Diario da Gaza 112
“Con la guerra a Gaza, cadono le maschere”
Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI. Giornalista fondatore di GazaPress, un’agenzia di stampa che forniva aiuto e traduzioni ai giornalisti occidentali, nell’ottobre 2023 ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza City insieme alla moglie Sabah, ai figli di lei e al loro figlio Walid, di tre anni, sotto la minaccia dell’esercito israeliano. Si sono rifugiati a Rafah, poi a Deir al-Balah e successivamente a Nuseirat. Dopo un nuovo trasferimento a seguito della rottura del cessate il fuoco da parte di Israele il 18 marzo 2025, Rami è tornato a casa con la sua famiglia il 9 ottobre 2025.
Giovedì 12 novembre 2025.
In tutto il mondo, Gaza è diventata una questione politica e morale. Milioni di persone si sono mobilitate a favore della Palestina, contro la guerra e contro il genocidio. Il mondo ha iniziato a rendersi conto dell’enorme problema dell’occupazione, dell’aggressività dell’Idf e dei coloni, di ciò che vivono i palestinesi, sia a Gaza, in Cisgiordania o a Gerusalemme Est. I coloni attaccano la popolazione, annettono terreni agricoli, bruciano case e ulivi. È sempre stato così, ma ora è sempre più chiaro agli occhi del mondo.
I palestinesi vivono sotto occupazione dal 1948, con il consenso di gran parte degli Stati. Ma le società cambiano. Si mobilitano in nome della morale. Ovviamente, il peso di Israele e dei suoi sostenitori è ancora importante. C’è un prezzo da pagare quando si vuole criticare Netanyahu, denunciare il genocidio o semplicemente chiedere giustizia per i palestinesi. Può costare la carriera artistica, politica o intellettuale. In questi settori, molti sanno bene che per stare tranquilli è meglio ripetere “Israele ha il diritto di difendersi” e gli altri elementi della narrazione israeliana. E per fare carriera in politica, bisogna anche partecipare alla cena del CRIF1 e rifiutarsi di definire la guerra a Gaza un genocidio.
L’inizio di un vero cambiamento
Ma negli Stati Uniti, un politico ha osato usare quella parola ed è stato eletto. Il nuovo sindaco di New York, Zohran Mamdani, è stato molto chiaro: sì, a Gaza c’è stato un genocidio. Il neosindaco ha aggiunto anche che, se Netanyahu fosse venuto a New York, la polizia avrebbe eseguito il mandato di arresto emesso contro di lui dalla Corte penale internazionale (CPI). E quando gli è stata posta la domanda che si pone a tutti i candidati “farà visita in Israele?”, ha risposto che ora è il sindaco dei newyorkesi e che il suo lavoro è quello di migliorare le loro condizioni di vita.
Mamdani non vede perché il sindaco di New York debba necessariamente giurare fedeltà a Israele, ed è proprio questo uno dei motivi per cui è stato eletto. Secondo i sondaggi, la maggioranza dei giovani tra i 20 e i 40 anni ha votato per lui. Anche il 38% degli ebrei newyorkesi ha espresso il proprio voto per il neosindacco. Credo che stiamo assistendo all’inizio di un vero cambiamento.
Forse molti altri politici nel mondo stanno cominciando a capire che possono prendere una posizione chiara e morale contro le azioni del governo israeliano. E che è nel loro interesse ascoltare le loro società. Ovunque la gente si sta rendendo conto di ciò che è successo e di ciò che continua a succedere, non solo a Gaza, ma anche in Cisgiordania. Chiedono conto ai loro governanti quando questi continuano a sostenere, finanziare e armare Israele.
E soprattutto si ribellano contro l’ipocrisia di questi leader che non smettono di parlare di “valori occidentali”, di diritto internazionale, di diritto umanitario, di diritti umani, di diritti delle donne e dei bambini, tranne quando si tratta di Israele, dove questi diritti apparentemente non valgono più.
La Francia rinuncia ai suoi valori
Il diritto di espressione e la libertà accademica cessano di esistere non appena si menziona la parola “Palestina”, come abbiamo visto (anche a Gaza) con l’annullamento da parte della direzione del prestigioso Collège de France di un convegno sulla storia della Palestina e dell’Europa.
È davvero grave vedere la Francia rinunciare ai propri valori. Forse le pressioni esistevano già in precedenza, ma con la guerra a Gaza le cose diventano molto chiare e le maschere stanno cominciando a cadere. Quando si tratta della Palestina, vige la legge del più forte. Come potrà il Collège de France rappresentare in futuro la libertà di pensiero e di espressione? Come sapete, ho studiato in Francia. La cancellazione mi tocca quindi da un punto di vista personale.
Ma il movimento delle società non si fermerà per questo. Le persone in Occidente, e soprattutto i giovani, stanno capendo sempre di più che la questione palestinese è una questione di giustizia, e che criticare Israele non significa necessariamente essere “filopalestinesi”, ma significa innanzitutto essere “a favore della giustizia”. Significa mobilitarsi contro uno Stato che ha utilizzato tutti i metodi possibili per uccidere e deportare una popolazione: l’arsenale più recente e sofisticato, la fame, la distruzione di tutte le infrastrutture, l’istruzione, la sanità, l’ambiente, l’economia... senza dimenticare le strategie per dividere i palestinesi.
Questa mobilitazione è importante perché la storia non finisce qui. L’obiettivo israeliano è sempre quello di rendere la vita impossibile a Gaza, affinché la popolazione vada via. Gli israeliani hanno già annesso de facto più della metà della Striscia, già di per sé ridotta a un territorio esiguo. Il progetto di Netanyahu riguarda anche la Cisgiordania, che i coloni, sostenuti dall’Idf, stanno lentamente rosicchiando. Ma i leader israeliani guardano oltre la Palestina occupata. Netanyahu parla del “Grande Israele”, che significa l’occupazione di una parte di tre o quattro Paesi arabi.
Cosa che non sembra scandalizzare nessuno in Occidente. Al contrario, se un palestinese dice “libererò tutta la Palestina”, si scatena un putiferio. Si chiede allora di cambiare il contenuto dell’insegnamento palestinese, di impedire che si parli di occupazione nei libri di testo... Ma nessuno chiede che si smetta di insegnare l’odio ai bambini israeliani, che si smetta di chiamarci “arabi” per dire che la Palestina non esiste. Guardate l’odio che esprimono i figli dei coloni. Cosa pensate che venga loro insegnato? Avete visto i servizi televisivi nelle loro scuole? Avete sentito qualcuno preoccuparsi del contenuto dei libri di testo israeliani?
La guerra di Gaza ha superato ogni limite e la gente si sta svegliando. Chi non era interessato alla questione palestinese, chi era interessato alla politica interna del proprio Paese, oggi sta scoprendo ciò che i palestinesi hanno sofferto dal 1948. Le persone sono intelligenti. Sanno distinguere tra il bene e il male. Come si dice da noi, non si nasconde il sole con un setaccio2.
1Il riferimento è all’annuale cena annuale del Consiglio Rappresentativo delle Istituzioni Ebraiche di Francia. [NdT].
2Un proverbio che significa che non si può nascondere ciò che è ovvio [Ndr].
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