Diario da Gaza 63

“Date da mangiare al popolo che state ammazzando”

Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI. Giornalista fondatore di GazaPress, un’agenzia di stampa che forniva aiuto e traduzioni ai giornalisti occidentali, Rami ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza con la moglie e il figlio Walid di due anni e mezzo. Rifugiatisi a Rafah, Rami e la sua famiglia sono stati costretti a un nuovo esilio interno, bloccati come tante famiglie in questa enclave miserabile e sovraffollata. Il 12 ottobre 2024, Rami ha ricevuto, per il suo Diario da Gaza, tre riconoscimenti al premio Bayeux per i corrispondenti di guerra. Questo spazio gli è dedicato dal 28 febbraio 2024.

L'immagine mostra un gran numero di persone, principalmente giovani uomini, che sono radunati attorno a un camion giallo. Alcuni di loro sembrano scaricare scatole, mentre altri stanno trasportando i pacchi. L'ambiente appare polveroso e le persone sono visibilmente attive e impegnate nell'operazione di distribuzione, con espressioni di urgenza. Alcuni individui sono a torso nudo e indossano abiti vari. Si percepisce un'atmosfera di collaborazione nel tentativo di ricevere e distribuire i rifornimenti.
Nuseirat, 18 maggio 2024. I palestinesi trasportano scatole di aiuti umanitari dopo essersi precipitati sui camion che trasportano aiuti internazionali dal molo Trident costruito dagli Stati Uniti (ora smantellato).
AFP

Martedì 19 novembre 2024.

Il ministero dell’Interno di Hamas ha annunciato ieri, in una dichiarazione riportata da Al-Aqsa TV, che la Brigata Sahmé (“Freccia”), la sua task force, ha sferrato un attacco contro – cito – “le bande che saccheggiano gli aiuti umanitari destinati a Gaza”, con un bilancio di 20 morti. Tra le vittime, alcuni membri delle bande, degli agenti di polizia e anche delle vittime innocenti che si trovavano lì. Le bande appartengono per lo più alle grandi famiglie beduine che vivono vicino a Rafah. La loro presenza in quell’area permette loro di attaccare i camion che arrivano attraverso il valico di Kerem Shalom. Prima, quando Rafah non era ancora occupata, i camion venivano “assaltati” dai bambini che costruivano dei piccoli posti di blocco con delle pietre, poi ci salivano sopra per rubare qualche cassa di cibo. Il motivo è che avevano fame e gli aiuti erano insufficienti per sfamare tutti.

Ancora oggi è così, ma ora gli attacchi sono diventati più “professionali”. E, purtroppo, sono compiuti dai palestinesi di Gaza, che si coordinano con l’esercito di occupazione. Le Nazioni Unite hanno dichiarato di non riuscire a far arrivare gli aiuti umanitari, perché i camion vengono attaccati da bande, a 100 metri dai carri armati israeliani, che le lasciano fare. Anche l’ONU ha chiesto più volte agli israeliani di scortare i camion, come fanno di solito, con i loro piccoli droni da guerra. L’ultimo assalto è avvenuto tre giorni fa con il saccheggio di un convoglio di 109 camion.

Un messaggio da parte di Hamas

Secondo l’ONU, l’esercito israeliano ha cambiato all’ultimo minuto il percorso previsto, senza fornire spiegazioni. In realtà, i saccheggi fanno parte della strategia israeliana. Si tratta dell’ennesimo tentativo di dare potere ai clan più o meno mafiosi. Gli israeliani avevano provato a mettere in atto la stessa strategia Gaza City, ma le famiglie si erano rifiutate di collaborare, in parte per le pressioni di Hamas. All’inizio, nella zona sud, le bande rubavano solo per procurarsi da mangiare. Ora rivendono gli aiuti sul mercato nero a prezzi stratosferici. Questo consente alle bande di acquistare sempre più armi e di reclutare sempre più gente. Gli israeliani gli concedono anche un’altra fonte di finanziamento, grazie all’importazione illecita di sigarette che, di norma, sarebbero vietate a Gaza. Con 2.000 shekel (500 euro) a pacchetto, è ormai una fonte di reddito molto consistente. Il calcolo degli israeliani è semplice: lasciare il controllo della parte sud della Striscia di Gaza alle bande mafiose. Se un giorno l’esercito si ritirerà, allora vedremo un bandito che è diventato governatore di Rafah, un altro di Khan Yunis.

Perché Hamas ha atteso tanto per affrontare queste bande? A mio avviso, ci sono diversi motivi. Il primo è che i saccheggi non toccavano direttamente Hamas, in quanto la sua priorità è la lotta contro l’esercito occupante. La seconda ragione è che non lo considerava un problema rilevante. Il fatto che ci siano ladri e profittatori è purtroppo una costante in ogni guerra.

Hamas ha deciso di intervenire quando si è accorto che le bande cooperavano direttamente con l’esercito israeliano, che agevolava i ladri prendendo di mira la polizia e i militanti incaricati di proteggere i convogli. Credo che Hamas si sia sentito minacciato. Da qui la decisione di eliminare il capo della banda, mettendo a disposizione i mezzi senza andare troppo per il sottile. La Jeep del capo è stata colpita con Kalashnikov e lanciarazzi RPG. In realtà, hanno commesso un errore, uccidendo suo fratello – che però era una figura apicale della banda – e le guardie del corpo.

È stato un messaggio molto forte da parte di Hamas, sia per gli israeliani che per i banditi: siamo ancora qui, sappiamo cosa volete fare e non permetteremo alle bande di prendere il potere a destra e a manca con l’appoggio dell’occupante. Il messaggio era rivolto anche agli speculatori: non speculate sui prezzi, non lavorate con i mafiosi, altrimenti la prossima volta toccherà a voi. Infine, il messaggio di Hamas era rivolto anche alla popolazione. Gli abitanti di Gaza potrebbero essere convinti dalla versione israeliana, credendo che l’esercito voglia far passare gli aiuti umanitari, ma i banditi lo impediscono con i loro saccheggi. Purtroppo, la gente non sa che le bande collaborano con l’esercito.

Con l’aiuto israeliano

La cooperazione tra esercito e bande diventa chiara se guardiamo ai tragitti imposti dagli israeliani. I depositi delle Nazioni Unite si trovano nel centro della Striscia di Gaza, a Deir al-Balah. Il percorso più breve sarebbe quello di farli entrare attraverso il valico di Kissufim, riaperto da poco. E, invece, li fanno entrare attraverso il valico di Kerem Shalom, nel sud, per consentire alle bande di saccheggiarli a loro piacimento.

Una narrazione creata ad hoc per gli occidentali, e soprattutto per gli Stati Uniti: “Facciamo quello che possiamo, ma le bande di uomini armati palestinesi ci impediscono di sfamare la popolazione”. Inoltre, l’intenzione di Israele potrebbe essere quella di sabotare le consegne di aiuti delle Nazioni Unite, per mettere al loro posto delle aziende private. Il governo israeliano sta già valutando in particolare l’offerta della Global Delivery Company, società del miliardario israelo-americano Moti Kahana, per creare dei punti di consegna nella Striscia di Gaza, protetti dai mercenari.

Alla fine, sembra che il messaggio di Hamas abbia avuto un’eco, almeno tra gli abitanti di Gaza. A molti fa piacere che siano state colpite le bande, e, anche grazie a questo, il movimento islamico ha guadagnato qualche punto di popolarità. Il motivo è che gli sfollati vivono già nella paura e nell’instabilità dovuta ai bombardamenti, oltre che nella precarietà alimentare. Nel nord c’è la carestia, ma sta arrivando anche nel sud. A tutto questo si aggiunge anche la mancanza di sicurezza interna. I furti, dovuti alla povertà, sono in costante aumento, mentre prima, a Gaza, non c’era bisogno di chiudere a chiave l’auto o la porta di casa.

Gli israeliani sono riusciti, se non altro, in questo: fare a pezzi la società di Gaza. Lo ribadisco, prima era una società unita, con un tessuto sociale molto solido, che però si sta assottigliando come una tela di ragno, a causa di tutto ciò che stiamo subendo, distruzioni, eccidi, massacri quotidiani, “israelerie” di ogni genere. E ora, anche la strumentalizzazione delle bande di ladri... E non solo per saccheggiare i convogli umanitari.

Sapete cosa accade a Rafah, nel sud, al confine con l’Egitto? La città è semidistrutta e quasi deserta, perché tutti gli abitanti sono stati espulsi dagli israeliani. Ma diversi testimoni dicono che ai ladri viene consentito di entrare per saccheggiare le case. Gli israeliani quasi li proteggono, usando i loro droni armati che sorvolano la città. In cambio, i criminali forniscono all’esercito delle informazioni. Segnalano i movimenti sospetti, gli indizi che possono individuare la presenza di nascondigli di Hamas, ciò che possono scoprire nelle case. Non solo gli abitanti di Gaza vivono in tende di fortuna, ma vengono derubati dai loro fratelli palestinesi.

Quando si tratta della Palestina, si invertono i ruoli

La soluzione è molto semplice: fare entrare aiuti umanitari sufficienti a sfamare e proteggere tutti in modo che non ci siano più furti. Ma quello che è terribile è discutere solo di questo. La causa palestinese e il genocidio sono scomparsi per far posto alla questione puramente “umanitaria”. Ormai è l’unico argomento di discussione: bisogna dare da mangiare, da bere, dare coperte, perché presto sarà quasi inverno. Ma nessuno dice: bisogna fermare la guerra. Nessuno dice: bisogna fermare questo genocidio. Nessuno dice: gli israeliani devono ritirarsi da Gaza. No, gli occidentali dicono agli israeliani: va bene, continuate pure quello che state facendo, finite il vostro lavoro, però date da mangiare alla popolazione che state ammazzando. Non vogliamo vedere gente morire di fame. Che muoiano almeno a stomaco pieno. È questa, purtroppo, la posizione di questo mondo che parla di libertà, uguaglianza e fraternità, tranne quando si parla della Palestina e dei palestinesi.

Siamo forse un cancro per questa “comunità internazionale”? Siamo un pericolo, visto che tutto il mondo vuole sbarazzarsi di noi? O è solo perché Dio ci ha creati su questa terra senza gli occhi azzurri e i capelli biondi? Sono costretto, ancora una volta, a fare un paragone con l’Ucraina. L’Occidente dice che i russi sono occupanti e terroristi, e gli ucraini sono combattenti della resistenza a cui bisogna fornire aiuti alimentari, oltre finanziamenti e armi. Però, quando si parla della Palestina, i ruoli sono invertiti. Gli occupati sono terroristi e l’occupante “ha il diritto di difendersi”. Supponiamo che qualcuno dica che la Russia ha il diritto di difendersi e che, se uccide 50.000 civili ucraini, si tratta solo di danni collaterali!

È chiaro a tutti cosa bisognerebbe fare. Se venissero applicate delle sanzioni contro Israele, e soprattutto se si smettesse di fornire armi, la guerra cesserebbe immediatamente. Ma no, non ne vale la pena, i palestinesi non sono degli esseri umani. Gli abitanti di Gaza non sono degli esseri umani. Ebbene, signori, noi siamo esseri umani. La nostra è una resistenza. Siamo noi che abbiamo deciso di rimanere sulla nostra terra. Di non cedere di fronte ai massacri. Non solo siamo esseri umani, ma siamo esseri umani con un grande coraggio perché stiamo affrontando un mostro che non fa distinzione tra civili, bambini, donne e combattenti. A questo mostro è permesso tutto, perché – secondo Netanyahu – noi siamo gli “Amalek”, gli Amaleciti, che la Bibbia considera un popolo da sterminare. E anche se viviamo in miseria, rimaniamo sempre palestinesi con grande dignità.