Diario da Gaza 59

“Nessuno osa pronunciare la parola ‘genocidio’”

Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI. Giornalista fondatore di GazaPress, un’agenzia di stampa che forniva aiuto e traduzioni ai giornalisti occidentali, Rami ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza con la moglie e il figlio Walid di due anni e mezzo. Rifugiatisi a Rafah, Rami e la sua famiglia sono stati costretti a un nuovo esilio interno, bloccati come tante famiglie in questa enclave miserabile e sovraffollata. Il 12 ottobre 2024, Rami ha ricevuto il premio Bayeux Calvados-Normandie per i corrispondenti di guerra. Questo spazio gli è dedicato dal 28 febbraio 2024.

L'immagine mostra un murale che ritrae quattro giornalisti con abbigliamento di protezione e giubbotti con la scritta "PRESS". Sono posizionati in modo prominente davanti a un contesto di distruzione, simile a un'area colpita da un terremoto. Una persona sta camminando lungo il marciapiede di fronte al murale. I volti dei giornalisti esprimono determinazione e serietà, sottolineando il loro lavoro e l'importanza della libertà di stampa.
Londra, Redbridge, 7 maggio 2024. Murale del collettivo di artisti Creative debut, ispirato a una foto di Suhail Nassar. Da sinistra a destra, i giornalisti di Gaza Mohamed Al Masri, Ali Jadallah, Hind Khoudary e Abdelhakim Abu Riash. Sopra è scritto anche “Heroes of Palestine”.
Daniel Leal

Martedì 29 ottobre 2024.

Il lato positivo del premio Bayeux, sono orgoglioso di aver ricevuto tre riconoscimenti, è che lo sguardo dei media è cambiato. È stato premiato un giornalista palestinese, è ciò significa che si può essere palestinese e giornalista. Ma c’è ancora molta diffidenza da parte di molte testate. Certo, ci sono dei giornalisti palestinesi, ma a Gaza sono tutti controllati e censurati da Hamas, non è così? Non possono raccontare la realtà, perché hanno paura a causa delle minacce di Hamas, lo sanno tutti!

Non so da dove venga questa insistenza a voler sempre mettere in dubbio tutto ciò che dicono i giornalisti palestinesi. Salvo quando i giornalisti criticano Hamas, o ancora meglio se lo insultano. Quelli sì che sono dei veri giornalisti.

Ogni volta che vengo intervistato, mi fanno sempre la stessa domanda: “Subisce censure, vero? Non può scrivere o filmare quello che vuole?”. Quando rispondo di no, spesso non mi credono, perché la risposta non corrisponde a quello che vogliono sentirsi dire. Parlare male di Hamas, ecco un’ottima risposta! Se non lo fai, è perché sei minacciato. È proprio strano, ma ci sono due pesi e due misure. Ed è molto più grave della censura.

La censura? C’è da altre parti

È vero che, prima della guerra, Hamas aveva cercato di censurare i giornalisti. Ci sono stati alcuni problemi, ed io stesso ne sono stato vittima. A volte ho smesso di lavorare a causa di Hamas. Ma dall’inizio di questa guerra, non c’è stata alcuna censura. Ma c’è da altre parti. In Cisgiordania, l’Autorità palestinese sta cercando di censurare la stampa. In Israele esiste la censura militare, è vietato parlare di temi che riguardano l’esercito e le sue operazioni militari. Nei territori palestinesi occupati, la censura israeliana è ovunque. E non va tanto per il sottile. Non gradiscono i servizi di Al-Jazeera? Ecco che i soldati entrano negli studi tv di Ramallah, in territorio palestinese, e li chiudono, proprio come hanno chiuso gli studi di Al Jazeera in Israele. Ai giornalisti stranieri è vietato l’ingresso a Gaza, salvo in rarissimi casi, a bordo di un blindato israeliano. E non è censura questa?

A volte la censura israeliana viene esercitata in maniera ancor più brutale. A colpi di fucile, droni o bombe. Finora, sono 172 i giornalisti palestinesi uccisi dall’inizio della guerra, molti dei quali colpiti proprio mentre svolgevano il proprio lavoro. Sono stati bombardati anche vari uffici di organi di stampa, incluso quelli delle agenzie internazionali come AFP e Reuters.

Eppure, nessuno chiede mai a un giornalista israeliano se può scrivere liberamente su qualsiasi argomento o quali siano le sue fonti. Un giornalista israeliano dice sempre la verità. Mentre un giornalista palestinese, beh, diciamo un giornalista, non può dire la verità, perché si sente minacciato da Hamas!

La censura esiste ovunque, anche in Francia. Quando l’ho detto nel corso di un programma, il conduttore mi ha smentito. Un proverbio arabo dice “il dromedario non vede mai la sua gobba, vede solo quella degli altri”. Ricordo, però, che nella principale emittente nazionale è scattato il licenziamento per un comico che aveva fatto una battuta sul prepuzio di Netanyahu1. Un altro giornalista, su una rete tv, è stato quasi licenziato per non essere stato abbastanza accondiscendente con un portavoce dell’esercito israeliano2. A quanto pare, non possono fare domande imbarazzanti (sì, a Gaza, anche tra macerie, massacri e il più totale isolamento, a volte riusciamo ad avere una connessione internet e a sapere quello succede nel mondo). Il compito dei giornalisti è proprio quello di fare domande scomode. Ma, a quanto pare, non a un ufficiale israeliano.

Al contrario, con i palestinesi, bisogna sempre mettere tutto in discussione, soprattutto quando si tratta di Gaza. Si possono sollevare dubbi su tutto, dalle cifre ai morti, dai feriti agli sfollati. Ma le cifre e le notizie dell’esercito israeliano vengono citate senza verifica.

I bambini di Gaza decapitati possiamo vederli ogni giorno

Però, non siamo più negli anni ‘80 o ‘90. Grazie ai social, malgrado la censura anche in rete, oggi possiamo vedere tutto. C’è chi critica Hamas e chi lo sostiene. Ci sono immagini di massacri, carneficine commesse dagli israeliani, talmente atroci da non poter essere trasmessi in tv, ma fanno il giro del mondo sui cellulari. I media occidentali non osano parlare di genocidio, ma molti, da ogni parte del mondo, lo scrivono sui social.

Quando un soldato israeliano ha dichiarato che quaranta bambini erano stati decapitati il 7 ottobre, questa fake news è stata ripresa per un po’ di tempo con molta indignazione da decine di media che ci hanno creduto senza aver visionato le immagini3. I bambini di Gaza decapitati o fatti a pezzi, li vediamo tutti i giorni, ma secondo qualcuno si tratta di una messa in scena, di una “pallywood”4, oppure di immagini create con l’intelligenza artificiale. Non sto parlando di tutta la categoria dei giornalisti, ovviamente. Lo so che ci sono quelli che fanno bene il loro lavoro, controllando le notizie. Ma so anche che ci sono altri che non lo fanno. Stiamo subendo una guerra mediatica che capovolge la realtà, che fa “il lavaggio del cervello” alla gente, come diciamo noi. Una guerra mediatica che sta cambiando la coscienza delle persone che non sanno nulla della questione palestinese, che non sanno nemmeno che c’è un’occupazione.

A furia di avere migliaia di canali radio tv che passano a ripetizione la propaganda israeliana, le persone vengono informate sul conflitto solo attraverso il punto di vista israeliano. Sappiamo i nomi delle vittime in Israele, ci vengono mostrate le loro famiglie. A Gaza siamo solo dei numeri. Non siamo esseri umani con una nostra storia, le nostre ambizioni, i nostri sogni, la nostra vita. Eppure, le cifre dei massacri vengono sempre messe in discussione. La guerra mediatica è più forte dei bombardamenti.

Con le bombe, vediamo morti e distruzione. Nella guerra dei media, non vediamo come cambia la mente delle persone. È contagiosa. In Occidente lo vedono che stiamo morendo, ma nessuno osa pronunciare la parola “genocidio”. Ci sono solo delle “vittime civili da parte palestinese”. È questa non è forse un’autocensura? Quando verrà detta la verità per quella che è? Quando non ci si accontenterà più della propaganda israeliana? Se è per un partito ideologico, beh allora complimenti, è un ottimo lavoro. Ma se è per autocensura, allora è un bel problema. Più grave della censura. Il risultato è che la guerra mediatica fa sembrare la vittima l’aggressore.

1Rami Abou Jamous si riferisce alla sospensione del comico Guillaume Meurice di France Inter, nel giugno 2024, per “grave condotta”, per una battuta sul primo ministro israeliano descritto come “una sorta di nazista ma senza prepuzio”. [Ndr].

2Il riferimento è a Mohamed Kaci, presentatore di TV5 Monde], richiamato all’ordine dalla sua direzione in seguito a un’intervista al telegiornale con Olivier Rafowicz, portavoce dell’esercito israeliano. [Ndr].

3Anche il presidente degli Stati Uniti ha riportato in un primo momento queste fake news, dichiarando di aver visto le immagini di quei bambini decapitati, prima di ritrattare la sua dichiarazione. [Ndr].

4Una parola composta da “Palestina” e “Hollywood”. Viene usata da chi porta avanti una campagna di disinformazione con false accuse ai palestinesi di inscenare la propria morte o la propria sofferenza nei video. [Ndr].