Crisi finanziaria

L’economia libanese in un buco nero

In un contesto caratterizzato da ogni sorta di illecito e dallo spettro di un vuoto presidenziale, il crollo della lira libanese sembra ormai avviato verso un punto di non ritorno, nell’indifferenza quasi generale della “comunità internazionale”, mentre oltre metà della popolazione è sotto la soglia di povertà.

Un dollaro scambiato a 50.000 lire libanesi, valore raggiunto il 19 gennaio 2023.
Joseph Eid/AFP.

A fine gennaio, il valore della lira libanese (LL) in rapporto al dollaro è crollato quasi quaranta volte rispetto a poco più di tre anni fa, prima che la crisi investisse ogni settore del Paese. Il giovedì nero 26 gennaio, il dollaro, che è la valuta di riferimento, ha raggiunto un nuovo picco record di 64.000 lire contro il precedente di 50.000. Un crollo che precedeva di qualche giorno l’annuncio della svalutazione della lira del 95% da parte del ministro delle Finanze, Youssef Khalil, a partire dal 1 febbraio, con un cambio fisso a 15.000 lire per dollaro contro i 1500 precedenti. Una misura che non ha impedito tuttavia al dollaro di essere valutato sul mercato nero oltre quattro volte il suo valore. Alla luce di questi eventi, sono molti gli esercizi commerciali (farmacie, supermercati, stazioni di servizio) che stanno pensando di vendere i loro prodotti soltanto in dollari. Un ulteriore passo in avanti verso la sfiducia nei confronti della moneta nazionale.

Nell’autunno 2022, il tasso di cambio della lira ha raggiunto i 30.000 LL per dollaro sul mercato parallelo, senza che la Banca del Libano (Banca centrale) potesse intervenire per frenarne l’inesorabile declino. Entro la fine di gennaio, ci si aspettava una risalita della lira a 56.000 LL, con un effetto yo-yo, una consuetudine in Libano negli ultimi tempi.

La lira non è più solo l’ombra di ciò che era in passato, ma è diventata l’ombra della sua ombra. E c’è il rischio che peggiori, perché ormai è entrata in una fase di caduta libera su un mercato dominato dai giochi di borsa e dagli speculatori, alcuni legati ai partiti politici, che fanno il bello e cattivo tempo, mentre le autorità assistono quasi impotenti al default finanziario.

Il 23 gennaio 2023, il Dipartimento del Tesoro americano ha annunciato sanzioni contro un intermediario finanziario libanese, i suoi figli e la sua rete d’affari, a causa dei suoi presunti legami finanziari con il gruppo filo-iraniano Hezbollah, che è sulla lista nera degli Stati Uniti. Ma per gli alleati di Hezbollah, sono, invece, gli Stati Uniti e i loro alleati che spingono per destabilizzare il Paese attraverso simili azioni e una politica di sanzioni contro persone e istituzioni più o meno vicine al movimento sciita.

“Torno in Libano a malincuore, per far visita a qualche anziano parente, poi rientrerò in Francia (...) È una sofferenza. In altri paesi duramente colpiti dalla crisi, ci sono migliaia di persone che scendono in piazza per manifestare la propria rabbia mentre qui non succede nulla o quasi”, dopo le imponenti manifestazioni di fine 2019 con la rivolta di massa contro la corruzione della classe politica, ma alla fine tutto è stato inutile, mi spiega questo libanese disperato che si divide tra le due capitali e che vive male sia a Parigi che a Beirut.

Nella capitale libanese, l’aria è diventata letteralmente irrespirabile. “Non vediamo l’ora che arrivi il fine settimana per scappare dal nauseabondo odore d’immondizia che entra in casa appena apriamo le finestre”, dice Jean-Pierre Mégarbané che vive però in una bella zona residenziale.

“Costa Brava” in stile libanese

In un bel film a tratti claustrofobico, “Costa Brava, Lebanon”, premiato in vari festival internazionali, la giovane regista libanese Mounia Akl analizza la situazione di un Paese allo sbando. Ambientato in un futuro distopico, il lungometraggio racconta la storia di una famiglia di Beirut che sfugge all’inquinamento tossico della grande città trovando rifugio nella propria casa di montagna. Inaspettatamente, però, una discarica di rifiuti viene impiantata proprio intorno alla loro casa tra gli alberi, trasformando l’esperienza in un incubo, con la famiglia che comincia a sua volta a sgretolarsi. Proprio come il Libano e la sua moneta.

Dopo la crisi politico-economica dell’autunno 2019, per la valuta non c’è più stato un unico tasso ufficiale, ma diversi, a seconda delle circostanze e dei regolamenti, che rendono tuttora difficile raccapezzarsi tra i vari tassi di mercato.

Per un quarto di secolo, il tasso di cambio del dollaro, dal 1997 ancorato alla valuta nazionale, era fissato a 1.500 lire sotto la guida del governatore della BdL, l’inamovibile Riad Salamé, che aveva garantito al Paese una certa stabilità.

La ricetta magica del governatore della BdL, che si era fatto le ossa nella banca d’affari Merrill Lynch, era quella di compensare i deficit strutturali attirando capitali in Libano con la bassa pressione fiscale e il segreto bancario, forte della complicità di un settore bancario, oggi ipertrofico rispetto a quello dell’economia, secondo gli esperti. Riad Salamé, 72 anni, sta collezionando titoli di merito da parte di banchieri internazionali e agenzie di rating, malgrado le evidenti debolezze dell’economia libanese. È un dato di fatto però che abbia contribuito alla stabilità della lira per anni, grazie all’afflusso di denaro dall’estero. Salamé ha anche guidato la ricostruzione del centro della capitale Beirut, devastata da 15 anni di guerra, con il supporto del suo mentore, l’ex primo ministro e uomo d’affari libanese Rafik Hariri, assassinato negli ultimi giorni del dominio siriano sul Libano.

Oggi il governatore è finito nel mirino della giustizia internazionale (ci sono anche cinque paesi europei) con accuse di appropriazione indebita e riciclaggio di denaro, ma è ancora al suo posto, a quanto pare inamovibile, grazie soprattutto alla protezione del segreto bancario nonostante sia sospettato con o tramite suo fratello di avere conti bancari e proprietà del valore di diverse centinaia di milioni di dollari. La sua risposta alle critiche è di essere diventato il capro espiatorio di una classe politica e finanziaria che ha portato il paese alla bancarotta. Secondo altri, invece, Salamé sarebbe una sorta di Bernard Maddof1 libanese che ha saccheggiato i conti dei risparmiatori, con la creazione di un sistema piramidale conosciuto come “schema Ponzi”2, giocando sui tassi di interesse.

Un aereo senza pilota

Allora come e perché è avvenuto questo nuovo tracollo? “Il governo non ha mostrato ancora alcun segnale di voler prendere il comando di un aereo che sta andando a schiantarsi”, e intanto oltre metà della popolazione è sotto la soglia di povertà, come sostiene l’economista libanese Sybille Rizk. Un’analisi in linea con quella della Banca Mondiale per la quale la crisi economica e finanziaria che il Libano sta vivendo potrebbe essere annoverata “tra le dieci, se non addirittura una delle tre crisi economiche peggiori dal 1850”.

“La recente svalutazione della lira si deve alla mancanza di fiducia alla luce dell’attuale vuoto presidenziale e all’assenza di un governo autorevole, oltre al fatto che le riforme sono a un punto morto, cosa che mette a repentaglio una potenziale intesa con il Fondo monetario internazionale” che si è arenata, come dichiarato dal capo del dipartimento di ricerca di Bank Audi, Marwan Barakat, al quotidiano L’Orient-Le Jour. Nell’aprile 2022, il FMI si è impegnato, come primo passo verso una rinnovata fiducia, a sbloccare un prestito di 3 miliardi di dollari (2,77 miliardi di euro) in quattro anni in cambio di un programma di riforme, rimasto però lettera morta, quasi fosse l’inazione la soluzione migliore agli occhi di una classe politica paralizzata.

C’è poi un altro aspetto: il vuoto presidenziale dopo la fine del mandato dell’ex presidente Michel Aoun a ottobre 2022, e l’assenza di un governo affidabile, con un nuovo parlamento dallo scorso maggio, ma senza maggioranza e diviso in fazioni politiche e confessionali per eleggere un nuovo presidente.

Una riforma, o meglio una serie di riforme molto complesse, che mirano soprattutto a controllare i flussi monetari in lire libanesi, e di conseguenza un’inflazione galoppante a tre cifre. Per quanto riguarda le importazioni, una delle misure richiede il pagamento in contanti di almeno il 50% dei diritti doganali alla direzione incaricata, e il restante da pagare tramite bonifico o assegno. Lo scopo è quello di decuplicare gli importi dei dazi doganali per compensare in parte gli effetti della svalutazione della lira.

Una gran seccatura, a giudizio del presidente dell’unione degli importatori alimentari, Hani Bohsali (citato da L’Orient-Le Jour) perché “ora gli importatori dovranno recuperare quantità astronomiche di denaro per poter sdoganare le loro merci”.

Non va meglio però ai risparmiatori libanesi, che hanno i conti bancari praticamente bloccati dopo la crisi, eccetto per qualche prelievo una tantum.

In questo contesto così cupo, alcuni – ma sono molto rari – continuano a sperare in una possibile via d’uscita dalla crisi. Per questo, si è tenuto a febbraio un incontro a Parigi tra i rappresentanti di Francia, Stati Uniti, Arabia Saudita e Qatar. È probabile che non sarà né il primo né l’ultimo incontro di paesi “amici”, preoccupati per il destino del Libano ormai caduto nel vortice internazionale e regionale. Per il popolo libanese, invece, la misura è colma da tempo.

1Bernard Lawrence Madoff (1938-2021) è stato un banchiere e truffatore statunitense, condannato per una delle più grandi frodi finanziarie di tutti i tempi. NdT

2Lo schema Ponzi è un modello economico mediante il quale è possibile ottenere un’ingente quantità di denaro, il quale in genere si connota per profili di illegalità. Questo presuppone che le prime persone coinvolte possano ottenere dei ritorni economici in breve tempo, laddove favoriscano l’accesso allo schema a nuovi clienti. I primi guadagni, invero, consistono nei guadagni che derivano dalle quote versate dai nuovi investitori, con la conseguenza che solo i primi coinvolti. È tendenzialmente uno schema di una truffa, elaborata da Charles Ponzi, un immigrato italiano negli Stati Uniti che riuscì ad architettare un’imponente truffa ai danni di tutta la nazione. Agli inizi del XX secolo, Ponzi riuscì a truffare circa 45 mila persone e a raccogliere più di 15 milioni di dollari, con un investimento iniziale di soli 2 dollari. NdT