Diario da Gaza 108
“Due anni dopo, siamo ancora vivi”
Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI. Giornalista fondatore di GazaPress, un’agenzia di stampa che forniva aiuto e traduzioni ai giornalisti occidentali, Rami ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza con la moglie e il figlio Walid di due anni e mezzo. Rifugiatisi a Rafah, la famiglia è stata poi costretta a un nuovo esilio prima a Deir al-Balah, poi a Nuseirat, bloccata come tante famiglie in questa enclave miserabile e sovraffollata. Un mese e mezzo dopo l’annuncio del cessate il fuoco, Rami è finalmente tornato a casa con la moglie, Walid e il figlio appena nato, Ramzi. Per il suo Diario da Gaza, Rami ha ricevuto tre importanti riconoscimenti al premio Bayeux per i corrispondenti di guerra. Questo spazio gli è dedicato dal 28 febbraio 2024.
Venerdì 10 ottobre 2025.
Giovedì mattina, verso l’una e mezza, ho ricevuto una telefonata dal mio amico Hekmat, un collega della Press House-Palestine, che mi ha detto: “Secondo le indiscrezioni trapelate dai negoziati di Sharm el-Sheikh, nelle prossime ore ci dovrebbe essere un accordo tra Hamas e Israele e un cessate il fuoco”. Dato che a Nuseirat, dove mi sono dovuto trasferire ancora una volta, soprattutto di notte, ho una scarsa connessione Internet, conto molto su Hekmat per avere delle informazioni, visto che si trova in una zona con una copertura migliore. Così p ha continuato a chiamarmi ogni dieci minuti. Verso le 2 mi ha detto: “A quanto pare, l’accordo è stato approvato”.
Ho provato una strana sensazione. Innanzitutto, un senso di sollievo. Ho guardato Sabah, Walid e Ramzi che dormivano sui loro materassi posati direttamente sul pavimento e mi sono detto: “Due anni dopo, siamo ancora vivi”. È un grande risultato essere tra i sopravvissuti di questo genocidio. Non ho potuto fare a meno di svegliare Sabah per dirle: “La guerra è finita!”. Lei mi ha risposto: “Smettila di scherzare!”. Non voleva crederci. Ho insistito: “Ma sì, c’è un accordo! Vedremo dopo i dettagli, ma per ora c’è un cessate il fuoco”. Ho visto le lacrime di gioia brillare nei suoi occhi. Una sensazione di euforia, come per chiunque aspetti la morte e scopra che alla fine continuerà a vivere.
La gioia si mescolava alla cautela
Naturalmente, ci sono centinaia di migliaia di gazawi che hanno perso i loro amici, i loro cari, le loro famiglie, i loro figli, i loro genitori. Ma anche con queste immense perdite, il fatto di rimanere in vita, di sfuggire per il momento al rullo compressore israeliano che ci spinge verso sud, è un grande risultato per la popolazione di Gaza. Ho cercato di inviare messaggi al maggior numero possibile di persone, malgrado la scarsa connessione. Volevo condividere la notizia. La aspettavano tutti, non solo a Gaza, ma in tutto il mondo. Tutti quelli che vogliono giustizia per il popolo palestinese.
Ovviamente non sono riuscito a riaddormentarmi e la giornata è stata lunga. Sapendo che sarei stato contattato da numerosi media, sono andato a Deir al-Balah, dove si trova la Press House-Palestine. Era la prima volta che ci tornavo da quando ero rientrato nel mio appartamento a Gaza City.
Ho ripreso un “carro bestiame”, ossia una carretta trainata da una vecchia auto ormai agli sgoccioli. Come ero solito fare allora, ho tastato il polso dell’opinione pubblica ascoltando le conversazioni dei viaggiatori accalcati a bordo. Com’è ovvio, tutti parlavano solo del cessate il fuoco. La gioia si mescolava a molta cautela. “Non è ancora finita”, ha detto uno dei passeggeri. Gli altri hanno annuito. Non dimentichiamo le brutte esperienze. Il cessate il fuoco di gennaio, già concluso sotto la pressione di Trump, è stato violato unilateralmente da Netanyahu a marzo, e il genocidio è ricominciato. Sono già falliti una serie di accordi tra Hamas e gli israeliani. Del resto, ci sono stati ancora raid aerei non lontano da dove vivo ora, vicino al corridoio di Netzarim, all’ingresso di Nuseirat.
I giovani dicevano di non voler tornare subito al nord. “L’ultima volta che ci abbiamo provato, durante l’ultimo cessate il fuoco, siamo finiti sotto le bombe”. C’era anche una signora che aveva dovuto lasciare la sua casa ad Al-Nafaq, nella città di Gaza. Prima faceva l’insegnante, mentre suo marito lavorava all’UNRWA. Sperava che il cessate il fuoco le avrebbe permesso di tornare a casa, “ma non so se la mia casa è ancora in piedi”. Il suo quartiere, Sheikh Radwan, è stato bersaglio di quelle enormi bombe rotolanti, vecchi blindati telecomandati pieni di esplosivo. La donna ha cercato la sua casa tramite le immagini satellitari, consultabili su Internet, ma non è riuscita a individuarla e non ha altre informazioni. La sua speranza è che la guerra finisca per sfinimento da un punto di vista morale, ma anche finanziario. Suo marito guadagna 1.700 dollari all’UNRWA, un ottimo stipendio a Gaza. “Ma ne prendiamo solo la metà, a causa dei cambiavalute”. Lo stipendio di suo marito viene versato sul suo conto a Ramallah. Ma come ho già detto, qui il contante è raro. Le banche hanno chiuso e solo i “cambiavalute”, in combutta con le banche di Ramallah, dispongono di contanti. A loro si trasferisce una somma e per versare il contante prendono una commissione dal 35 al 50%, a seconda dei periodi. L’intenzione dell’insegnante sarebbe quella di trovare un alloggio in affitto a Nuseirat, ma i proprietari vogliono che l’affitto venga pagato in contanti. La coppia ha difficoltà a comprare della frutta per i propri figli e nipoti. È per questo che si lamenta dei “profittatori della guerra”.
Un’altra dimensione di tristezza
Un altro passeggero del carro bestiame, un giovane commerciante, si è sentito chiamato in causa e ha voluto difendersi. Vende prodotti per l’igiene, tra cui pannolini per bambini. Ultimamente ne sono arrivati, per la prima volta dopo molto tempo, ma a prezzi altissimi. Ne ha tenuto una parte per sua figlia, malgrado il prezzo. L’uomo si lamentava perché centinaia di migliaia di persone non potevano permetterseli.
Ma non siamo approfittatori. Compriamo la merce con bonifico bancario e la vendiamo anche con bonifico bancario. Per far entrare la merce, quando i terminal sono aperti, ci vogliono molti soldi. Bisogna pagare il grossista e le squadre di protezione dei camion, altrimenti vengono saccheggiati... Ecco perché la merce è così cara. Prima della guerra, quando vendevo a prezzi normali, guadagnavo di più perché avevo molti clienti.
Le conversazioni sul camion andavano dalle proteste perché manca tutto alle flebili speranze di un ritorno alla normalità. Un gruppo di giovani si chiedeva se i loro cugini fossero ancora vivi o morti sotto le macerie. Sono rimasti nella città di Gaza nonostante il recente ordine di evacuazione. Da allora non si hanno più notizie. I giovani aspettavano il cessate il fuoco per andare a vedere. “E se sono morti, li seppelliremo con dignità”. Questa è la morte a Gaza.
Ci vorrà più di un cessate il fuoco per dissipare l’incertezza che ci tormenta da due anni. L’incertezza dei bombardamenti, degli sfollamenti, dell’assedio, di avere o meno di che nutrirsi. Non riusciamo più a pensare, né a prendere decisioni. E poi, anche se ci sarà questo cessate il fuoco, precipiteremmo in un’altra dimensione di tristezza.
Ci toccherà affrontare una seconda guerra
Gaza non guarirà le ferite, le riaprirà. Seppelliremo di nuovo i nostri morti che giacciono sotto le macerie, rivedremo le nostre case che sono state distrutte con tutti i nostri ricordi, tutti i nostri amici, tutta la nostra vita.
Ci toccherà affrontare una seconda guerra, ma sempre nell’incertezza. Netanyahu potrà violare il cessate il fuoco o l’accordo in qualsiasi momento. Quando sono arrivato in ufficio, ho fatto diverse interviste per radio e tv. Mi sono ritrovato con altri ospiti, uno in Israele, un altro a Parigi, che dicevano che bisognava fermare il terrorismo di Hamas, che tutto questo era colpa di Hamas, che tutto era iniziato il 7 ottobre 2023. Sempre la stessa cosa: quando si è israeliani, si vedono le cose al contrario. Non ci si rende conto che si è l’occupante, non si considera che si è presa la terra degli altri. Non si considera che si sta continuando ad espandersi prendendo la terra degli altri. Non si considera che si stanno torturando e bombardando gli altri. Ho parlato di genocidio, ma non è andato giù. Così ho aggiunto:
Quello che noi palestinesi vogliamo è solo avere giustizia. La giustizia è definita dal diritto internazionale. Le Nazioni Unite hanno dichiarato che è in atto un genocidio. La Corte penale internazionale ha emesso un mandato di arresto contro Netanyahu per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Secondo le risoluzioni dell’ONU, i palestinesi hanno diritto all’autodeterminazione e a uno Stato entro i confini del 1967.
La risposta di uni degli ospiti è stata: “Questo giornalista che parla di Gaza, parla del terrorismo di Stato di Israele, ma non parla del terrorismo dell’Autorità Nazionale Palestinese. Non parla della seconda Intifada”. Sono rimasto un po’ sorpreso. Era ignoranza o ingenuità?
La vittima non avrebbe quindi il diritto di difendersi? Non si dovrebbero usare le armi quando si è occupati? Non si dovrebbe ricorrere al diritto internazionale? Bisognerebbe solo tacere e ascoltare ciò che dice il più forte? Se si tratta di ingenuità, dovrebbe parlare con le vittime per vedere la realtà: che sono loro gli occupanti e noi gli occupati, che stanno prendendo il nostro territorio e che il mondo intero definisce occupazione la presenza israeliana nei territori palestinesi. Che la maggior parte dei paesi non riconosce l’annessione di Gerusalemme. Quanto al “piano Trump”, la sua applicazione rimane poco chiara.
Per ora, tutto ciò che vuole la popolazione palestinese è che il genocidio finisca una volta per tutte, ma non è affatto una cosa scontata. Quello che temo è la reazione di Trump ora che non ha ricevuto il premio Nobel per la pace. La mia paura è che dirà in sostanza: “Non ho ricevuto il mio premio; quindi, Netanyahu può finalmente ricominciare e andare fino in fondo”. Con un personaggio del genere, tutto è possibile. E tutto ciò aumenta l’incertezza.
Tutti parlano degli ostaggi israeliani e dei duemila prigionieri palestinesi che verranno liberati, ma troppo spesso ci si dimentica che ci sono decine di migliaia di palestinesi torturati e sottoposti a condizioni di detenzione mai viste nelle prigioni israeliane. Tutti sanno cosa succede nel carcere di Sde Teiman, ma sono pochi i media che ne parlano.
Per ora, lo ripeto, bisogna mettere fine al genocidio e mandare a monte il progetto israeliano di deportare i palestinesi da Gaza. La popolazione di Gaza rimarrà a Gaza, in Palestina. Esisterà sempre una Palestina.
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