Diario da Gaza 68

“Quando stai per annegare, ti aggrappi a un ramo”

Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI. Giornalista fondatore di GazaPress, un’agenzia di stampa che forniva aiuto e traduzioni ai giornalisti occidentali, Rami ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza con la moglie e il figlio Walid di due anni e mezzo. Rifugiatisi a Rafah, Rami e la sua famiglia sono stati costretti a un nuovo esilio interno, bloccati come tante famiglie in questa enclave miserabile e sovraffollata. Il 12 ottobre 2024, Rami ha ricevuto, per il suo Diario da Gaza, tre riconoscimenti al premio Bayeux per i corrispondenti di guerra. Questo spazio gli è dedicato dal 28 febbraio 2024.

L'immagine mostra una scena cupa e difficile, probabilmente in un contesto di conflitto o crisi. Si vede un gruppo di persone che si trovano in un'area devastata, ricevendo assistenza o cercando di mettersi in salvo. Parte della scena è incorniciata da un oggetto danneggiato, che contribuisce a esprimere la tensione e la difficoltà della situazione. Le persone nel gruppo appaiono preoccupate e potrebbero essere in attesa di aiuto o di informazioni.
Nuseirat, 26 dicembre 2024. Dei bambini controllano il luogo di un attacco israeliano sul camion del servizio giornalistico del canale tv locale palestinese Al-Quds Today. Cinque dei suoi giornalisti sono stati uccisi.
Eyad BABA / AFP

Sabato 28 dicembre 2024.

Ultimamente, l’umore generale è improntato all’ottimismo. Tutti sono convinti che sia vicino un accordo di cessate il fuoco. Dal mio punto di vista, li capisco perché il loro più grande desiderio è che la guerra finisca. La loro convinzione si basa sulle parole di Trump che ha minacciato un inferno se non si metterà fine alla guerra. Dichiarazioni intese come un messaggio ai palestinesi, e soprattutto ad Hamas, ma anche a Netanyahu. Anche i trafficanti sembrano prevedere una fine dell’aggressione israeliana a Gaza: stanno iniziando infatti ad abbassare i prezzi con l’intento di smaltire le scorte per fare posto alle merci che entreranno in grandi quantità dopo il cessate il fuoco. Anche il prezzo delle sigarette, importate di contrabbando, è stato ribassato. Il prezzo delle sigarette è ormai la bussola dei mercati di Gaza.

Un ottimismo alimentato dalla fuga di notizie nei media, che parlano di un riavvicinamento tra la posizione israeliana e quella di Hamas, di concessioni da ambo le parti. Sono contento di sentire che, per la prima volta, dopo quattordici mesi la popolazione ha uno stato d’animo positivo, indipendentemente dalla difficoltà dei negoziati. Da noi si dice: quando stai per annegare, ti aggrappi a un ramo.

“Serviamo da cavie per testare nuove armi”

Da parte mia, invece, sto pensando piuttosto al dopoguerra, alle conseguenze di un eventuale cessate il fuoco. Quando finirà l’aggressione israeliana, tutto mondo avrà allora davvero coscienza dell’entità dei massacri e delle distruzioni compiute dall’esercito occupante. Noi giornalisti di Gaza raccontiamo giorno per giorno le sofferenze della popolazione di Gaza, dei civili, della gente comune che ha visto i propri figli dilaniati dalle bombe, i genitori sepolti sotto le macerie delle loro case, la perdita di tutti i loro averi. In Occidente, molti sono scesi in piazza per manifestare di fronte alle immagini che arrivavano da Gaza. Ma le loro proteste sono state ignorate dalla maggior parte dei governi o dei sostenitori di Israele, che continuano a ripetere lo stesso slogan: “Israele ha il diritto di difendersi”.

Alla fine di questa guerra, quando i giornalisti stranieri entreranno nella Striscia di Gaza, vedranno con i loro occhi quanto è accaduto. Anche le immagini terribili che riporteranno da Gaza non restituiranno un’idea della catastrofe che stiamo vivendo, di quello che abbiamo vissuto, dell’entità dei massacri, né delle varie tecniche di morte impiegate contro di noi da Israele. Dopo la guerra, si vedrà come gli israeliani hanno testato tutto l’arsenale possibile contro di noi. Verranno scoperte nuove armi di cui non si era mai sentito parlare prima. L’esercito israeliano ha testato il suo sistema di intelligenza artificiale. Un sistema che sceglie da solo i bersagli. Di conseguenza, non c’è più alcun senso di umanità. Sono solo i robot a decidere dove e chi bisogna colpire. Anche chi schiaccia il pulsante è ormai un robot. Noi serviamo da cavie per queste nuove armi che verranno presentate alle fiere delle armi come “testate sul campo”.

Quello che stiamo documentando – i quadrirotori, i piccoli droni killer, le bombe da centinaia di tonnellate – e descrivendo negli ultimi quattordici mesi, voi lo riscoprirete per la prima volta.

Credo che chi difende Israele, chi guarda dall’altra parte, chi rifiuta l’uso di termini come genocidio e pulizia etnica, chi parla di cose che non conosce, stia perdendo ogni senso di umanità. Chi lo fa se ne pentirà, o almeno lo spero, quando si renderà conto di ciò che stiamo subendo. Spero che capisca che Israele ha cambiato la realtà dei fatti, anche nel nostro paese, nel nostro popolo. Purtroppo, quando avviene un massacro in una scuola, anche i palestinesi accampano pretesti per l’attentato: “C’era un uomo di Hamas nella scuola?”. Quando un’intera famiglia rimane schiacciata sotto le macerie della propria casa, ci sono abitanti di Gaza che dicono: “Ci doveva essere uno di Hamas in quella casa. Per quale motivo è andato a trovare la sua famiglia?”. E quando la gente dice “uno di Hamas”, intende sia un membro dell’ala militare che di quella politica, o anche un semplice sostenitore del movimento. Gli israeliani seguono l’uomo preso di mira con droni, cellulari e ogni mezzo a disposizione di una tecnologia superpotente. Potrebbero colpirlo quando è solo, ma aspettano il momento in cui arriva dalla sua famiglia, in una scuola, in un ospedale o in un campo profughi. È una punizione collettiva, giustificata anche dall’ex ministro della Difesa Yoav Gallant – ora incriminato per crimini contro l’umanità dalla Corte penale internazionale – quando ci ha definiti “animali umani”.

Immaginiamo uno scenario simile in Ucraina e la reazione internazionale se Putin o il suo ministro della Difesa avessero dichiarato di voler uccidere tutti i combattenti ucraini insieme alle loro famiglie. Avrebbero parlato di terrorismo di Stato. Ma quando si tratta di Israele, nessuno si oppone. È questo che è grave. Né noi, i giornalisti palestinesi, né i palestinesi in generale, siamo riusciti a far capire al mondo intero che la resistenza, di Hamas o di chiunque altro, non è terrorismo.

Avevo già notato questo rovesciamento della realtà durante la guerra del 2014, quando accompagnavo i giornalisti stranieri sul campo. All’inizio, erano scioccati nel vedere un’intera famiglia uccisa da un bombardamento. Poi, però, la macchina mediatica israeliana si è rapidamente messa in moto. E ben presto, la prima domanda che i giornalisti stranieri mi facevano era: “C’era un membro di Hamas nella casa?”. Se si trovava davvero lì, per loro l’attentato era giustificato. Non era poi una cosa così grave.

Saranno gli stessi israeliani a rivelare gli orrori

Ma ci sono cose peggiori. Vedrete le esecuzioni sommarie, i morti per fame, gli stupri. Nella nostra società, non se ne parla perché è qualcosa di ignobile, ma sono stati commessi dall’“esercito più morale del mondo” che è, in realtà, il più immorale del mondo, il più pericoloso, il più violento, il più spietato, il più disumano del mondo. Un esercito che si sente autorizzato al massacro per una fatwa di Netanyahu, che ci ha definito “Amalek”, cioè Amaleciti, un’antica tribù nemica degli Ebrei che la Bibbia condanna allo sterminio.

E vedrete che questi orrori saranno rivelati dagli stessi israeliani. Oggi sentono l’adrenalina della guerra, subiscono le dinamiche del branco che li fa agire incoscientemente. Certo, ci sono molti di loro che non hanno alcuna pietà, ma sono sicuro che altri hanno ancora un senso di umanità. È già successo dopo la guerra del 2014, quando l’Ong israeliana Breaking the Silence pubblicò le testimonianze dei soldati che descrivevano le atrocità che avevano visto o commesso loro stessi. Allora tutto il mondo vedrà la stessa cosa, ma in maniera molto amplificata. La guerra del 2014 è stata più o meno il 10% di quello che stiamo vivendo oggi. Ci sono alcuni soldati che hanno cominciato a parlare, mentre altri si rifiutano di tornare a Gaza per paura, ma anche perché sono rimasti umani. Molti di loro avranno difficoltà a convivere con il peso di quelle atrocità. Ci saranno senza dubbio dei suicidi, come spesso succede in tali circostanze. I soldati sanno cosa sta facendo il loro esercito, agli ordini di un governo di estrema destra: una pulizia etnica nel vero senso della parola, un genocidio. O, come ho già detto, un “Gazacidio”, una parola che ho inventato per cercare di rendere l’aspetto inaudito senza precedenti dei massacri e delle distruzioni che stiamo vivendo: un genocidio “speciale Gaza”, riservato ai palestinesi di Gaza. Chi sostiene l’aggressione israeliana forse proverà vergogna quando ascolterà i racconti dei peggiori atti commessi dal loro esercito, o quando capirà che Netanyahu ha sacrificato i prigionieri israeliani perché non aveva alcuna intenzione di liberarli.

Spero che tutti coloro che difendono per partito preso Israele ritrovino la loro umanità, superando la fase di rifiuto della realtà. Non sto chiedendo loro di “condannare”, sarebbero solo parole, ora servono fatti concreti: bisogna fermare la guerra, giudicare i capi militari e i politici che hanno ordinato loro di distruggere tutto, uccidendo il più possibile, per costringere tutti gli abitanti a lasciare in massa la Striscia di Gaza, in modo da presentarlo come un “esodo volontario”. Ti uccidono, ti costringono a spostarti di continuo, hanno reso la tua vita un inferno, e poi ti dicono “se vuoi andartene, puoi farlo. È una tua scelta”. Negando ancora una volta la realtà, gli israeliani vorrebbero in questo modo evitare al mondo la vergogna di aver visto un genocidio in diretta, 24 ore su 24, 7 giorni su 7, senza battere ciglio. Da qualsiasi parte la si guardi, l’unica soluzione possibile rimane sempre la stessa: uno Stato palestinese che viva in pace con Israele.