Diario da Gaza 53

“Trovo solo la parola ‘Gazacidio’ per descrivere quello che sta accadendo”

Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI. Giornalista fondatore di GazaPress, un’agenzia di stampa che forniva aiuto e traduzioni ai giornalisti occidentali, Rami ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza con la moglie e il figlio Walid di due anni e mezzo. Rifugiatisi a Rafah, Rami e la sua famiglia sono stati costretti a un nuovo esilio interno, bloccati come tante famiglie in questa enclave miserabile e sovraffollata. Questo spazio gli è dedicato dal 28 febbraio 2024.

Nell'immagine si vede un bambino che corre sotto la pioggia intensa. Il ragazzo tiene un grande contenitore in una mano e si protegge dalla pioggia con un pezzo di stoffa. Sullo sfondo, ci sono diverse auto e una strada bagnata, mentre le gocce d'acqua creano un'atmosfera drammatica e vivace. La scena trasmette una sensazione di urgenza e resilienza, evidenziando il contrasto tra il bambino e le avversità del tempo.
Deir al-Balah, 22 settembre 2024. Un bambino attraversa il cortile dell’Ospedale dei Martiri di al-Aqsa sotto la pioggia, per andare a prendere l’acqua.

Giovedì 26 settembre 2024.

Qualche giorno c’è stata una fortissima pioggia a Gaza, soprattutto a Deir al-Balah, nel sud, dove abbiamo piantato la nostra “villa”, come chiamiamo la nostra tenda. Siamo in autunno, poi verrà l’inverno, sono stagioni in cui qui piove molto.

Ha piovuto a dirotto per mezza giornata. Siamo stati letteralmente sommersi. L’acqua ha allargato tutto, entrando nella nostra “villa”, nella nostra cucina e nel nostro bagno attrezzati alla bell’e meglio. C’è da dire che siamo stati fortunati rispetto agli altri: il terreno su cui ci troviamo non ha pendenza, e la nostra tenda è quasi nuova, l’abbiamo comprata sei mesi fa. Per fortuna, non si è allagato proprio tutto. Nell’ultimo anno, però, 1,7 milioni di persone sono state costrette a vivere in tende e teloni. L’acqua ha invaso gli accampamenti già danneggiati dal sole e dagli sbalzi di temperatura.

Tra i 1.000 e i 1.400 euro per una tenda

Siamo esposti anche al pericolo delle maree. La gabbia di 27 km² in cui ci ha rinchiuso l’esercito israeliano, la cosiddetta “zona sicura”, si trova in riva al mare. La maggior parte delle tende piantate sulla spiaggia sono state sommerse con l’alta marea. Molti sfollati sono rimasti senza casa. Quando dico “rifugio”, mi riferisco a qualche pezzo di plastica. Un telo di circa 3-4 mq costa tra i 200 e i 250 euro. Una tenda costa 4-5 volte di più, cioè tra i 1.000 e i 1.400 euro. Nessuno è in grado di pagare quella cifra. Di norma, questi teloni dovrebbero essere distribuiti dalle Nazioni Unite o da qualche Ong. All’inizio lo hanno fatto, ma il materiale era previsto per un massimo di 6 mesi. Dopo l’ultima pioggia, ho ricevuto centinaia di telefonate da amici, conoscenti, vicini di casa che mi chiedevano se conoscessi qualcuno in questa o quella associazione per comperare una tenda o dei teloni.

Ma la pioggia è stata solo l’inizio. In mezza giornata, tutti erano sotto l’acqua. Immaginate cosa succederà in inverno, quando farà freddo e forse pioverà per 24 ore di fila per una settimana. Immaginate in che condizioni vivrà la gente. E soprattutto i bambini!

Quando ha cominciato a piovere, Walid è rimasto sorpreso. Prima, quando vivevamo ancora nel nostro appartamento a Gaza City, per lui la pioggia era uno spettacolo piacevole. Io uscivo sul balcone e lo tenevo in braccio. Da casa c’era un bel panorama e così guardavamo, al riparo, la pioggia che cadeva su Gaza. Walid allungava la mano per toccare la pioggia, era una dolce sensazione, una grande gioia.

Per la prima volta, Walid ha sentito davvero la pioggia. Pioveva a dirotto e non potevo dirgli che ci saremmo allagati o che non avremmo avuto un letto su cui dormire perché i materassi e le coperte erano bagnati, che non avrebbe smesso di piovere e che c’era il rischio di ammalarci tutti. Non riuscivo a dirglielo, così ho preferito fargli una foto e filmarlo mentre giocava sotto la pioggia. Saltava nelle pozzanghere, dicendo: “Papà, papà! Guarda, piove!”. Ero sicuro che il giorno dopo, Walid si sarebbe ammalato perché aveva solo una t-shirt e dei pantaloncini. Ma non riuscivo a trovare le parole per dirgli che, ancora una volta, quella era un’umiliazione, una situazione in cui non potevamo fare nulla, che ci avrebbero costretti a dormire sotto l’acqua, sull’acqua e nell’acqua.

L’obiettivo è farci diventare tutti dei profughi

La storia di Walid è solo un esempio tra tanti. Sono migliaia i bambini che non hanno un riparo o un posto dove andare. Migliaia, se non centinaia di migliaia, di persone sono sotto l’acqua, senza un riparo o un tetto, senza nulla. I teloni non arrivano più nella Striscia di Gaza. È da un bel po’ che gli israeliani hanno bloccato gli aiuti umanitari, compreso teloni e tende. All’inizio della guerra, gli israeliani hanno convinto tutti che stavano fornendo 1,2 milioni di tende agli sfollati. Era tutto falso. L’immagine della tenda era solo un simbolo, destinato solo a umiliarci, a farci diventare tutti dei profughi sul nostro stesso territorio. E pensare che ora, chi ha una tenda è un privilegiato, ed è un grande sogno per chi non ce l’ha.

Oltre alle tende, gli israeliani proibiscono tante altre cose. Tutti i prodotti per l’igiene, o per la pulizia. Sono vietati anche i sacchi della spazzatura. Non solo ci costringono a restare per strada, ma anche sotto la pioggia. Immaginate cosa ci aspetta. In autunno, poi in inverno, saremo tutti per strada, nel fango, ammalati e senza avere la possibilità di lavarci le mani, perché non c’è più sapone. Si tratta davvero di una totale umiliazione. Non vedo che rapporto abbia tutto questo con lo “sradicare Hamas”, che è l’obiettivo dichiarato di questa occupazione.

Non ho vestiti per l’inverno

Il vero obiettivo degli israeliani? Umiliarci e fare di noi dei morti viventi, una popolazione senza riparo, senza cibo, senza mezzi per lavarsi. Vogliono riportarci al Medioevo o, meglio, all’Età della pietra. Non abbiamo più vestiti, perché anche quelli sono vietati. Mi restano solo un paio di pantaloni, mezzi strappati che sono costretto a indossare ogni giorno. La sera, quando torno a casa dopo il lavoro, li lavo e li metto ad asciugare. Ho tre magliette che cambio ogni volta. Ma sono vestiti estivi. Ora comincia a far freddo e non ho vestiti per l’inverno. Neanche Walid. Per fortuna abbiamo delle coperte. Appena mi dice: “Papà, fa freddo, fa freddo”, allora prendo la coperta. Ho inventato un gioco in modo da non fargli capire che usiamo quella coperta per sostituire i vestiti che non possiamo comprare. Quando lo avvolgo, gli dico: “Mani in alto! Ora sei prigioniero!”

Mentre gioco con lui, so benissimo però qual è la realtà: mio figlio ha freddo ed io non riesco a trovare dei vestiti per lui. Avrei anche i mezzi per comprarli, anche quelli molto cari, ma non se ne trovano più sul mercato. Anche per i figli di Sabah, mia moglie. I vestiti che abbiamo ricevuto nell’ultima spedizione dall’estero ormai sono logori. Lo sapete, come sono i ragazzi, bisogna lavare le loro cose ogni giorno e così si consumano in fretta. E questo ci costringe ad indossare le stesse cose ogni giorno, sono le nostre uniformi da prigionieri. Ecco cosa vogliono gli israeliani. E torniamo sempre alla stessa parola: umiliazione. Non vedo il nesso tra il vietare l’arrivo dei vestiti, con lo “sradicare Hamas”. Non vedo il motivo di vietare i pannolini. Sono riuscito a prenderne un po’ per Walid, ma a prezzi esorbitanti. Molti altri sfollati si arrangiano come possono, usando vecchie magliette, asciugamani che puliscono ogni volta... da parte israeliana vedo solo un obiettivo, insisto ancora una volta su questa parola: umiliazione. Per farci vivere nella miseria e nella sporcizia.

Non abbiamo più una vita normale. Per noi è dura fare tutto, sia dal punto di vista fisico che psicologico. C’è la difficoltà legata alla paura, alle condizioni di vita per la salute, bisogna lottare contro gli altri, contro la vita, contro il cuore, contro l’umanità, contro le pietre, contro gli alberi, contro la natura, contro tutto. Quando cerco di trovare una parola per descrivere tutto questo, trovo solo “Gazacidio”. Gli israeliani vogliono ripulire l’intera Striscia di Gaza dalla sua popolazione, quella che è rimasta e quella che è andata via. I sopravvissuti a questo genocidio o, meglio, “Gazacidio”, devono essere umiliati fino a quando non decideranno di andarsene da questa terra, lasciandola agli israeliani.