Diario da Gaza 107
“Non voglio che Walid impari che ‘israeliano’ significa morte, bombardamenti, genocidio”
Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI. Giornalista fondatore di GazaPress, un’agenzia di stampa che forniva aiuto e traduzioni ai giornalisti occidentali, Rami ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza con la moglie e il figlio Walid di due anni e mezzo. Rifugiatisi a Rafah, la famiglia è stata poi costretta a un nuovo esilio prima a Deir al-Balah, poi a Nuseirat, bloccata come tante famiglie in questa enclave miserabile e sovraffollata. Un mese e mezzo dopo l’annuncio del cessate il fuoco, Rami è finalmente tornato a casa con la moglie, Walid e il figlio appena nato, Ramzi. Per il suo Diario da Gaza, Rami ha ricevuto tre importanti riconoscimenti al premio Bayeux per i corrispondenti di guerra. Questo spazio gli è dedicato dal 28 febbraio 2024.
Domenica 5 ottobre 2025.
Questa volta vi scrivo da Nuseirat, dieci chilometri a sud della città di Gaza. Vi scrivo dopo essere stato obbligato a lasciare Gaza il 25 settembre.
Ora siamo in un appartamento che ci ha trovato un amico, un collega della Press House-Palestine. La sua famiglia possiede un appezzamento di terreno qui, e uno dei suoi cugini ci ha affittato un appartamento circondato dal verde e dagli ulivi. Intorno non ci sono molte case. Qui siamo lontani dallo scenario del nero e grigio uniformi della città di Gaza. Oggi, quando guardo fuori dalla finestra, vedo un po’ di mare e di verde. Naturalmente ci sono anche edifici bombardati. Ma non è come a Gaza, dove vedevo solo distruzione ovunque.
Il giorno dopo il nostro arrivo, però, c’è stato il ritorno alla realtà. Gli israeliani hanno bombardato il mercato di Nuseirat, in particolare il supermercato molto frequentato di Abu Dalal. Ci sono stati più di 20 morti.
Ci sono diversi motivi per cui Sabah e io abbiamo deciso di partire. Innanzitutto, i suoi figli Moaz, Sajed e Anas, che vivono con la famiglia paterna, erano partiti per Nuseirat due settimane prima. Sabah aveva il cuore spezzato all’idea di non poterli più vedere. In più, la strada poteva essere interrotta in qualsiasi momento, cosa che ci avrebbe separato da loro forse per molto tempo, come era già successo la prima volta, quando eravamo stati costretti a partire verso sud. Non potevo dire di no all’amore di una madre per i propri figli. Allo stesso tempo, la città di Gaza era stata quasi circondata. I carri armati israeliani erano arrivati all’ospedale Shifa, molto vicino alla nostra torre, e alla rotonda del ministero delle Finanze, lì vicino. La maggior parte degli abitanti del nostro quartiere e della nostra torre se n’era già andata.
Era quindi una decisione già presa. Degli amici ci avevano offerto dei posti su un camion che avevano noleggiato. Non abbiamo portato molte cose, solo valigie e materassi. Walid era contento di partire, perché gli avevo detto che saremmo andati a trovare i suoi fratelli. Per questo ha messo dei giocattoli nello zainetto.
Intere famiglie fuggono a piedi
Di solito, il tragitto da Gaza City a Nuseirat non dura più di dieci minuti. Noi ci abbiamo messo quattro ore. Siamo partiti alle 17 e 30 e siamo arrivati verso le 22. C’erano enormi ingorghi all’uscita della città di Gaza, alla rotatoria Nabulsi, poi all’ingresso di Nuseirat, all’altezza del ponte di Wadi Gaza. La strada era piena di gente che fuggiva dalla morte per dirigersi verso sud, su camion, carri o a piedi. I trattori trainavano dei carretti, oppure due o tre auto senza benzina, cariche di valigie, vestiti, taniche, teloni, materassi e coperte. Si vedevano persino carretti trainati da un uomo e spinti da un altro, su cui erano ammassate le loro famiglie e dei vecchi vestiti. Sul ciglio della strada, c’erano camion e automobili in panne. Era impossibile rimuoverle perché i camion erano già strapieni.
C’erano intere famiglie in fuga a piedi che si fermavano per riprendere fiato. Alcuni spingevano persino persone anziane su sedie a rotelle, cosa ancor più difficile perché la strada, distrutta dall’occupante, è diventata un sentiero sabbioso.
Poco dopo la nostra partenza, ho guardato con Walid il sole che tramontava lentamente sul mare. La strada costeggia la nostra magnifica costa, quella che Donald Trump vuole trasformare in una “Riviera”. Da un lato, la spiaggia. Dall’altro, l’esodo di una folla esausta. Sulla spiaggia ci sono anche centinaia di teloni, sotto i quali sopravvive chi non ha un posto dove andare. Che differenza tra questo bel tramonto e quell’immagine di desolazione, stanchezza e miseria...
Ho cercato di attirare l’attenzione di Walid verso quella bellezza. “Guarda che bella spiaggia, guarda il mare, guarda che tramonto!”. Ma Walid guardava l’elicottero sopra di noi che aveva appena sparato verso terra: “Guarda papà, l’elicottero sta sparando!”. Ho risposto: “Sì, presto vedremo i paracadute!”. Cerco ancora di fargli credere che gli elicotteri lanceranno paracadute con aiuti umanitari, come hanno fatto gli aerei in passato. Walid non sa che stiamo fuggendo dallo scenario peggiore, dalla morte, a causa dell’ultimatum lanciato da Trump a Hamas. Se Hamas non accetterà il suo piano, secondo Trump, Israele “continuerà il lavoro”, il che significa continuare il genocidio fino alla deportazione di tutti i palestinesi dalla Striscia di Gaza all’estero.
Intorno a noi, la miseria
Una volta arrivati a Nuseirat, abbiamo sistemato i nostri materassi nell’appartamento. Si trova al secondo piano di una casa che ne ha tre, o meglio, che ne aveva tre. L’ultimo piano è stato distrutto nel giugno 2024 dall’Idf, durante un assalto per liberare quattro prigionieri israeliani. Ci siamo addormentati subito, esausti per la giornata. La mattina, sorpresa: erano venuti a trovarci i figli di Sabah! È stata una grande gioia per Walid, per Sabah e persino per il piccolo Ramzi.
Un momento di gioia, ma intorno a noi c’era la miseria. Nuseirat è un insieme di campi profughi. Donne e bambini erano seduti per terra, in strada. Aspettavano i padri di famiglia, partiti alla ricerca di un posto dove stabilirsi, un posto qualsiasi dove piantare la loro tenda o il loro telone, un pezzo di terra, un garage, persino il tetto di una casa. Si vedono molte tende sui tetti e sulle terrazze, ma anche in mezzo agli ulivi e alle palme.
Rispetto a Gaza City, ormai svuotata dei suoi abitanti, qui a Nuseirat si vede tanta gente in giro. I mercati sono ancora aperti alle 22. La sera del nostro arrivo, prima di andare a dormire, sono uscito e ho trovato un po’ di pane e falafel. Il giorno dopo c’era anche della frutta! Era la prima volta che ne vedevamo da molto tempo. Walid era pazzo di gioia, soprattutto per le mele, che adora. C’erano anche banane e manghi. Ovviamente erano venduti a un prezzo cinquanta volte superiore al normale. Ma non ho potuto fare a meno di comprare delle mele e delle banane per i bambini. Quando Walid ha visto le mele, ha fatto i salti di gioia e ne ha divorata una dicendo: “Grazie papà!”. La sera mi ha abbracciato più del solito, mi ha dato più baci, dicendo: “Ti voglio bene perché mi hai portato le mele”. Avevo le lacrime agli occhi e il cuore spezzato come da una pugnalata. Non avevo portato mio figlio a Disneyland, gli avevo solo dato una mela. Siamo arrivati al punto in cui questo semplice frutto diventa il sogno di un bambino. E ce ne sono centinaia di migliaia, a Gaza, che non hanno nemmeno questa fortuna.
Si vedono di nuovo i prodotti alimentari
Il settore privato sta iniziando a far entrare molte merci nella Striscia di Gaza. Abbiamo trovato cioccolato e altri frutti, tra cui rutab e datteri non ancora del tutto maturi. Tutte cose introvabili a Gaza. Anche quando sono ricominciati ad arrivare gli aiuti umanitari, si trovavano solo riso, farina, conserve e lenticchie, ma niente frutta e verdura. È la prima volta che si vedono gli avocado, per esempio. Dovrebbe arrivare anche il pane: il Programma alimentare mondiale (PAM) fornirà gratuitamente farina e combustibile ai panifici. I panettieri venderanno un sacco di pane a 3 shekel (75 centesimi), mentre fino ad ora lo si trovava solo alla cifra astronomica di 150 shekel (37,5 euro). E, cosa altrettanto importante, sono ricomparsi i prodotti per l’igiene. Detersivi, sapone, shampoo, pannolini!
Per mesi, erano stati vietati dagli israeliani. Le conclusioni di un simile cambiamento sono molteplici:
- Gli israeliani hanno senza dubbio ceduto alle pressioni internazionali, almeno sulla questione umanitaria.
- Queste merci entrano solo a sud della Striscia di Gaza, il che contribuirà a svuotare ancora di più il nord dei suoi abitanti.
- Hamas non distoglie gli aiuti pubblici o privati, contrariamente alle accuse degli israeliani. È Israele che ne impediva l’arrivo.
Questa situazione mi aiuterà a convincere Walid che è bello essere ancora in viaggio – per la quinta o sesta volta, non ricordo più – perché si possono comprare cioccolata e mele, e inoltre ha ritrovato i suoi fratelli. Mi aveva chiesto il motivo per cui eravamo partiti. Allo stesso tempo, Walid sa che a Gaza City ci sono pericoli e bombardamenti. Ma almeno posso dirgli che venendo qui ha trovato un piccolo angolo di paradiso.
L’ho portato anche a raccogliere delle olive, non lontano dal nostro nuovo appartamento. Ottobre è la stagione della raccolta. Ho visto la gioia nei suoi occhi e nel suo sorriso. E anch’io ero molto contento. Cerco sempre di preservare l’innocenza di mio figlio trasformando lo sfollamento, l’umiliazione, il pericolo, la paura, la fuga dalla morte in qualcosa di positivo, anche se recitare questo ruolo sta diventando davvero estenuante, soprattutto perché all’età di Walid si comincia a capire cosa sta succedendo.
Faccio di tutto affinché Walid non scopra la realtà, ma ora ho paura quando mio figlio sente i raid aerei, quando vede gli F-16 sganciare le bombe o quando sente il terreno tremare sotto i piedi a causa dell’impatto. Per fortuna, Walid non capisce ancora che stiamo vivendo un genocidio, che un nemico sta compiendo una pulizia etnica contro tutta la nostra popolazione palestinese.
Walid non capisce che c’è gente che vuole fare del male ai bambini e a tutti quelli che vivono sulla nostra terra. Non capisce che questo nemico vuole cacciarci tutti dalla nostra patria, che stiamo lasciando Gaza. Ma, a poco a poco, comincia a comprendere la realtà. Recentemente mi ha chiesto:
Papà, ci sono israeliani a Gaza City.
Walid, non ci sono israeliani. Come ti vengono in mente queste cose?
Sì, dicono che sono arrivati da noi e che stanno uccidendo tutti.
No, non è vero. Non sono gli israeliani. È la polizia che viene ad arrestare i ladri. Non ci sono israeliani. Non ripetere quella parola perché non esiste una cos del genere.
Ma anche lo zio X me l’ha detto
Sì, ma lui non ti dice la verità.
È sempre più difficile continuare a mentire. Non voglio che impari quelle parole. Non voglio che impari che “israeliano” significa morte, bombardamenti, genocidio. Voglio che conservi la sua innocenza, che viva come qualsiasi altro bambino sulla terra.
Per il momento, Walid si gode ancora il nostro nuovo ambiente a Nuseirat. I suoi fratelli non sono sempre a casa nostra, vengono solo la mattina per salutarci, a volte passano mezza giornata con noi. Walid si sta facendo nuovi amici e ormai conosce tutti nel quartiere. Lo chiamano “Walid il francese”. Spesso le persone gli parlano in inglese, perché per loro la lingua occidentale è per forza l’inglese. Può uscire tranquillamente senza essere accompagnato perché è un quartiere familiare, dove ci conosciamo tutti. Con i suoi nuovi amici va da un posto all’altro. Può allontanarsi un po’ di più rispetto a quando eravamo a Gaza City.
Sono contento che continui a vivere la sua infanzia, che non abbia paura di andare in giro, anche quando sente gli F-16, i raid aerei e soprattutto i colpi degli elicotteri. È diventato amico di tutti i cani del quartiere. Quando lo vedo, mi dico che, alla fine, la decisione di partire è stata giusta, anche se all’inizio ero contrario. È la decisione migliore per tutti, per Sabbouha [forma affettuosa di Sabah] e i suoi figli, per Walid e per Ramzi.
La mia speranza è che tutto questo finisca prima che Walid pensi che tutti gli israeliani sono necessariamente persone che vogliono fare del male ai palestinesi. E che continui a vivere la sua vita normalmente.
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