Diario da Gaza 62

“Spero ancora che riusciremo a ricucire il nostro tessuto sociale”

Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI. Giornalista fondatore di GazaPress, un’agenzia di stampa che forniva aiuto e traduzioni ai giornalisti occidentali, Rami ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza con la moglie e il figlio Walid di due anni e mezzo. Rifugiatisi a Rafah, Rami e la sua famiglia sono stati costretti a un nuovo esilio interno, bloccati come tante famiglie in questa enclave miserabile e sovraffollata. Il 12 ottobre 2024, Rami ha ricevuto, per il suo Diario da Gaza, tre riconoscimenti al premio Bayeux per i corrispondenti di guerra. Questo spazio gli è dedicato dal 28 febbraio 2024.

L'immagine mostra delle mani che stanno piegando e preparando delle banconote, probabilmente di grosso taglio. Le banconote sono adagiate su un tavolo con una superficie di tessuto verde, e accanto si vede un rotolo di nastro adesivo. I movimenti delle mani suggeriscono che si sta cercando di raggruppare o sistemare il denaro in modo ordinato.
Deir al-Balah, 11 agosto 2024. Il palestinese Yasser Abu Herbid mentre ripara banconote logore e strappate per renderle utilizzabili nella tenda laboratorio che ha allestito nella piazza del mercato. Dato che il denaro che entra a Gaza è molto limitato, la maggior parte delle banconote utilizzate sono rovinate e strappate.
Hassan Jedi / Anadolu / AFP

Giovedì 14 novembre 2024.

Nuovo capitolo delle mie “Cronache del carro bestiame”. Ecco l’ultimo argomento di cui si è parlato su questi raffazzonati mezzi di trasporto, carretti usati per il trasporto degli animali, su cui oggi è costretto ad andare in giro chi vive a Gaza.

Questa volta, la discussione è iniziata quando il “controllore”, un tizio che raccoglie i soldi dei passeggeri (uno dei nuovi lavori di Gaza), si è rifiutato di prendere una moneta da 10 shekel, la valuta israeliana in corso anche qui: “No, non accettiamo più monete da dieci”. A causa del blocco totale israeliano, girano sempre gli stessi contanti dal 7 ottobre 2023. Di conseguenza, le banconote sono ormai sbrindellate e le monete deteriorate, soprattutto quelle da dieci shekel, spesso annerite.

Sapete già che le banche qui sono chiuse e non si possono più prelevare contanti. Ma grazie a questa situazione di penuria, sono comparsi nuovi ricchi, nuovi speculatori. Purtroppo, sono palestinesi, gente che vive a Gaza e che approfitta della situazione per fare un mucchio di soldi. Ecco come funziona il sistema: quando qualcuno di Gaza riceve lo stipendio o un aiuto economico, dalla Cisgiordania o dall’estero, la somma arriva sul suo conto, di solito a Ramallah, in Cisgiordania. Ma visto che le filiali a Gaza sono chiuse e non ci sono più sportelli bancomat, il tizio non può prelevare i contanti. All’inizio della guerra, c’era ancora qualche agenzia che funzionava. Poi, però, queste agenzie hanno detto di avere solo dinari giordani; poco dopo, neanche più i dinari. La gente, stufa di dover fare la fila per ore, ha cominciato a sparare contro le vetrate di una di queste banche.

La rivendita dei contanti

Ma la storia non finisce qui perché, come sempre, ha inizio con gli israeliani. Sono loro che hanno concesso il monopolio delle importazioni solo a 11 persone, tutti commercianti di Gaza. Sono loro gli unici in tutta la Striscia di Gaza che possono far entrare le merci – quando ovviamente i valichi sono aperti. Le merci provengono dalla Cisgiordania o da Israele. Per acquistarle, gli importatori effettuano un bonifico bancario sul conto del venditore.

Grazie al monopolio di cui godono, gli importatori possono rivendere le merci nella Striscia di Gaza a costi molto elevati. L’aumento può arrivare a 20, perfino a 100 volte il prezzo anteguerra. Il piccolo rivenditore, ultimo anello della filiera, che viene pagato solo in contanti dai suoi clienti, non può depositare la somma restante sul suo conto corrente, e così è costretto a pagare l’importatore in contanti. Ma anche quest’ultimo, che vive sempre a Gaza, non può metterli in banca. L’importatore ha perciò bisogno di avere liquidità sul proprio conto per poter effettuare un nuovo bonifico al suo venditore israeliano o cisgiordano per acquistare nuova merce.

Ed ecco quello che fa: i soldi versati dal rivenditore, li rivende a chi vive di Gaza, a me, ai miei vicini. C’è un disperato bisogno di contanti per poter comprare un pezzo di pane o un po’ di scatolame. È l’unico metodo di pagamento accettato dai commercianti. E siccome non possiamo più ritirare contanti in banca, ricompriamo i nostri stessi soldi. Con una commissione del 25 o addirittura del 30%.

Tutti sanno dove trovare chi rivede i contanti. Si trovano soprattutto in un locale molto noto a Deir al-Balah, il caffè Al-Muallaqa (“Sospeso”, il nome deriva dal fatto che si trova al primo piano di una casa). Sono loro a dirti il tasso di cambio del giorno e il tasso della loro commissione, che può variare a seconda delle condizioni delle banconote. Se sono in buone condizioni, l’importo della commissione è più elevato. Per ritirare le banconote, si deve effettuare un bonifico con il cellulare (la connessione funziona a tratti) sul conto corrente dei rivenditori, che sono in contatto con gli importatori. E così quest’ultimi guadagnano un mucchio di soldi rivendendo la loro merce a prezzi proibitivi, ma ricavando in più un margine di almeno il 25%. Purtroppo, quelli che rivendono denaro sono connazionali, palestinesi, gente che vive a Gaza, che approfitta della guerra per arricchirsi.

“Le stesse banconote, le stesse monete in circolazione”

Ecco il motivo per cui la vita sta diventando veramente dura, durissima per chi vive a Gaza, soprattutto per i dipendenti. A Gaza ci sono ancora molti dipendenti dell’Autorità Palestinese che ricevono il 70% dello stipendio, anche se non lavorano più da quando Hamas ha preso il potere nel 2007. Ci sono anche dipendenti di varie Ong e delle Nazioni Unite, anche se a tutti loro lo stipendio viene pagato con bonifico bancario. È vero che qualche negozio di alimentari accetta ancora le carte di credito, ma anche loro se ne approfittano aggiungendo il 25% al prezzo da pagare in contanti. Di conseguenza, circolano sempre le stesse banconote, ormai sempre più logore, e le stesse monete, altrettanto deteriorate, al punto che i negozianti, o i proprietari dei carretti per il trasporto, non le accettano più.

Questo è quello che vogliono gli israeliani. Ai loro occhi, ogni mezzo è buono per inasprire le condizioni di vita dei palestinesi, dalle bombe al pericolo costante 24 ore su 24, dalle “israelerie” agli stermini, dai massacri alla fame. C’è sempre meno cibo – quando riusciamo a trovarne, visto che spendiamo gli ultimi risparmi o i nostri magri stipendi per ricomprare i nostri soldi – che sta visibilmente scomparendo davanti ai nostri occhi. Dopo le banconote, sempre più logore, ora è il turno delle monete, ho avuto modo di vederle sull’autocarro. A cominciare dalle monete da dieci shekel, che ormai quasi tutti rifiutano di prendere. A casa, in tenda, mi restano circa 200 shekel (50 euro) in monete da dieci, che non ormai servono più a niente.

Dopo questa guerra, non so come la gente potrà accettare l’idea che alcuni palestinesi abbiano approfittato di questa situazione per arricchirsi. Non so con occhi guarderanno chi ha fatto fortuna, chi ha guadagnato centinaia di milioni di shekel sulle spalle di una popolazione sempre più ridotta in miseria, annientata, che sopravvive grazie agli aiuti umanitari, quando arrivano. Conosco bene la strategia degli israeliani che è quella di lacerare il nostro tessuto sociale. Però spero ancora che, malgrado tutto e a guerra finita, riusciremo a ricucire il nostro tessuto sociale, tutti insieme, più uniti e forti di prima. Non voglio vedere la società palestinese lacerarsi, anche se è un grosso rischio che corriamo vista la situazione attuale. Sarà però sempre vivo quello spirito palestinese che ha voglia di ricostruire tutto daccapo, ma soprattutto di restare qui in Palestina.