Diario da Gaza 109

“Non si sa chi sia ancora in prigione e chi sia morto”

Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI. Fondatore di GazaPress, un ufficio che forniva assistenza e traduzioni ai giornalisti occidentali, nell’ottobre 2023 ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza City insieme alla moglie Sabah, ai figli di lei e al loro bambino Walid, di tre anni, sotto la minaccia dell’Idf. Si sono rifugiati a Rafah, poi a Deir al-Balah e successivamente a Nuseirat. Un mese e mezzo dopo l’annuncio del cessate il fuoco del gennaio 2025 – violato da Israele il 18 marzo – Rami è tornato a casa con la sua famiglia. Dal 25 settembre 2025 hanno dovuto lasciare nuovamente la città di Gaza per trasferirsi a Nuseirat.

Un uomo con un fazzoletto palestinese, visibilmente colpito, circondato da altre persone.
Ramallah, 13 ottobre 2025. Uno dei prigionieri palestinesi, rilasciato dalla prigione militare di Ofer nell’ambito di uno scambio di prigionieri contro ostaggi e di un accordo di cessate il fuoco.
ZAIN JAAFAR / AFP

Mercoledì 15 ottobre 2025.

Gli ostaggi israeliani sono stati dunque liberati dopo due anni trascorsi nelle mani di Hamas. Tra loro ci sono soldati che erano di stanza nelle postazioni militari alla periferia di Gaza. Sono tutti contenti. Le loro famiglie sono contente, gli israeliani sono contenti, Trump è contento, l’Occidente è contento. Sono tutti contenti perché venti persone sono state liberate. Gli ostaggi israeliani hanno raccontato di essere stati trasferiti più volte, in tunnel, in condizioni di detenzione che definiscono terribili. Con discorsi e interventi, in Israele e in Occidente, tutti si congratulano per la liberazione degli ostaggi, che era una priorità. I leader politici parlano della grande festa per il ritorno a casa degli ostaggi. Ma c’è meno gioia per la fine della guerra. Non si parla più del genocidio che abbiamo vissuto. Si fa finta di dimenticare che dei quasi 2.000 palestinesi liberati da Israele in cambio di questi venti israeliani, 1.718 sono stati rapiti durante i due anni di invasione di Gaza.

Lo dicono gli stessi israeliani: i palestinesi rilasciati non erano coinvolti nell’operazione del 7 ottobre, né implicati in azioni militari. E così l’Idf ammette implicitamente di averli sequestrati per usarli come merce di scambio, come d’abitudine. Naturalmente si parla di quelli che sono stati liberati, ma ce ne sono migliaia di altri che sono stati detenuti, non si riesce nemmeno a sapere il loro numero esatto. Si tratta per lo più di gazawi che si rifiutavano di spostarsi verso sud come ordinato dall’esercito. Le loro famiglie non sanno se stanno marcendo nelle prigioni israeliane, se sono sepolti sotto le macerie delle loro case o in fosse comuni. In passato, quando gli israeliani arrestavano qualcuno, comunicavano il suo nome al Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR), che trasmetteva alla famiglia la notizia dell’arresto e il luogo di detenzione. Negli ultimi due anni non è stato così.

Le famiglie non devono gioire pubblicamente

Tutti parlano delle condizioni di salute dei venti israeliani liberati. Sono dimagriti perché non hanno mangiato abbastanza. Come i palestinesi di Gaza, in sostanza. Hanno vissuto quello che abbiamo vissuto noi. Sono stati trasferiti perché Hamas voleva proteggerli dai bombardamenti del proprio esercito. Un ostaggio israeliano vivo vale più di uno morto. Può essere scambiato con un numero maggiore di prigionieri palestinesi. Gli ostaggi israeliani sono stati tenuti per lo più nei tunnel, ma sono stati anche nascosti sotto tende e in scuole trasformate in campi profughi. Come tutti gli abitanti di Gaza.

Per quanto riguarda lo stato di salute dei prigionieri palestinesi liberati, lo abbiamo visto nelle immagini: molti erano sulle sedie a rotelle. Tra loro c’erano amputati, senza mani o senza gambe, corpi emaciati, volti pallidi. Tutti sanno cosa è successo nelle prigioni israeliane, in particolare in quella di Sde Teiman: torture quotidiane, abusi. Diversi detenuti liberati lo hanno raccontato. Le indagini dell’ONU e di Ong per la difesa dei diritti umani lo hanno documentato. Le guardie carcerarie ne hanno parlato. Le telecamere di sorveglianza hanno filmato quegli abusi.

Il ministro israeliano della sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, si è vantato pubblicamente di ridurre alla fame i prigionieri e di privarli di tutto. Ecco la realtà della politica di uno Stato che tratta i prigionieri palestinesi come “animali umani”. L’“unica democrazia della regione” pratica arresti arbitrari e detenzioni amministrative, senza processo, prorogando il periodo di detenzione ogni tre o sei mesi, e spesso senza che le persone arrestate conoscano il motivo del loro arresto.

Poiché Israele spesso nega la loro presenza nelle sue prigioni, non si sa chi sia in carcere e chi sia morto. Ed è difficile parlare di tutto questo, perché alle famiglie non è permesso gioire pubblicamente per la liberazione dei loro cari. In Israele, l’intero Paese festeggia il ritorno degli ostaggi. I palestinesi, invece, non hanno diritto a festeggiare. Anche in Cisgiordania e a Gerusalemme Est i festeggiamenti sono stati vietati. Lo stesso vale per le circa 154 persone espulse in Egitto, per essere poi rimandate in altri Paesi arabi o musulmani. Senza rivedere le loro famiglie. Israele ha persino vietato a una ventina di famiglie di andare a trovare i propri cari in Egitto, impedendo loro di lasciare la Cisgiordania, per paura che anche lì si potesse assistere a festeggiamenti per il ritorno a casa. Per gli israeliani, è fondamentale che non ci sia piena gioia.

Veniamo trattati peggio degli animali

Anche a Gaza non ci sono state grandi feste. Certo, alcune famiglie hanno gioito quando hanno scoperto che il padre, il figlio o il fratello che credevano scomparsi erano ancora vivi e adesso liberi. Ma molti prigionieri liberati hanno trovato le loro case ridotte a un cumulo di macerie. Non hanno ritrovato i loro genitori, i loro figli, morti, scomparsi, sepolti sotto le macerie.

Gli ostaggi israeliani sono trattati bene in ospedali altamente tecnologici. Beneficeranno di un sostegno psicologico. I prigionieri palestinesi sono stati portati all’ospedale Nasser, che funziona solo in parte e dove è stato possibile fornire solo cure minime. Sono semplicemente liberi. È già qualcosa.

Tra gli uomini liberati, ci sono anche 250 condannati all’ergastolo per azioni militari, di cui 154 espulsi in Egitto. Secondo la formula delle autorità israeliane, sono terroristi “che hanno le mani sporche di sangue”, ma nessuno parla del fatto che ci sono anche degli israeliani che hanno le mani sporche di sangue. Sangue palestinese, dal 1948 fino al genocidio di oggi. Ma loro non considerano il sangue palestinese come sangue umano. Per loro è solo il sangue di “animali umani”. Di nuovo, veniamo trattati peggio degli animali.

Temo un ritorno alla normalità

Oggi, in Occidente, ci si commuove per la sofferenza degli animali, ma non per quella dei palestinesi. Un giorno, i soldati liberati riprenderanno il loro posto nell’occupazione della Palestina. Torneranno a uccidere dei palestinesi. Ma non sarà grave. Non si dirà che “hanno le mani sporche di sangue”. Il carnefice è legittimato, la vittima è un “terrorista”. Anche i morti non sono trattati in modo equo. Israele identifica meticolosamente i corpi degli ostaggi morti durante la detenzione e restituiti da Hamas. Quando restituisce ai palestinesi i resti dei prigionieri morti nelle sue prigioni – se li restituisce –, l’Idf li getta alla rinfusa in sacchi di plastica, senza fornire alcuna identificazione.

Ciò che temo è che ora che il genocidio è finito, si tornerà alla normalità. Sentiremo ripetere ogni giorno che Israele ha il diritto di difendersi. Netanyahu, accusato di crimini di guerra dalla Corte penale internazionale, non sarà processato, nemmeno nel suo Paese, dove è indagato in diversi casi di corruzione, con Trump che è arrivato addirittura a chiedere la sua amnistia. E poi, visto che ha fatto liberare gli ostaggi israeliani, Netanyahu verrà rieletto e sfuggirà alla giustizia. Lo stesso vale per i governi occidentali e arabi: va tutto bene, il genocidio è finito, quindi tutto è passato, parliamo del futuro. E il futuro è la pace. Bisogna perdonare, ma solo il più debole deve perdonare. Quanto al più forte, lui non perdonerà. Continuerà l’occupazione, la tortura e i bombardamenti. Continuerà la colonizzazione, annetterà territori. Ma è necessario che la vittima perdoni.

È per questo che temo che trionfi l’impunità. L’impunità di Netanyahu, di Trump, di Yoav Gallant, l’ex ministro della Difesa che ha giustamente definito tutti i palestinesi degli “animali umani”, di Benny Gantz, il generale che ha guidato le operazioni a Gaza, e di chiunque abbia partecipato a questo genocidio, che è stato negato da molti dei sostenitori di Netanyahu in tutto il mondo, anche se si stava consumando sotto i loro occhi. Ora che è finito, questi ultimi raddoppieranno i loro sforzi.

Credo che si passerà a una fase più pericolosa: quella in cui si dovrà chiudere il dossier, interrompendo le indagini sui crimini di guerra. Sarebbe una catastrofe. Tutti quelli che hanno partecipato a questo genocidio devono essere processati. Tutti quelli che sono stati detenuti a Gaza dall’Idf devono essere liberati. Tra loro ci sono decine di infermieri e medici, come il dottor Hussam Abu Safiya, pediatra dell’ospedale Kamal Adwan, arrestato dai militari israeliani nel dicembre 2024 per essersi rifiutato di evacuare l’ospedale per continuare a dare cure ai suoi piccoli pazienti. È ancora detenuto senza accuse formali nelle carceri israeliane dove ha subito maltrattamenti.

Ti è piaciuto questo articolo? Orient XXI è un giornale indipendente, senza scopo di lucro, ad accesso libero e senza pubblicità. Solo i suoi lettori gli consentono di esistere. L'informazione di qualità ha un costo, sostienici

Fare una donazione