi non è molto efficace per sostenere un esame. Il Ministero dell’Istruzione ha proposto quindi di prendere il diploma di maturità in due tranche, sostenendo la prima sessione subito, e la seconda a luglio o agosto.

Com’è ovvio sono contento per questi studenti, e sono sicuro che gli esaminatori si dimostreranno un po’ più flessibili. Ma si tratta di appena 1000 candidati su 39000. E Ayate non rientra tra questi. Mi ha detto:

Purtroppo, io e la mia famiglia non potevamo permetterci di pagare 5.000 dollari a testa solo per sostenere il mio esame. Auguro a tutti questi studenti di superare l’esame, ma penso anche che sia un’ingiustizia. Chi ha soldi potrà continuare a studiare, mentre noi resteremo ancora nelle tende, senza Internet.

Mi sono accorto che aveva le lacrime agli occhi quando ha sollevato la questione. In questo momento, Ayate vede che il suo sogno si sta lentamente allontanando.

La guerra non è fatta solo di morti, feriti, invalidi, mutilati. La guerra lascia anche tanti dolori, perdite, grandi tristezze, speranze infrante, sogni che sfumano, gioie e felicità che svaniscono. Perdere il sogno di una vita è come perdere un figlio, è come se qualcuno morisse. E quando avviene, non è più possibile riportarlo indietro. Ayate non sa se un giorno riuscirà ancora a sognare. La sua speranza però è che un giorno potrà diventare una brava giornalista, seguendo le orme di Shireen Abu Akleh. Per poter parlare della Palestina in generale, ma soprattutto di politica, che è la sua grande passione.