Lunedì 25 novembre 2024.
Oggi, come al solito, sono salito sul carro bestiame usato come trasporto pubblico, per recarmi alla redazione di Press House-Palestine. Non è stato un giorno come tanti altri. Pioveva e c’era un forte vento, ma era una pioggia moderata, durata 2 o 3 ore, non uno di quegli acquazzoni che possono a durare tutta la giornata durante l’inverno a Gaza. I miei compagni di viaggio, però, si lamentavano, maledicendo il maltempo e la pioggia. È stata la prima volta in vita mia che ho sentito gli abitanti di Gaza protestare contro la pioggia.
Avevano delle buone ragioni per inveire. I passeggeri che viaggiavano con me non avevano indumenti antipioggia o antivento. E anch’io non avevo addosso che una giacchetta leggera. Lo scorso inverno, invece, avevo comprato una giacca calda, ma l’ho persa quando sono fuggito da Rafah in fretta e furia con la mia famiglia. La maggior parte di chi era lì continuava a dire: “Deve smettere di piovere!”. Sono arrivati al punto di invocare Dio per fermare la pioggia.
Servono quasi 2.000 euro per una tenda
Come me, sono in tanti a vivere in tenda. Tende logore, danneggiate dagli sbalzi di temperatura, dal vento e dalle intemperie. Oggi, ad esempio, anche se ha piovuto solo per poche ore, c’è stata una vera e propria alluvione. L’acqua ha inondato le tende, inzuppando i materassini. Il vento poi ha spazzato via i teloni che servivano come rifugi di fortuna, soprattutto sulla spiaggia, dove le raffiche erano più forti. Gli spruzzi d’acqua si mescolavano alla pioggia bagnando ancor di più la gente. Non riesco a descrivere in che situazione eravamo, perché bisogna viverci in questo inferno per capire l’angoscia di queste famiglie che non hanno più un tetto sopra la testa per mettere al riparo i loro figli dalla pioggia e dal vento, né vestiti o coperte a sufficienza, perché a Gaza non se ne trovano più.
Io posso considerarmi fortunato. Poco tempo fa, abbiamo ricevuto dalla Francia una piccola borsa con vestiti invernali, pantaloni da jogging che mantengono caldi. Walid ha ricevuto un cappotto. Quando si è in tenda, va anche bene, ma non appena si va fuori, si finisce al freddo e sotto la pioggia. E anche in questo caso, possiamo considerarci dei privilegiati, perché abbiamo un nostro pezzettino di terra, la nostra cucina fai da te e i nostri servizi igienici “improvvisati”. Ma gli altri, che vivono in accampamenti di fortuna, hanno solo bagni in comune, a volte a centinaia di metri di distanza dalle tende.
Molti non riusciranno a sostituire i teloni o le tende volate via. Le uniche tende che si possono trovare nei mercati, sono fornite dagli aiuti internazionali e dovrebbero essere gratuite, ma vengono vendute a 1.500 dollari (1.429 euro). Vista la scarsità di contanti, quando si va agli uffici di cambio che prendono fino al 30% di commissione, una tenda può arrivare a costare 2.000 dollari (1.907 euro). C’è rimasta solo una decina di persone che possono comprarla a quel prezzo.
I pochi teloni rimasti costano 1.000 shekel (250 dollari) per 5 m2, circa 2.250 dollari. Ancora una volta, sono in pochi a poterseli permettere. Non ci sono abbastanza teloni e tende da parte degli aiuti umanitari. Erano fatte per durare al massimo 6 mesi. Riuscite a immaginare neonati e bambini sotto la pioggia?
“Non è rimasto neanche un grammo di farina”
Prima, ai bambini piaceva giocare sotto la pioggia. Tutti l’aspettavano e, se non arrivava a novembre, si invocava Dio con delle preghiere per far venire a piovere. Oggi si prega per far smettere pioggia e vento, perché quest’anno l’inverno non sia troppo rigido. Prima, la pioggia era considerata una manna dal cielo. Oggi, invece, è una maledizione.
Ho già parlato di chi ha cominciato a odiare ogni posto, ad esempio la spiaggia, che prima della guerra era considerata un bel posto e ora è un luogo di sofferenza, dove il vento e le maree spazzano via i rifugi improvvisati. Stessa cosa con i luoghi di culto, le moschee e le chiese, e i pochi parchi giochi per bambini, tutti trasformati in accampamenti di fortuna. Ora siamo arrivati a odiare la pioggia, che un tempo era una grande gioia. A Gaza avevamo terreni agricoli ed eravamo autosufficienti nella produzione di frutta e verdura. Oggi, quel poco che si trova viene importato e venduto a prezzi proibitivi. Non resta più nulla di quelle aree agricole, ormai tutte rase al suolo dall’esercito israeliano.
A nord della Striscia, sotto assedio da più di quaranta giorni, c’è la carestia. Ma anche qui, al sud, si fa dura. Non c’è più neanche un grammo di farina. I pochi sacchi disponibili sono passati da 20-30 shekel (da 5 a 7,5 euro) a 700 shekel, quasi 200 euro. Qui è una settimana che i bambini non mangiano pane. Si trovano solo scatolette e un po’ di riso. Non abbastanza per bambini dai 3 ai 14 anni. Almeno prima, anche senza cibo a sufficienza, con il pane tiravamo avanti, perché almeno placava la fame dei giovani.
Prima ci piaceva molto l’arrivo dell’inverno. Tutti eravamo al caldo a casa, con il gas e energia elettrica. Oggi l’energia elettrica viene generata solo grazie ai pannelli solari, che non funzionano quando il cielo è troppo nuvoloso. Ieri non ho avuto connessione per tutto il giorno. Ormai il gas è finito e non c’è più legna perché è stato tagliato tutto quello che c’era. La gente è arrivata a bruciare il mobilio, soprattutto chi è costretta a vivere in case semidistrutte. Per loro è diventata una questione di sopravvivenza. In rete, ho visto un video di un professore universitario, autore di molte opere, che ha deciso di prendere in considerazione l’idea di vendere a qualcuno la sua biblioteca. Ma non per leggere libri, ma per bruciarli o incartare dei panini con falafel. “Sarò costretto a vendere la mia biblioteca per sopravvivere, perché non ho più soldi”, diceva. È il suo peggiore incubo. La sua biblioteca è come un figlio, e la lascerà bruciare solo per non morire.
“Un primo passo verso la morte”
Gli israeliani ci hanno reso la vita un inferno. E anche noi non siamo più gli stessi. Ho già parlato di come siano cambiate tante norme sociali, anche nel modo di pensare, e che ora cominciamo a odiare anche la natura. Prima la pioggia era il simbolo della vita che va avanti. Era meraviglioso vedere una bella pioggia perché era una buona notizia per l’agricoltura.
Non so come faremo a sopravvivere quando arriveranno piogge abbondanti. Nella mia tenda, oggi si è bagnato per fortuna solo un tappetino. Ma cosa farò quando comincerà a piovere a dirotto? In caso di allagamento, non sono se riuscirò a sostituire materassi e coperte, perché non se ne trovano più sul mercato. Almeno Walid è sempre contento quando piove. Come sempre, cerco di farlo vivere in un mondo parallelo dove la pioggia è una gioia. Ma non so quanto potrà durare quando l’acqua entrerà in casa durante la notte. Tutti rischiamo di ammalarci perchè non c’è più modo di curarsi, siamo senza medicine, il sistema sanitario è al collasso. Questa volta, però, la pioggia può essere davvero un primo passo verso la morte. È per questo che anch’io spero che quest’anno non ci siano forti piogge. O, al contrario, che ce ne siano tante ma solo quando gli abitanti di Gaza saranno finalmente tornati a casa, con la fine della guerra. Nonostante la maggior parte di noi non troverà più la propria casa, visto che il 70% della Striscia di Gaza è andata distrutta. Ma almeno spero che possano trovare un posto dove ripararsi. Spero anche che arrivino aiuti umanitari, tende vere o roulotte, come nel 2014, per proteggerci almeno un po’ durante l’inverno. Perché noi resteremo qui.