Diario da Gaza 73

“Ed è stata una festa...”

Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI. Giornalista fondatore di GazaPress, un’agenzia di stampa che forniva aiuto e traduzioni ai giornalisti occidentali, Rami ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza con la moglie e il figlio Walid di due anni e mezzo. Rifugiatisi a Rafah, Rami e la sua famiglia sono stati costretti a un nuovo esilio interno, bloccati come tante famiglie in questa enclave miserabile e sovraffollata. Il 12 ottobre 2024, Rami ha ricevuto, per il suo Diario da Gaza, tre riconoscimenti al premio Bayeux per i corrispondenti di guerra. Questo spazio gli è dedicato dal 28 febbraio 2024.

L'immagine mostra una scena in una zona colpita da conflitti, con edifici distrutti e rovine visibili sullo sfondo. Una grande insegna scritta in arabo e inglese dice "Benvenuti a Gaza". Diverse persone camminano lungo una strada, alcune indossano giubbotti arancioni, suggerendo che potrebbero essere soccorritori o volontari. L'atmosfera sembra essere quella di una comunità che cerca di ricostruirsi dopo una crisi.
Gaza City, 26 gennaio 2025. Persone radunate vicino a uno striscione di benvenuto allestito accanto alle macerie di un edificio lungo la strada costiera Al-Rashid. Stanno cercando di ritornare nel nord di Gaza attraverso il corridoio di Netzarim.
Omar AL-QATTAA / AFP

Lunedì 27 gennaio 2025.

Sabato c’è stato il secondo scambio di prigionieri tra Israele e Hamas: 200 palestinesi in cambio di quattro soldate israeliane, catturate il 7 ottobre 2023 quando erano di guardia sulle torrette che sorvegliano il muro di Gaza. Le Brigate Ezzedin al-Qassam hanno consegnato gli ostaggi a un rappresentante del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) durante uno show spettacolare. Una messa in scena che aveva soprattutto lo scopo di mandare dei messaggi al governo e al pubblico israeliano. È cominciata con un video girato poco prima della cerimonia, in cui si vedevano le prigioniere ringraziare, in arabo, le Brigate al-Qassam per averli protetti dai bombardamenti del loro stesso esercito, un modo per ribadire che gli israeliani non si preoccupano della vita dei loro connazionali. È chiaro che è difficile credere alle dichiarazioni fatte da prigionieri sotto costrizione. Fatto sta che le immagini mostravano le quattro soldate vive, e apparentemente in buona salute. In secondo luogo, la scelta simbolica di tenere l’evento nella gremitissima piazza Palestina, nel cuore di Gaza City, se non altro per il nome del luogo. Hamas aveva allestito una grande palco, con i simboli delle Brigate al-Qassam e slogan in ebraico, del tipo “il sionismo non vincerà”, con tanto di ritratti dei leader militari israeliani.

Il luogo era protetto da file compatte di combattenti della Brigata, con i volti nascosti sotto un passamontagna nero e la fronte cinta da una fascia verde. Hamas ha così dato prova di voler mantenere il potere a Gaza. Le soldate israeliane sono salite sul palco affiancate dai combattenti, ognuno armato di un Tavor, il modello più recente di fucile d’assalto israeliano, utilizzato dalle truppe d’élite, e forse confiscati durante l’attacco agli avamposti militari del 7 ottobre 2023.

“Hamas rivendica la vittoria”

Il messaggio era chiaro: siamo ancora qui, molto più forti di quanto vi abbiamo fatto credere. Abbiamo le vostre armi e le vostre soldate. Ad uno sguardo più attento, si notava che erano tutte vestite con un’uniforme nuova di zecca, che ricordava quella dell’esercito israeliano, forse realizzate nei laboratori di sartoria sotterranei di Hamas. In altre parole: abbiamo anche i mezzi per restituirvi le vostre prigioniere vestite decorosamente, a differenza del trattamento che riservate ai prigionieri palestinesi. L’uniforme aveva comunque qualche elemento non originale: un pendaglio rappresentante la mappa di tutta la Palestina e un braccialetto con i colori della bandiera palestinese. I media israeliani hanno alterato le immagini sostituendo le bandiere palestinesi con quelle israeliane.

Hamas quindi rivendica la vittoria. Ma chi ha vinto la guerra? Dal punto di vista israeliano, non possiamo parlare di una vittoria. Netanyahu non ha raggiunto i suoi obiettivi: rilasciare tutti i prigionieri israeliani e sradicare Hamas, che è ricomparsa in pubblico nelle prime ore del cessate il fuoco, con i suoi combattenti in uniforme kaki e la sua polizia in divisa blu. Il governo e l’amministrazione hanno annunciato in una dichiarazione che avrebbero ripreso i lavori. L’ala militare è ancora attiva, nonostante la morte di molti dei suoi leader. Molti giovani militanti sono stati addestrati per unirsi alle Brigate Ezzedin al-Qassam per sostituire i combattenti uccisi.

I prigionieri? Fin dal primo giorno, il leader di Hamas a Gaza, Khalil al-Hayya, aveva dichiarato che non ci sarebbe stato alcun rilascio di prigionieri senza un accordo di cessate il fuoco e uno scambio con i prigionieri palestinesi. Ed è quello che è successo. Quindi Netanyahu ha perso e credo che presto ci sarà la fine della sua carriera politica. È come un vampiro che deve nutrirsi di sangue. Se il sangue cessa di scorrere, la sua vita politica è finita.

Ma gli israeliani avevano anche un obiettivo non dichiarato: continuare ciò che non erano stati in grado di portare a termine nel 1948. Non sono ancora riusciti a espellere i 2,3 milioni di abitanti della Striscia di Gaza, ma hanno fatto in modo che non sia più abitabile. Infatti, l’85% della popolazione è ormai senza casa. Non c’è più vita a Gaza. Non ci sono più università, scuole, asili, ospedali, infrastrutture, strade, acqua potabile, fognature, energia elettrica. Anche se la ricostruzione avverrà in modo giusto e rapido, ci vorranno molti, molti anni. Siamo in un periodo di non-vita. Credo anche che il prezzo del rilascio dei prigionieri palestinesi sia stato molto alto. Tutti credono di aver vinto. Per me, invece, il grande perdente è la popolazione di Gaza, e la Palestina in generale.

“Hanno venduto tutti i loro averi per intraprendere questo viaggio”

Un milione e mezzo di abitanti di Gaza desiderano tornare a casa. Hanno trascorso quindici mesi in condizioni terribili, in tende o sotto teloni, al freddo, al caldo o alla pioggia, soffrendo di malnutrizione, costantemente bombardati. La strada del ritorno a casa, nella parte nord, doveva essere riaperta sabato. Centinaia di migliaia di persone si erano dirette verso il corridoio Netzarim, la no man’s land che taglia in due la Striscia di Gaza. Molti di loro hanno venduto tutti i loro averi per intraprendere questo viaggio. Hanno smontato tende e teloni senza avere più un posto dove tornare. Hanno passato la notte in strada, al freddo, tutti sulla strada costiera. Altri, sulla strada di Salah al-Din, hanno dormito in macchina. Migliaia di auto formavano un gigantesco ingorgo. Gli israeliani hanno cominciato a sparare. Ci sono stati due morti. Tutti volevano essere tra i primi ad arrivare perché sapevano che non ci sarebbe stato molto spazio per piantare le tende in mezzo alle rovine.

La storia è andata avanti per due giorni e due notti. Poi, nella notte tra domenica e lunedì, è stato finalmente raggiunto un accordo tra Israele e Hamas per il ritorno degli sfollati. Il passaggio per i pedoni sarebbe stato consentito alle 7 del mattino; per i veicoli invece alle 9, sulla strada di Salah al-Din. La terza è stata una notte insonne per la folla in attesa. Alla fine, c’è stata una festa con migliaia di persone che cantavano. Alle 6:30 del mattino, una marea umana ha iniziato ad attraversare il corridoio di Netzarim, largo sette chilometri. Uomini, donne, bambini, anziani, malati, persone con stampelle o in sedie a rotelle. La maggior parte ha fatto tra i 25 e i 30 chilometri a piedi da Rafah, Khan Yunis o Deir al-Balah.

C’era il sorriso sulle loro facce stanche, ma anche la tristezza nel cuore. Tornare a casa può sembrare una piccola vittoria, ma per loro era una grande conquista. Sapevano che li aspettava una vita molto difficile. Una non-vita. E, in prospettiva, la morte. Molti di quelli che sono tornati speravano di trovare i loro morti sotto le macerie delle loro case. Dietro ognuno di quei volti c’è una storia particolare.

Una vita normale, niente di più

Allo stesso tempo, Trump dichiarava che avrebbe chiesto all’Egitto e alla Giordania di accogliere due milioni di palestinesi, di “ripulire” Gaza per “migliorarla”. Per gli israeliani, naturalmente, non per i palestinesi. O più precisamente, per i coloni israeliani che prenderanno il nostro posto. Ecco il vero obiettivo di guerra degli israeliani. Trump ha iniziato con l’Egitto e la Giordania, ma di sicuro farà pressione su altri paesi. Il nuovo presidente americano vuole risolvere la questione palestinese a modo suo, non con la guerra, ma grazie a una soluzione “umanitaria”.

Purtroppo, la gente di Gaza è così esausta, così nella miseria e nell’umiliazione, che la gran parte di loro, soprattutto i giovani, ha intenzione di lasciare Gaza per cercare una vita migliore, un avvenire ai propri figli, per i loro studi, per le loro famiglie, per poter avere condizioni di vita che a Gaza ormai sono impossibili. Non sto parlando di prosperità o di opportunità di carriera professionale, ma solo di avere l’energia elettrica quando si preme il pulsante dell’interruttore, l’acqua calda quando si apre un rubinetto o di avere cibo a sufficienza. Solo una vita normale, niente di più. Ci sarà però sempre chi vorrà rimanere a Gaza, perché è consapevole che il futuro è in Palestina. Nella speranza che i nostri figli abbiano una vita migliore, ma in Palestina. Non so per quanto tempo la popolazione potrà sopportare questa non-vita, resistendo alla tentazione di emigrare. A mio parere, però, siamo in tanti ad avere ancora un forte legame con la nostra terra.