
Due giorni fa, come al solito, ero seduto sotto casa mia con degli amici, per parlare di varie questioni. Prima della guerra, discutevamo davanti a un tè o un caffè. In genere, un venditore ambulante portava delle bevande calde o, se non c’erano, le preparava mia moglie Sabah, servite con zucchero e biscotti, poi io salivo i nove piani in ascensore per andare a prenderle. Oggi non c’è più nessun venditore ambulante, non si trova né caffè, né zucchero. Ce n’è un po’ a casa mia, ma non posso salire nove rampe di scale per bere qualche bicchiere di tè.
E così la nostra conversazione quotidiana si è svolta senza nulla da mangiare o da bere. La prima cosa di cui abbiamo parlato è stata la responsabilità dei padri di fronte a questo genocidio. Uno dei presenti, Souhail, che chiamiamo “Souhail il saggio”, considerato un uomo molto riflessivo, ci ha raccontato di un suo amico che è caduto in depressione, perché non riesce più a reggere lo sguardo della moglie e dei figli quando gli chiedono da mangiare e da bere. Con l’aumento dei prezzi, non si trova più nulla e così è arrivata la carestia. Il suo amico si sente impotente, incapace di assumersi le sue responsabilità di padre di famiglia. È in preda all’angoscia e la sua depressione si manifesta in una sorta di indifferenza verso la moglie e i figli. Nel senso che esce tutto il giorno e torna solo la sera, per non sentire le stesse domande: “Perché non porti niente da mangiare o da bere? Non hai più soldi?”.
“Anch’io provo la stessa angoscia”
Questo mi ha fatto pensare al caso di tanti altri uomini, che mi sono tornati in mente, nello stesso stato di depressione. C’è un mio amico, ad esempio, che mi chiama tutti i giorni. E ogni giorno, mi fa sempre la stessa domanda: “Allora Rami, come vedi la situazione?”. Vive in uno stato di perenne angoscia, schiacciato dalle sue responsabilità verso la famiglia. Anch’io provo la stessa angoscia quando Walid mi chiede qualcosa da mangiare o da bere che non posso dargli. La sensazione peggiore è quella di non poter dare a un bambino di tre anni le cose più essenziali. L’ultima volta voleva del pollo, dopo mi ha chiesto delle banane, poi delle mele. Ogni volta, rispondo che non se trovano più al mercato. E allora lui mi mostra il cellulare, dicendomi: “Ma sì, guarda, ce ne sono!”. Vede immagini di cibo su YouTube. Non riesco a spiegargli il motivo per cui la frutta è diventata un lusso, che non riusciamo a trovarla, perché siamo sotto assedio.
Ma almeno mio figlio non ha fame. A fine giornata, è abbastanza sazio. Sabah può ancora fare il pane con il forno di argilla sul pianerottolo. Ma la fuliggine le fa la faccia tutta nera. Non posso più mentirle come facevo prima, quando vivevamo in tenda, quando le dicevo che sembrava abbronzata, che aveva le guance rosse e che le donavano. Perché, adesso, abbiamo uno specchio, e dopo aver cucinato vede il suo viso annerito dal fumo del forno a legna. E così mi ha detto: “Allora mi mentivi, ero tutta nera come ora e non lo sapevo!” ….
“Come può entrare della droga a Gaza?”
Cerco di cavarmela dicendo che la legna che usavano lì non faceva fumo come qui, ma vedo che non mi crede. Beh, ad ogni modo, ho la fortuna di poter dare alla mia famiglia quel minimo che per altri è impossibile avere. Ho capito perché, quando è stato emesso l’ultimo ordine di evacuazione, i padri hanno deciso di rimanere nelle loro tende, lasciando che le mogli e i figli si rifugiassero altrove. Faceva finta di dover rimanere per “proteggere i loro averi”, mentre in realtà cercavano di sfuggire alle loro responsabilità, non potendo più dare cibo o acqua ai loro figli, una cosa che li ha distrutti dentro. Mi pare di capire che era già successo negli esodi precedenti, quando ci hanno mandati via da Gaza City, poi da Rafah. Molti uomini hanno deciso di restare, con la scusa di sorvegliare le loro case, ma, in realtà, non volevano leggere la loro umiliazione negli occhi delle mogli e dei figli.
Secondo “Souhail il saggio”, molti uomini hanno scelto un altro modo per non vedere più la realtà: assumere delle droghe. Come può entrare della droga a Gaza, quando c’è un blocco inaccessibile? Si parla di consegne con droni, che arrivano da Israele, di farmaci che creano dipendenza. Non so cosa siano, non sono un esperto. È una cosa organizzata dall’occupante in modo molto preciso. Gli israeliani hanno un solo obiettivo: distruggere il nostro tessuto sociale. Ci sono dei genitori ormai costretti a rubare per sfamare i propri figli. Altri che hanno cominciato a chiedere l’elemosina. Sì, a rubare e a mendicare.
Le persone si erano già strette intorno al loro nucleo familiare, contrariamente alle nostre tradizioni che incoraggiano la famiglia allargata. Ma ora, si sta disgregando anche il nucleo familiare, perché il capofamiglia non può più provvedere ai bisogni della sua famiglia. Gli uomini non escono più di casa. Si chiudono nelle loro tende, senza vedere più nessuno. Sono le mogli e i figli che vanno a lavorare, mentre loro non possono più fare nulla. Capisco molto bene questa sensazione, la provo quando non posso dare a mio figlio quello che mi chiede. Ma Walid vive in un appartamento, dorme su un letto, è al sicuro e non soffre la fame. Mentre la maggior parte delle persone dipende totalmente dagli aiuti umanitari, che sono fermi da due mesi. Non possono far altro che mandare i loro figli a fare la fila davanti alle tekiya, mense di beneficenza, perché sono le uniche che possono ancora offrire del cibo.
“Le bande armate hanno saccheggiato i depositi”
Le tekiya sono continuo bersaglio dei bombardamenti israeliani. Molte sono già state distrutte, uccidendo anche i volontari e i beneficiari. I padri sanno benissimo che i loro figli rischiano la vita quando vanno a fare la fila. Ma c’è una sola possibilità: rischiare la vita o morire di fame. La carestia sta portando a una violenza diffusa. Ultimamente, alcune bande armate hanno saccheggiato dei depositi alimentari di Gaza City e Deir al-Balah. Si è saputo che erano protette dagli israeliani, come avevano già fatto a Rafah quando il famigerato Abu Shabab aveva saccheggiato gli aiuti umanitari, sotto la protezione dei droni israeliani.
Oggi, accade la stessa cosa nel centro di Gaza City. L’ultimo assalto è avvenuto al deposito di un supermercato. Il deposito era protetto dai poliziotti di Hamas in borghese. Gli aggressori hanno sparato, la polizia ha risposto al fuoco, fermando i gangster. Ma, proprio in quel momento, è apparso un drone israeliano che ha sparato contro i poliziotti, uccidendone due. Gli assalitori hanno approfittato della situazione per attaccare il deposito e saccheggiarlo completamente. L’obiettivo degli occupanti è quello di continuare a distruggere la nostra società appoggiando i clan mafiosi, che non rubano per fame. I clan hanno i kalashnikov, e un “kalash”, in questo momento, costa molto a Gaza. Appoggiando questi gangster, gli israeliani non solo ci affamano, ma stanno creando un clima di paura per spingere gli abitanti di Gaza ad andarsene.
“Stiamo perdendo il cuore della società”
Stiamo vivendo un genocidio umano, militare, e anche un genocidio a causa della fame. A tutto questo si aggiunge un genocidio sociale, che ora colpisce il cuore della società, la famiglia. È una cosa insopportabile. Non ce la facciamo più. Stiamo perdendo il cuore della nostra società, la famiglia, le responsabilità e i doveri del padre di famiglia. È questo l’obiettivo degli israeliani. Con loro, nulla avviene per caso. E tutto questo avviene sotto gli occhi di tutto il mondo. Gli israeliani hanno appena annunciato una nuova tappa: conquistare l’intera Striscia di Gaza per spingere l’intera popolazione verso Rafah, dove gli aiuti saranno distribuiti dall’esercito o dalle compagnie private americane. Per ricevere cibo per le loro famiglie per una settimana o due – saranno loro a decidere – tutti dovranno avere una security clearance, un pass che dimostra che si è “puliti”, ossia che non si hanno legami con Hamas.
Sarà una gabbia in cui noi saremo gli uccelli a cui viene dato quel tanto che basta per non morire di fame e di sete. Il piano prevede che, il giorno in cui verrà aperta la porta, gli uccelli scapperanno verso l’uscita che verrà loro indicata. Malgrado tutto, spero che resisteremo. Spero inoltre che, quando tutto questo sarà finito, riusciremo a ricucire il nostro tessuto sociale, ritrovando una società palestinese unita, solida e, come diciamo qui da noi, una società che forma una sola mano.