Crisi umanitaria

L’obiettivo di Israele non è l’Unrwa ma il diritto al ritorno

Con le accuse di un presunto coinvolgimento di alcuni dipendenti dell’agenzia delle Nazioni Unite UNRWA di aver preso parte all’attacco sferrato da Hamas il 7 ottobre, il governo israeliano sta cercando di far passare in secondo piano la questione dei profughi palestinesi, rimettendo in discussione il diritto al ritorno. Dietro le accuse, c’è anche il tentativo di far dimenticare che la creazione di Israele è avvenuta sulla base di una pulizia etnica.

Soldati israeliani davanti a un compound evacuato dell’Unrwa a Gaza City, 8 febbraio 2024.
JACK GUEZ/AFP Traduit de l’arabe par Nada Ghosn.

Nel corso di un incontro tenutosi il 31 gennaio 2024 con una delegazione di ambasciatori delle Nazioni Unite, il premier israeliano Netanyahu ha esplicitamente ribadito la sua richiesta di porre fine al mandato di protezione dell’agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA), perché “mantiene viva la questione dei profughi palestinesi, ed è ora che le Nazioni Unite e la comunità internazionale comprendano che la missione dell’Unrwa deve finire”. Alcuni governi occidentali, con in testa gli Stati Uniti, si sono affrettati a tagliare i finanziamenti all’agenzia Onu per sostenere Netanyahu nel suo obiettivo ultimo che è quello di abolire l’Unrwa o, meglio, il principio giuridico alla base della sua esistenza.

Oltre a mettere in dubbio l’integrità dei rapporti dell’Unrwa e delle organizzazioni con cui collabora – all’indomani dell’ordinanza della Corte Internazionale dell’Aia (CIG) del 26 gennaio, in gran parte basata su quei rapporti – la dichiarazione di Netanyahu rivela il vero obiettivo strategico della violenta campagna israeliana contro l’Unrwa con le accuse a 12 suoi dipendenti di aver preso parte agli attacchi del 7 ottobre e di aver scambiato messaggi interni su Telegram che includono espressioni di gioia o sostegno dopo l’attacco. Va però ricordato che le accuse riguardano soltanto 12 dipendenti sugli oltre 13mila membri dell’organizzazione.

L’istituzionalizzazione di un diritto

Netanyahu ha ribadito però una posizione israeliana ben consolidata sulla questione dei rifugiati e del diritto al ritorno, che Israele percepisce come una minaccia sia a livello storico che geografico. Il solo fatto di evocare la questione dei profughi del 1948 rischia di minare le fondamenta su cui è stato creato lo Stato di Israele. Quanto al diritto al ritorno dei profughi, aldi là delle soluzioni proposte in passato nel contesto degli accordi di Oslo, la questione avrebbe certamente un impatto geografico e demografico tale da cambiare gli equilibri in campo.

Liquidando la questione dei profughi palestinesi, i vertici di Israele intendono perpetuare la menzogna di “una terra senza popolo per un popolo senza terra”. L’obiettivo di abolire l’Unrwa rileva il tentativo di Israele di far dimenticare al mondo intero la creazione di uno Stato, avvenuta attraverso un processo di pulizia etnica e l’esodo forzato di 750.000 palestinesi, rimuovendo la Nakba dalla coscienza israeliana.

Un buon esempio in questo senso è uno studio pubblicato nel 1994 dal Centro per gli Studi strategici dell’Università di Tel Aviv, realizzato da Shlomo Gazit, tra il 1974 e il 1978 a capo dell’intelligence militare, e all’epoca anche coordinatore delle attività governative nei territori occupati. Una ricerca che faceva parte di un dossier dedicato interamente al “problema dei profughi palestinesi”, in previsione di possibili negoziati stabiliti ad Oslo su un accordo permanente.

La questione dei profughi, una delle principali controversie per una soluzione permanente, avrebbe dovuto essere trattata nel maggio 1996 secondo il calendario della road map stabilita a Oslo, ma la linea tenuta da Israele tra continue negoziazioni e perplessità ha fatto in modo di non affrontare il nodo dei rifugiati palestinesi per più di cinque decenni, ossia dal 1948.

In vista di quelli che avrebbero potuto essere (ma non sono mai stati) i negoziati di Oslo su una soluzione permanente, Shlomo Gazit aveva avvertito il futuro negoziatore israeliano che il primo passo doveva essere quello di includere “l’abolizione dell’Unrwa”, oltre a trasferire la responsabilità dei campi profughi ai governi ospitanti. In quel momento, l’obiettivo era di abolire lo “status giuridico/ufficiale” di rifugiati, che consente ai palestinesi di ottenere il “diritto al ritorno”, in conformità con quanto stabilito dalla risoluzione 194 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite (11 dicembre 1948), che stabilisce nel suo undicesimo articolo che l’Assemblea generale

risolve che ai rifugiati che desiderino tornare alle loro case sia consentito di farlo il prima possibile perché possano vivere in pace con i loro vicini; e che un risarcimento debba essere riconosciuto per le proprietà di coloro che dovessero scegliere di non fare ritorno, per tutti i beni e le proprietà danneggiate o perdute. Le compensazioni, in virtù dei principi del diritto internazionale, devono essere riconosciute dai governi o dalle autorità competenti

Da un punto di vista puramente giuridico, la risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite è ancora valida, ma la comunità internazionale non ha mai preso alcuna decisione per revocarla o modificarla.

Per quanto nessuno dei governi arabi si sia occupato della questione o si sia impegnato per rendere operative (o perlomeno menzionare) le risoluzioni internazionali, il punto è che Netanyahu, come i suoi predecessori, non ha dimenticato che l’Unrwa, in virtù del suo statuto giuridico, è l’agenzia che riconosce ai palestinesi lo status di rifugiati attraverso la concessione dei relativi documenti, oltre a gestire i campi profughi che li accolgono, indicati come entità poste al di fuori della responsabilità dei governi ospitanti e distinti dal loro contesto socio-ambientale con tutte le conseguenze giuridiche che ciò comporta.

Una posizione storica

Proprio come il suo predecessore Naftali Bennett, che ha fatto dichiarazioni simili nel corso di un’intervista alla CNN lo scorso 2 febbraio, Netanyahu non sta facendo altro che riprendere posizioni israeliane di vecchia data. Va ricordato che una delle prime proposte americane del 1949 stabiliva che Israele avrebbe dovuto autorizzare il ritorno di un terzo del totale dei profughi palestinesi, “a condizione che il governo americano sostenesse le spese relative al reinsediamento dei rifugiati rimasti nei paesi arabi vicini”. Tuttavia, David Ben-Gurion, fondatore dello Stato di Israele e suo primo ministro, aveva subito respinto la proposta degli Stati Uniti, prima ancora che i paesi arabi interessati potessero esprimere il loro parere.

Non stupisce quindi che la posizione israeliana sia rimasta invariata dai tempi di Ben-Gurion, perché il riconoscimento da parte di Israele della questione dei rifugiati significherebbe ammettere le proprie responsabilità, oltre ad avere implicazioni dal punto di vista giuridico, vale a dire riconoscere il diritto al ritorno. E non stupisce allora la posizione del leader israeliano nei confronti dell’Unrwa, che rappresenta la personificazione giuridica del problema dei rifugiati.

Al momento della creazione dell’Unrwa, si pensava che l’agenzia sarebbe stata “temporanea” in virtù delle due risoluzioni dell’Assemblea generale che l’avevano istituita (risoluzione 212 nel novembre 1948 e risoluzione 302 nel dicembre 1949). Il suo operato, anzi la sua stessa esistenza, si sarebbe dovuta concludere con il ritorno dei profughi palestinesi alle loro case e la restituzione delle terre sequestrate dalle milizie sioniste nel 1948. Il numero delle terre sequestrate, invece, è aumentato quando lo Stato di Israele si è impadronito di un vasto territorio dopo la guerra del 1967. Poi è arrivato Netanyahu per cercare di porre fine al problema dei rifugiati, non con il loro ritorno a casa, come avrebbe potuto essere, ma eliminando l’organizzazione internazionale che “ricorda la loro esistenza”.

In conclusione, la campagna israeliana contro l’Unrwa ha vari obiettivi, tra cui due principali. Il primo, come sostiene l’autorevole storico israeliano naturalizzato britannico, Avi Shlaim, è legato alla decisione della Corte Internazionale di Giustizia (CIG). In vista delle sue prossime deliberazioni, la campagna israeliana intende distorcere l’immagine dell’Unrwa, con intimidazioni contro i vertici dell’organizzazione per costringerli a restare in silenzio sulle continue violazioni israeliane, minando inoltre la credibilità dei suoi rapporti e delle sue dichiarazioni, su cui si è basata la CIG per il suo pronunciamento iniziale. È molto probabile, come fanno di solito i sostenitori della menzogna quando esauriscono le prove, che sarà questa la carta principale giocata dalla difesa israeliana alla ripresa dell’udienza (almeno per ragioni propagandistiche). Il secondo obiettivo della campagna israeliana è strategico e ha un impatto più profondo. Si tratta di un rinnovato tentativo di cancellare totalmente la questione dei rifugiati che, dal punto di vista del diritto internazionale, è ancora attuale e non è stata ancora accantonata.

Nonostante i tentativi di Netanyahu di far dimenticare la questione dei rifugiati, con tutte le sue implicazioni giuridiche e umanitarie, la sua posizione rivela con chiarezza che, come altri difensore dell’idea e della strategia sionista, non ha dimenticato ciò che è scritto nello statuto dell’Unrwa per definire chi sia titolare dello status di “rifugiato”. Una condizione che dovrebbe cioè essere riconosciuta a tutte le persone

il cui luogo di residenza almeno 2 anni prima del conflitto del 1948 era la Palestina, e che, a causa di quel conflitto, hanno perduto dimore e mezzi di sostentamento, e hanno trovato rifugio, nel 1948, in uno dei paesi in cui l’Unwra presta assistenza

Secondo le statistiche fornite dall’Unrwa, il numero dei rifugiati supera oggi i 6 milioni. Una cifra che potrebbe costituire una minaccia demografica per il sionismo. L’idea, la strategia (e lo Stato) reggerebbero a un eventuale tentativo di portare la questione lì dove il diritto internazionale potrebbe essere effettivamente applicato?