Gaza. Il Consiglio di sicurezza dell’ONU contro il diritto internazionale
Il tentativo di cancellare il diritto applicabile alla Palestina trova un’ulteriore conferma nella risoluzione 2803 del Consiglio di sicurezza. Adottata il 17 novembre 2025 con tredici voti favorevoli, nonostante l’astensione di Russia e Cina, tale risoluzione si pone in contrasto con il diritto internazionale. Ne consegue che gli Stati membri delle Nazioni Unite non dovrebbero partecipare né alla “forza internazionale” né al “consiglio di pace” previsti dall’organo politico dell’ONU.
Nel 2024, la Corte internazionale di Giustizia (CIG) ha stabilito che Israele, avendo violato norme imperative del diritto internazionale (le cosiddette norme jus cogens1), doveva, senza negoziazioni, ritirarsi dal territorio palestinese occupato, smantellare gli insediamenti e riparare tutti i danni causati dalla sua occupazione illegale. La CIG ha inoltre ricordato che tutti gli Stati dovevano adottare misure volte a costringere Israele al ritiro e a prevenire il genocidio di Gaza. Il previsto ritiro di Israele, stabilito per settembre 2025 dalla risoluzione dell’Assemblea Generale del 18 settembre 2024, non è avvenuto e sono pochi gli Stati che hanno adottato la condotta richiesta di fronte al genocidio di Gaza.
Di contro, c’è stato il tentativo di un’iniziativa diplomatica franco-saudita di tornare ai consolidati metodi dei negoziati, sostenendo la nascita di uno Stato palestinese ridimensionato: è quanto figura nella dichiarazione di New York, approvata dall’Assemblea Generale il 10 settembre 2025. A margine di questa Assemblea Generale, il presidente degli Stati Uniti ha presentato il suo piano per Gaza. La prima fase, l’unica accettata dai gruppi combattenti palestinesi, ha condotto a un cessate il fuoco — successivamente violato da Israele — e alla liberazione degli israeliani detenuti a Gaza, nonché di centinaia di prigionieri palestinesi detenuti da Israele. Le condizioni dei prigionieri rilasciati, così come lo stato dei corpi restituiti, attestano sevizie inflitte di particolare gravità.
Mentre il piano di Trump veniva approvato da numerosi Stati durante la conferenza di Sharm el-Sheikh del 13 ottobre 2025, gli Stati arabi o musulmani invitati a partecipare alla forza internazionale prevista chiedevano che un mandato dell’ONU ne autorizzasse la partecipazione. Per questo motivo gli Stati Uniti hanno sottoposto il loro piano al Consiglio di sicurezza, nonostante per oltre due anni avessero impedito al Consiglio di intervenire di fronte al genocidio di Gaza, ricorrendo ripetutamente al veto.
Il Consiglio di sicurezza non enuncia il diritto
Ciò significa che la risoluzione 2803, con la quale il Consiglio di sicurezza “fa proprio” il piano Trump ad essa allegato, può cancellare e sostituire il diritto internazionale applicabile? In realtà, il Consiglio di sicurezza non ha la funzione di enunciare il diritto internazionale, né di modificarne il contenuto. Secondo la Carta delle Nazioni Unite, il Consiglio è responsabile del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale (articolo 24) ed esercita i suoi poteri ai sensi dei capitoli VI e VII. Sulla base del capitolo VII, può decidere misure vincolanti per gli Stati e, se necessario, autorizzare l’uso della forza per intervenire in situazioni di grave crisi. Il Consiglio agisce mediante risoluzioni specifiche, in situazioni determinate, con l’obiettivo di mantenere o ripristinare la pace. Non legifera né decide, in diritto, sulle controversie. Inoltre, il Consiglio non può adottare qualsiasi decisione, in qualsiasi situazione, e deve “agire in conformità con gli scopi e i principi delle Nazioni Unite”.
La questione del controllo del Consiglio di sicurezza, ovvero del controllo della legalità delle sue risoluzioni, è stata al centro dell’attenzione internazionale, in particolare a partire dalle risoluzioni adottate contro la Libia a seguito dell’attentato di Lockerbie nel 19882. Una questione discussa davanti a vari giudici in relazione alla situazione nell’ex Jugoslavia (Tribunale penale per l’ex Jugoslavia), alla lotta contro il terrorismo (Corte di Giustizia dell’Unione europea) e all’intervento in Iraq del 2003 (Corte europea dei diritti dell’uomo). Sebbene sia difficile controllarne la legalità, i giuristi sanno che non è impossibile. In un mondo ideale, l’Assemblea Generale potrebbe, ad esempio, adire la Corte Internazionale di Giustizia affinché esamini la conformità della risoluzione 2803 al proprio parere del 2024. Ma il 2025 ci ha insegnato che non bisogna aspettarsi troppo dall’Assemblea Generale.
È facile sottolineare il mancato rispetto delle norme imperative del diritto internazionale da parte del Consiglio di sicurezza: per quanto riguarda la Palestina, tale diritto è stato appena ribadito dall’organo giudiziario principale delle Nazioni Unite, ovvero la Corte internazionale di Giustizia. Inoltre, è utile: gli Stati non sono in alcun modo tenuti a contribuire al piano di occupazione di Gaza sostenuto dal Consiglio di sicurezza, poiché la risoluzione si limita ad “autorizzarli” o a “chiedere” di farlo. Potrebbero voler evitare di contribuire direttamente alla violazione di queste norme imperative inviando contingenti a Gaza. Tale illegittimità permeerebbe anche tutta l’attività economica auspicata da Trump e dai suoi collaboratori: i contratti e gli accordi stipulati in tal senso dovrebbero essere considerati nulli e le aziende che vi contribuiscono dovrebbero essere boicottate. In seno al Consiglio di sicurezza, la Russia ha esplicitamente evocato l’illegittimità mettendo in guardia gli Stati che hanno votato a favore del testo3
Una forza di occupazione
La risoluzione autorizza innanzitutto gli Stati a dispiegare contingenti a Gaza. Ciò, di per sé, non è una novità, poiché dal 1991 e dal primo intervento americano in Iraq il Consiglio ha regolarmente fatto ricorso a questa procedura di autorizzazione all’uso della forza da parte degli Stati. Va sottolineato che questa procedura non è quella delle operazioni di mantenimento della pace, in cui i Caschi blu vengono impiegati sotto l’autorità dell’ONU senza avere il mandato di ricorrere alla forza. In questo caso non si tratta di un’operazione di mantenimento della pace, ed è proprio questo che sembra aver dissuaso molti Stati dal partecipare direttamente alla “forza internazionale di stabilizzazione” autorizzata dal Consiglio. Di cosa si tratta allora?
Si tratta principalmente di realizzare ciò che l’esercito israeliano non è riuscito a fare: garantire “la smilitarizzazione della Striscia di Gaza, anche procedendo alla distruzione delle infrastrutture militari, terroristiche e offensive e impedendone la ricostruzione, nonché assicurando la definitiva messa fuori uso delle armi dei gruppi armati non statali”. Si tratta quindi di disarmare i gruppi combattenti palestinesi e, secondo i termini del piano Trump allegato alla risoluzione, di “deradicalizzare Gaza”. Una missione che richiede l’uso della forza dal momento che i gruppi palestinesi non hanno accettato di consegnare le armi, e dev’essere realizzata “in stretta consultazione” con l’Egitto e Israele. La forza internazionale di stabilizzazione deve quindi essere considerata come una forza di occupazione associata a Israele. Tuttavia, come già accennato, il controllo del territorio palestinese da parte di Israele è considerato gravemente illegale dalla Corte Internazionale di Giustizia, in quanto viola il diritto imperativo del popolo palestinese all’autodeterminazione. Contrariamente a quanto richiesto dalla stessa Corte Internazionale di Giustizia, la risoluzione consentirebbe a Israele di non ritirarsi.
Un’occupazione non dichiarata
Il controllo di Gaza è necessario per istituire una sorta di governo (“un’amministrazione transitoria”), sotto l’autorità di un Consiglio di pace, che a nostro avviso sarebbe meglio denominare “consiglio di occupazione e spoliazione”. Questo è il secondo aspetto essenziale della risoluzione. Tale consiglio avrebbe il compito di “lavorare alla ricostruzione di Gaza e all’attuazione dei programmi di ripresa economica”. A tal fine, il Consiglio di sicurezza conferisce all’organismo una “personalità giuridica internazionale” che gli consente di concludere accordi o contratti. La Banca mondiale, un’istituzione dominata dagli Stati Uniti, è chiamata a facilitare il finanziamento del programma. Nel linguaggio non eufemistico del documento Trump allegato alla risoluzione, il piano di ripresa economica
sarà elaborato da un gruppo di esperti che hanno contribuito alla nascita di città prodigiosa tra le più moderne e prospere del Vicino Oriente. Verranno esaminati numerosi progetti di investimento interessanti e idee di sviluppo promettenti provenienti da gruppi internazionali animati da buone intenzioni, con l’obiettivo di elaborare un quadro che disciplini sia le questioni di sicurezza che quelle di governance, in grado di attrarre e facilitare investimenti che generino occupazione, opportunità e speranza per la futura Gaza.
Al fine di realizzare questo piano, che corrisponde globalmente a quello della “Riviera” annunciato da Trump all’inizio del 2025, il consiglio potrà “svolgere qualsiasi compito ritenuto necessario”. Sebbene la risoluzione non menzioni mai la questione dello sfruttamento delle risorse naturali, in particolare i giacimenti nelle acque antistanti Gaza, l’autorizzazione concessa consente di stipulare contratti a tal fine. Un progetto contrario al diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione economica, comprese le proprie scelte di sviluppo e la sovranità permanente sulle proprie risorse naturali. I palestinesi sono relegati a un “comitato di natura tecnocratica e apolitica ... incaricato di gestire gli affari correnti del territorio”.
Certo, l’amministrazione è definita “transitoria”, ma le prospettive di autodeterminazione che la risoluzione ha dovuto integrare sono più che lontane e ancora condizionate. Pertanto, il Consiglio opererà fino a quando l’Autorità Nazionale Palestinese non avrà “attuato scrupolosamente il suo programma di riforme e la ricostruzione di Gaza non avrà compiuto progressi”. Solo allora “potranno essere soddisfatte le condizioni (sic) per aprire una strada credibile verso l’autodeterminazione palestinese e la creazione di uno Stato sovrano”. A chi toccherà la decisione? Washington istituirà allora un “dialogo tra Israele e Palestina affinché concordino un orizzonte politico al servizio di una coesistenza pacifica e prospera”. L’orizzonte atteso è lontano, vago, vincolato e, a dire il vero, irraggiungibile. Il riferimento a uno Stato palestinese è una perfetta illusione. Se il Consiglio di sicurezza concederà carta bianca fino a dicembre 2027, senza alcun controllo da parte dell’ONU (punti 8 e 10 della risoluzione), il sistema potrebbe essere prorogato.
Nuovo mandato sulla Palestina?
Molti commentatori hanno analizzato questa risoluzione come un’autorizzazione a un “nuovo mandato” su Gaza. Ma almeno il regime dei mandati istituito dalla Società delle Nazioni, o il regime dei territori non autonomi dell’ONU4, prevedevano, almeno in teoria, un’amministrazione nell’interesse delle popolazioni locali. In questo caso, il potere è attribuito nominalmente a un presidente degli Stati Uniti che non nasconde i propri interessi personali e il cui genero, Jared Kushner, è stato presentato come il principale investitore a Gaza da un altro uomo d’affari, l’inviato speciale di Trump, Steve Witkoff. Certo, secondo la risoluzione saranno gli “Stati membri” a sedere nel consiglio. Ma il piano Trump allegato è molto più chiaro: il consiglio “sarà guidato e presieduto dal presidente Donald J. Trump”, gli altri membri “compresi i capi di Stato, saranno annunciati in seguito, e ne farà parte l’ex primo ministro Tony Blair”. Il potere è quindi conferito a un gruppo che intende trarre profitti personali dall’operazione, e questo rappresenta un unicum. L’interesse del popolo palestinese, inoltre, non è mai menzionato nella risoluzione, poiché la “ripresa economica” non sembra riguardarlo, mentre non è prevista alcuna ridistribuzione dei profitti attesi. Il piano Trump evoca invece “una governance moderna ed efficace in grado di servire la popolazione di Gaza”... e “di attrarre investimenti”.
Al di là dell’occupazione prolungata, il sistema consente quindi la spoliazione del popolo palestinese a vantaggio di un’élite imperialista americana senza scrupoli. Pertanto, gli accordi e i contratti conclusi dal consiglio di occupazione potranno essere considerati invalidi: un trattato contrario al jus cogens deve essere considerato nullo stando al diritto internazionale (articolo 53 della Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati). Gli accordi che sarebbero adottati dall’Unione europea potrebbero, ad esempio, essere contestati dinanzi alle sue giurisdizioni, come quelli conclusi con il Marocco per lo sfruttamento delle risorse del Sahara occidentale. La grande maggioranza dei gruppi palestinesi e delle ONG palestinesi ha inoltre apertamente denunciato la risoluzione 2803; solo Fatah di Mahmoud Abbas, la cui rappresentanza è ampiamente contestata, l’ha accettata.
Il genocidio dimenticato
Per esercitare i poteri che gli derivano dal capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, il Consiglio di sicurezza deve qualificare una situazione di grave crisi (minaccia alla pace, rottura della pace, atto di aggressione ai sensi dell’articolo 39). Come viene inquadrata la situazione a Gaza nella risoluzione 2803? Anche se siamo di fronte a un genocidio che si protrae, nulla traspare dal preambolo della risoluzione. Viene riportata soltanto l’indicazione che “la situazione nella Striscia di Gaza minaccia la pace regionale e la sicurezza degli Stati vicini”... Tuttavia, nelle precedenti risoluzioni adottate in situazioni di genocidio, che autorizzavano gli Stati a ricorrere alla forza, il Consiglio faceva normalmente riferimento alla situazione umanitaria. Qui non è così. Ovviamente non si tratta, come in precedenza, di un mandato volto a “proteggere i civili in pericolo”5.
In questo modo, il Consiglio di sicurezza conferisce a chi ha distrutto Gaza il potere di “stabilizzare”, disarmare e sviluppare questo spazio. Il principio di responsabilità per genocidio viene completamente eluso. La risoluzione consente il proseguimento del genocidio, senza nemmeno insistere sulla situazione della popolazione di Gaza, se non per esigere la sua “deradicalizzazione”; a questo proposito, è anche contraria alla norma imperativa di jus cogens che vieta il genocidio. Potrebbe consentire di cancellarne alcune prove.
Il popolo palestinese di Gaza è descritto come un insieme di “persone”, “libere di andarsene e libere di tornare” o come “abitanti” incoraggiati a rimanere, ai quali sarà ‘offerta’ la “possibilità di ricostruire Gaza in modo migliore” (piano Trump, punto 12; risoluzione punto 4 b.4.), poiché Gaza sarà “ricostruita per il bene dei suoi abitanti” (piano Trump, punto 2). Nella “nuova Gaza”, i palestinesi non sono un popolo, ma al massimo una popolazione, non sono attori. Ma non sono nemmeno vittime di un genocidio, anche se “hanno sofferto troppo” (piano Trump, punto 2).
La risoluzione del Consiglio di sicurezza contiene, è vero, una componente umanitaria; tuttavia, i suoi termini sollevano serie preoccupazioni. Il Consiglio “sottolinea l’importanza di garantire la ripresa completa degli aiuti umanitari […] attraverso le organizzazioni che cooperano a tal fine, tra cui l’Organizzazione delle Nazioni Unite”, ma tale ripresa è subordinata a condizioni specifiche. Essa dovrà infatti avvenire “in consultazione con il Consiglio di pace” e a condizione che gli aiuti non “siano dirottati da gruppi armati”. Una simile formulazione sembra riecheggiare più le accuse israeliane nei confronti di Hamas che le appropriazioni, ampiamente documentate, degli aiuti da parte delle milizie sostenute da Israele. In ogni caso, la risoluzione non chiede la fine dell’assedio. In questo contesto, Donald Trump potrà agevolmente farsi portavoce delle richieste israeliane: il diritto all’assistenza e l’obbligo di garantire il passaggio pieno e incondizionato degli aiuti umanitari — ribaditi dalla Corte internazionale di giustizia nel 2024 e nel 2025 — restano di fatto privi di effettiva garanzia.
Pressioni e ricatti
Infine, è necessario soffermarsi sulle condizioni di adozione della risoluzione e del cosiddetto “piano Trump” che essa recepisce. Il Consiglio di sicurezza afferma fin dall’incipit che “le parti” avrebbero accettato tale piano. Si tratta però di un’affermazione manifestamente falsa: è noto che i gruppi armati palestinesi cui il piano è stato presentato non lo hanno sostenuto nella sua interezza. Un’accettazione inesistente non può dunque essere invocata per giustificare il carattere esorbitante della risoluzione. Ancor più grave è il fatto che il piano Trump, nella sua prima fase, sia stato accettato sotto minacce esplicite e reiterate del presidente statunitense. “Un inferno come nessuno ha mai visto si abbatterà su Hamas”, ha dichiarato Donald Trump6. Un accordo concluso sotto costrizione immediata è tuttavia nullo secondo il diritto internazionale: la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati (articoli 51 e 52) qualifica la coercizione come causa di nullità. È verosimilmente per questo motivo che il Consiglio di sicurezza è costretto a distorcere la realtà, insistendo artificiosamente sull’“accordo delle parti”.
Le condizioni di adozione della risoluzione sono di per sé sconcertanti, anche prescindendo dalle promesse probabilmente formulate e dalle pressioni esercitate su alcuni Stati che hanno votato a favore, come l’Algeria. I rappresentanti degli Stati Uniti alle Nazioni Unite hanno bloccato il testo alternativo presentato dalla Russia ricorrendo a minacce dirette nei confronti della popolazione palestinese. Il rappresentante statunitense Mike Waltz ha dichiarato esplicitamente che “votare contro questo progetto di risoluzione significa votare per la ripresa della guerra”.
Alla luce del coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nel genocidio in corso a Gaza, una simile affermazione assume il carattere di una minaccia di estrema gravità, tanto più che la risoluzione è stata cinicamente presentata come uno strumento per “salvare i bambini di Gaza”. Che valore giuridico e morale può avere un testo adottato sotto la minaccia di un genocidio?
1Dal latino “diritto vincolante”, si riferisce ai principi di diritti ritenuti universali come corpus delle norme imperative del diritto internazionale. [Ndr].
2Il 21 dicembre 1988, un Boeing 747 del volo Pan Am Airways 103 da Londra a New York esplose in volo e cadde sulla città scozzese di Lockerbie. L’attacco uccise 270 persone. Nel 2003, il defunto presidente libico Muammar Gheddafi accettò di assumersi la responsabilità dell’attacco sostenendo di non essere stato lui il responsabile, pagando un risarcimento alle famiglie delle vittime. [Ndr].
3Ad esempio, per il rappresentante russo, la risoluzione “ricorda le pratiche coloniali e il mandato sulla Palestina (...) che ignoravano completamente le opinioni dei palestinesi”... Ha concluso che i membri del Consiglio “non potranno dire che non li abbiamo avvertiti”, verbale della sessione di adozione della risoluzione, Doc. S/PV.10046, pp. 17-18. Simile è la posizione della Cina.
4Articolo 22 del Patto della Società delle Nazioni: “Il benessere e lo sviluppo di questi popoli costituiscono una missione sacra della civiltà...”. Naturalmente, il Mandato sulla Palestina (1922) è specifico in quanto incorpora la Dichiarazione Balfour. Per un’analisi critica, vedi in particolare Rashid Khalidi, The hundred years’ war on Palestine, Profile Books Ltd, 2020, not. pp. 34-39. … L’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite prevede inoltre “la primazia degli interessi degli abitanti di quei territori” riguardo ai “Territori Non Autonomi”.
5Si veda, ad esempio, la risoluzione 929 (1994) che autorizza il dispiegamento della “Turquoise Force”. Ritiene che “la portata della crisi umanitaria in Ruanda costituisca una minaccia alla pace e alla sicurezza nella regione” (preambolo) e definisce il mandato della forza come “volto a contribuire, in modo imparziale, alla sicurezza e protezione delle persone sfollate, dei rifugiati e dei civili a rischio in Ruanda” (punto 2).
6Callum Sutherland, Time, 3 ottobre 2025.
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