Reportage

Marocco. A Nador, i morti sono africani, i fondi europei

Il 24 giugno 2022, sono morti almeno 23 migranti al confine tra Marocco e Spagna, e si contano più di cento feriti sulle due sponde della frontiera. L’Onu e l’Unione Africana hanno chiesto un’indagine indipendente. Viene puntato ancora una volta il dito contro la cooperazione in materia di migranti tra Marocco e Spagna. Reportage da Nador.

Melilla, 25 giugno 2022. Un migrante ferito dietro la recinzione di un centro di accoglienza temporaneo per rifugiati e richiedenti asilo.
Fadel Senna/AFP

Sono le due del pomeriggio a Nador, è sabato 25 giugno 2022, il giorno dopo i tragici incidenti avvenuti al confine tra il Marocco e Melilla, territorio sotto sovranità spagnola. Regna un silenzio assoluto in questa città autonoma nel cuore della regione del Rif. Tra le autorità locali, regna l’omertà. Le porte sono chiuse. Qui ci dicono “tornate lunedì”. Non filtra alcuna informazione sul numero esatto di morti, dei feriti e degli espulsi in altre città marocchine. C’è solo un uomo che si sta impegnando per far sapere a tutti ciò che succede: si chiama Omar Naji.

L’odore della morte

Esponente dell’Associazione marocchina per i diritti umani (AMDH), sezione di Nador, Omar ha allertato l’opinione pubblica e le autorità su questa tragedia annunciata da un decennio. “I responsabili di questa tragedia sono le politiche europee di esternalizzazione delle frontiere, con il Marocco che agisce in veste di carnefice e le organizzazioni internazionali scarsamente impegnate nella protezione di migranti e rifugiati”, accusa, senza mezzi termini. In attesa che venga aperta un’indagine giudiziaria, Omar Naji sta cercando sin dalle prime ore della tragedia di raccogliere qualche prova schiacciante.

Incontriamo Omar all’uscita dell’obitorio di Nador dove si trovano i corpi dei migranti morti al confine. L’attivista ha appena sentito l’odore della morte. “Le scene che ho appena visto sono insostenibili. I corpi sono gettati sul pavimento da ventiquattro ore. Sono immersi nel sangue. L’obitorio è pieno”, racconta, ancora in preda all’emozione.

Secondo passo alla ricerca di indizi per ricomporre il puzzle della tragedia del 24 giugno. In questura, la polizia ha impiegato tutta la notte per redigere i verbali dei sessantotto migranti che lunedì 27 giugno dovevano essere deferiti alla procura. La polizia ha raccolto i bastoni e i pochi oggetti appuntiti che i migranti hanno utilizzato durante il tentativo di superare le barriere. Per la polizia giudiziaria, sono queste le “prove” che hanno consentito al pubblico ministero di chiedere un’azione legale nei confronti dei migranti, al momento in custodia cautelare.

Terzo passo della contro-inchiesta di Omar Naji è la raccolta delle testimonianze dei migranti. Ci rechiamo sul monte Gurugù, dove ci sono gli accampamenti di fortuna dei migranti. Quando l’auto dell’attivista parte, veniamo pedinati in macchina dai membri dei servizi di sicurezza. Sulla strada della tangenziale del Mediterraneo, passiamo davanti al muro di Nador-Melilla. Un sistema composto da tre recinzioni alte sei metri e lunghe dodici chilometri. Delle lame taglienti, causa da anni di gravi ferite tra i migranti, sono state sostituite da barriere anti-intrusione e da un’alta tecnologia di sorveglianza, il tutto finanziato dall’Unione Europea (UE). “Il Marocco sta scavando un secondo fossato per rendere più difficile il passaggio dei migranti. Il paese sta facendo la sua parte da poliziotto, soprattutto dopo la ripresa della cooperazione su sicurezza e migrazione con la Spagna nel marzo 2022”, afferma Naji. Una settimana prima degli incidenti, i ministeri dell’Interno dei due paesi si erano impegnati a “continuare la loro cooperazione in materia di sicurezza”. Riunito a Rabat il 6 maggio scorso, il Gruppo migratorio misto permanente marocchino-spagnolo, aveva definito l’agenda di sicurezza per la cooperazione tra i due paesi.

Caccia ai migranti o lotta contro le “reti”?

Nel Barrio Chino, punto transfrontaliero dove si è svolta parte dei fatti, ci sono ancora i vestiti dei migranti appesi alle recinzioni. Idranti e squadre di pronto intervento sono disposte qui per fronteggiare nuovi attacchi. Continuiamo il nostro percorso alla ricerca di centri per migranti. Tutto l’anno, le forze dell’ordine marocchine effettuano operazioni per tenere alla larga i migranti dietro la logica dello “smantellare le reti del traffico di esseri umani”. Per Ali Zubeidi, ricercatore specializzato in migrazioni, “ci sono reti di trafficanti presenti in altri luoghi del Marocco, ma non nella zona di Melilla”, osserva. La “Boza” di Melilla è gratuita, si tratta della strada che devono percorrere i migranti che non hanno mezzi. Nei fatti, i rastrellamenti mirano a disperdere i migranti il più lontano possibile dal confine con Melilla.

In un comunicato, 102 organizzazioni africane ed europee hanno denunciato le sistematiche violazioni dei diritti umani a Nador: “Per più di un anno e mezzo, i migranti sono stati privati dell’accesso ai medicinali e all’assistenza sanitaria, mentre assistevano all’incendio dei loro accampamenti e alla confisca dei loro beni”.

Nel 2021, l’AMDH di Nador aveva individuato trentasette operazioni di rastrellamento. Un dato in forte calo dovuto al Covid-19 e al lockdown. Nel 2019, i rastrellamenti hanno raggiunto la cifra record di centotrentaquattro. “Questa strada è stata costruita appositamente per consentire ai veicoli delle forze dell’ordine di accedere alla foresta”, ricorda Naji, mentre il suo telefono continua a ricevere chiamate da giornalisti da un po’ tutto il mondo. Nel cuore della foresta, passiamo davanti a uno stanziamento di Forze ausiliari, una forza di sicurezza gestita direttamente dal Ministero degli interni. L’insediamento, con i suoi edifici in muratura e parecchie tende, è stato costruito espressamente per consentire interventi rapidi negli accampamenti.

Dopo un’ora di viaggio, Naji giunge alla seguente conclusione: “Le operazioni delle forze di sicurezza hanno spinto i migranti a fuggire dalla foresta e dall’intera città di Nador”. Quando lasciamo la foresta, lungo il nostro cammino, incontriamo degli alti responsabili della sicurezza della regione, giunti fin qui con due veicoli militari Humvee per ispezionare la zona. Gli unici migranti presenti in questa città sono morti, in ospedale o in carcere. I migranti sono stati dispersi verso diverse città del Marocco centrale (Béni Mellal e Kelâat Es-Sraghna). Una situazione drammatica, con grande risonanza internazionale, che è la conseguenza della cooperazione in materia di sicurezza tra Marocco e Spagna, con i finanziamenti europei.

L’UE, cinico finanziatore

Dal 2007, l’UE ha versato al Marocco 270 milioni di euro per finanziare le varie componenti in materia di sicurezza della politica migratoria marocchina. Un finanziamento effettuato senza intermediari o tramite organismi europei e spagnoli (Fondazione internazionale e ibero-americana per l’amministrazione e le politiche pubbliche, International Center for Migration Policy Development, ecc.). Importi che il Marocco ritiene “insufficienti visti gli sforzi profusi dal paese per la gestione delle frontiere”.

Dal 2013, questa cooperazione rientra nell’ambito del partenariato per la mobilità. I finanziamenti europei in materia d’immigrazione passano anche attraverso il Fondo fiduciario di emergenza dell’Unione europea per l’Africa o, in molti casi, attraverso agenzie spagnole responsabili dell’acquisto di apparecchiature di sicurezza per il regno (droni, radar, quad, autobus, veicoli fuoristrada, ecc.). La Commissione Europea (CE) ha presentato il finanziamento con un linguaggio ben noto: “sviluppare il sistema di gestione delle frontiere marocchine e combattere in maniera più efficace contro la tratta di esseri umani”. L’UE sostiene inoltre la Strategia nazionale per l’immigrazione e l’asilo adottata dal Marocco nel 2014. Per ora questa politica è in stand-by, visto il grande ritorno di una linea improntata sulla sicurezza.

Nei negoziati con la CE, il Marocco può contare su un ottimo alleato, la Spagna. Dal canto suo, il regno rivendica “una ripresa della pressione migratoria sul Marocco”, come ama ricordare Khalid Zerouali, direttore dell’immigrazione e della sorveglianza delle frontiere del Ministero dell’Interno marocchino, nelle sue esternazioni all’indirizzo dei partner europei. Il Marocco si pone come un partner affidabile dell’UE e invita la controparte europea a una “responsabilità condivisa”. Dal 2019, le rotte migratorie marocchine sono diventate la prima porta d’accesso all’Europa. Il Ministero dell’Interno mostra i dati relativi al 2021: 63.121 migranti arrestati, 256 reti criminali smantellate e 14.000 migranti soccorsi in mare, per lo più marocchini.

Ricatti e pressioni

In questo contesto, il ricatto viene esercitato da entrambe le parti. L’UE vuole indurre il Marocco a ospitare centri situati nelle zone di sbarco dei migranti (hotspot) e a firmare con il regno un accordo globale di riammissione Marocco-UE. Due questioni su cui Rabat continua a ostentare il suo netto rifiuto alle richieste. Su un piano bilaterale, la Francia usa l’arma dei visti per spingere il Marocco a far rimpatriare i suoi immigrati irregolari. Dal canto suo, il Marocco ha trasformato la gestione dell’immigrazione irregolare in una carta diplomatica, come hanno dimostrato i fatti di Ceuta nel maggio 2021.

I migranti diventano così una merce di scambio per ottenere vantaggi sulla questione del Sahara. Un tema delicato che, per più di un anno, è stato al centro del gelo diplomatico tra Marocco e Spagna. Nel marzo 2022, c’è stata la ripresa delle relazioni bilaterali che ha ripristinato la cooperazione in materia di sicurezza tra i due paesi confinanti. Per le 102 organizzazioni dei due continenti, la ripresa alla cooperazione è all’origine della tragedia di Nador. “La morte di questi giovani africani alle frontiere mette in guardia contro gli aspetti letali della cooperazione in materia di sicurezza sull’immigrazione tra Marocco e Spagna”, si legge nel documento.

Mehdi Alioua, sociologo e professore all’Università Internazionale di Rabat, accusa in primis l’UE e la sua politica migratoria: “Queste frontiere sono quelle della vergogna perché sono totalmente assurde e ipocrite. Sono frontiere incoerenti, messe lì per mettere in scena la “frontierizzazione”. […] C’è una responsabilità diretta dell’Europa. Mentre, da questo punto di vista, la responsabilità del Marocco è indiretta”, ha affermato in un’intervista a Medias241.

Migranti criminalizzati e corpi all’obitorio

Nador, con i suoi due confini marittimi e terrestri con l’Europa, è rinchiusa all’interno di queste frontiere. Sono i migranti a pagare il prezzo più alto. L’anno scorso a Nador sono morte ottantuno persone, annegate o sulla recinzione di metallo. Di fronte al clamore generale che hanno suscitato questi eventi, il governo marocchino è rimasto sulla difensiva. L’esecutivo sta cercando di fornire la sua versione dei fatti. Una strategia di damage control – un segno dei tempi – che è stata commissionata ad accademici, Ong o media vicini allo Stato. Tutti danno la colpa... all’Algeria. Il premier spagnolo ha accusato le “mafie” di essere responsabili di questa tragedia, mentre ha elogiato “il Marocco per la sua professionalità”.

Lontani da questa guerra di narrazioni, gli attivisti sul campo continuano a curare le ferite dei migranti, a cercare i nomi dei dispersi e le loro nazionalità, tentando di mobilitare gli avvocati per la difesa dei migranti accusati a Nador. Un processo, iniziato il 27 giugno, che si annuncia come il più grande mai intentato contro i migranti in Marocco. Su ventotto migranti ci sono pesanti accuse penali. Un secondo gruppo di trentasette migranti, tra cui un minorenne, è accusato di violazioni. Intanto, i corpi dei migranti morti si trovano ancora all’obitorio, senza autopsia né indagine giudiziaria per accertare le circostanze del decesso.