Diario da Gaza 10

“Ogni potere che arriva a Gaza cerca di sfruttare i clan”

Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI.. Giornalista fondatore di GazaPress, un’agenzia di stampa che forniva aiuto e traduzioni ai giornalisti occidentali, Rami ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza con la moglie e il figlio Walid di due anni e mezzo. Ora condivide un appartamento con due camere da letto con un’altra famiglia. Nel suo diario, racconta la sua vita quotidiana e quella degli abitanti di Gaza a Rafah, bloccati in questa enclave miserabile e sovraffollata. Questo spazio è dedicato a lui.

L'immagine mostra un gruppo di uomini che stanno ricevendo o scambiando sacchetti. Gli uomini sembrano essere in un ambiente di lavoro, con segni di polvere sui loro vestiti, suggerendo che stiano partecipando a un'attività che richiede impegno fisico. I sacchetti possono contenere materiali o forniture, e l'atmosfera appare focalizzata e praticante. Sullo sfondo ci sono altri uomini e alcune strutture, che contribuiscono a un contesto di lavoro collettivo.
Un uomo riceve un sacco di farina durante la distribuzione degli aiuti umanitari. Gaza, 17 marzo 2024.
AFP

Domenica 24 marzo 2024. Gli israeliani stanno ancora cercando un modo per rimpiazzare Hamas. Ricorrendo a una pessima e consolidata prassi, hanno anche considerato la possibilità di collaborare con i capi delle “grandi famiglie” della Striscia di Gaza. È il metodo di tutti i colonizzatori e occupanti: i sovietici hanno cercato di usarlo in Afghanistan, gli Stati Uniti in Iraq e in Afghanistan. Purtroppo, nel mondo arabo, e soprattutto in Medio Oriente, i clan sono una realtà, ed è spesso necessario chiedere l’intervento dei loro capi per regolare le controversie. Gli israeliani hanno iniziato a farlo nel 1967, dopo l’occupazione della Cisgiordania, della Striscia di Gaza e di Gerusalemme.

All’epoca c’era un vuoto di potere a livello amministrativo e politico. Così il governo israeliano ha iniziato a cercare interlocutori che garantissero la sicurezza. Si sono rivolti ai mukhtar1, i capi delle famiglie più influenti. I mukhtar erano noti per le loro relazioni con gli occupanti, dall’Impero Ottomano agli inglesi, fino agli israeliani. Avevano una reputazione ambigua, perché se, da una parte, erano visti come dei mediatori con le forze occupanti, a cui fornivano un servizio amministrativo facilitando la vita della popolazione, dall’altra, erano considerati dei collaborazionisti.

Di solito funzionava così: il generale israeliano che comandava la regione andava dal mukhtar – o il capo della famiglia X – e gli diceva: “Abbiamo un problema con uno dei vostri membri. Quindi o lo risolvete, o lo arrestiamo”. A volte, invece, il mukhtar riusciva ad intervenire per far liberare qualcuno.

“Tutto è cambiato con l’arrivo di Arafat”

Con lo scoppio della prima Intifada, nel 1987, tutto è cambiato. Le grandi famiglie hanno perso la loro influenza quando ha preso il potere l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), ma soprattutto, tra le varie fazioni, al-Fatah di Yasser Arafat. Questa situazione è andata avanti fino agli accordi di Oslo, con la creazione dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) e l’insediamento di Yasser Arafat nel quartier generale di Gaza nel 1994. In quel momento, Arafat aveva bisogno dell’appoggio delle grandi famiglie per consolidare il suo potere. E così ha creato un’organizzazione chiamata Hay’at Al ‘Achaer, un sistema di clan. Ad esempio, i clan potevano intervenire in caso di controversie o contenziosi tra membri delle varie famiglie, per risolvere la questione in via amichevole piuttosto che in tribunale. Tutto questo è andato avanti fino all’inizio della seconda Intifada nel 2000. È in questo periodo che il ruolo delle famiglie è cambiato, passando da quello di mediatori delle controversie ad uno che può essere definito mafioso.

Molti dei clan hanno approfittato dell’indebolimento dell’Autorità Palestinese, oltre che del caos dovuto all’impossibilità di intervento da parte della polizia e delle forze di sicurezza, perché gli israeliani avevano colpito le caserme e il personale. Anche la creazione di Hamas, divenuta ben presto molto popolare, ha privato l’Autorità Palestinese di una parte del suo potere. A sua volta, il partito politico islamista ha deciso di appoggiarsi ad alcuni clan, arrivando fino al punto di armarli. Sono proprio i clan armati ad aver ucciso i capi della polizia dell’Autorità Palestinese e del Mukhabarat, i servizi segreti, tra cui un alto dirigente, Jad Tayeh, e i figli di un altro funzionario dell’intelligence. Questa situazione è durata fino a quando Hamas non ha preso il potere nella Striscia di Gaza nel 2007.

Un piano che prevede di sradicare Hamas

Da quel momento, la situazione per le grandi famiglie è cambiata di nuovo. Una volta al potere, Hamas non poteva più tollerare che ci fosse un sistema parallelo. Quindi, la prima cosa da fare era disarmarli. E così gli ex alleati sono diventati nemici. Ci sono stati molti attacchi sanguinosi contro le roccaforti di numerosi clan, con l’uccisione di donne e bambini. Alcune famiglie, più vicine al confine, hanno preferito cercare rifugio in Israele. Tra i membri c’era anche un importante esponente di al-Fatah.

Se faccio questo excursus storico, è per dimostrare che ogni potere che arriva nella Striscia di Gaza cerca di usare questi clan a proprio vantaggio, anche a costo di sbarazzarsene quando non ne ha più bisogno. Oggi gli israeliani vorrebbero fare la stessa cosa, trasferendo il potere alle grandi famiglie. Ma è un piano che prevede di sradicare Hamas. Però, la realtà è ben diversa, e la maggior parte delle grandi famiglie lo sa.

Dal 7 ottobre, la polizia e la sicurezza interna, fortemente decimate dall’esercito israeliano, non sono più presenti nella Striscia di Gaza. Alcuni clan ne hanno approfittato per darsi ai saccheggi. Ce ne sono stati nel nord, nelle case bombardate e abbandonate dai loro proprietari, fuggiti al sud. A volte sono stati saccheggiati anche i convogli di aiuti umanitari per rivenderli sul mercato.

Ma Hamas ha fatto capire chiaramente che bisognava ancora fare i conti con loro. Ha poi minacciato i mukhtar, giustiziandone alcuni, perché avevano superato il limite, tirando fuori i kalashnikov per saccheggiare i convogli umanitari. Hamas tollera le armi bianche, perfino le pistole, ma non i fucili mitragliatori; i kalashnikov sono armi da guerra e Hamas non può accettare che esista una forza armata parallela.

“Sarete voi a proteggere i convogli, ma sotto il nostro controllo”

Così, quando sono spuntati fuori i “kalash”, anche i miliziani di Hamas sono usciti dai loro nascondigli sotterranei. Risultato: non ci sono più saccheggi. Hamas ha poi scelto ancora una volta una soluzione politica: cooptare le grandi famiglie dicendo in sostanza: non possiamo più essere lì in uniforme per proteggere i convogli umanitari, perché saremmo subito preso di mira dagli israeliani. Sarete voi a proteggere gli aiuti, ma sotto il nostro controllo. È così che, per due giorni di fila, due convogli umanitari provenienti da Rafah, carichi soprattutto di farina, sono arrivati senza intoppi a Jabaliya, nel nord della Striscia, protetti dai giovani dei clan, sotto la supervisione di molti militanti di Hamas in abiti civili. In realtà, molti di questi giovani sono vicini ad Hamas. Tutti erano armati di bastoni, non di kalashnikov, lungo la Salaheddine, la strada principale della Striscia di Gaza. Prima, era stata Hamas a diffondere un comunicato in cui chiedeva alla popolazione di non avvicinarsi e che erano lì per controllare che gli aiuti fossero distribuiti in maniera equa.

La cosa ha funzionato perché Hamas aveva messo in atto un coordinamento con le grandi famiglie, soprattutto per la distribuzione del cibo. Quando sono venuti a saperlo gli israeliani, sono andati su tutte le furie e, come ho raccontato nel mio ultimo diario, hanno poi ucciso i tre dirigenti di Hamas che erano incaricati di gestire gli aiuti umanitari. In ogni caso, il loro piano di trovare dei collaboratori tra le grandi famiglie è fallito, ben consapevoli che Hamas è ancora lì, come dimostrano le trattative in corso con una loro delegazione al Cairo o in Qatar.

1Mukhtar significa letteralmente “scelto” in arabo ed è il termine usato per indicare il capo di un villaggio. Il nome deriva dal fatto che i mukhtār erano i prescelti dagli abitanti del villaggio o della comunità. [NdT].