
Giovedì 6 marzo 2025.
Il Ramadan è iniziato. Nei primi giorni c’era grande gioia tra la gente. Certo, è impossibile trovare i fawanis, le tradizionali lanterne del Ramadan, di cui gli israeliani vietano l’importazione, come di molte altre cose. Ma la gioia di questo mese di spiritualità e convivialità, di condivisione e di visite ad amici e parenti, era nei cuori di tutti. Anche se è durato poco.
La gioia si è spenta con la decisione di Netanyahu di chiudere i valichi di frontiera, vietando l’ingresso di tutte le derrate alimentari, sia gli aiuti umanitari che le importazioni del settore privato. Il tutto dietro la minaccia di una nuova guerra che sarà – da quanto dichiarato – senza precedenti. Minacce che vanno di pari passo con quelle di Trump, che ci promette solo la morte. Così, la gioia ha lasciato il posto alla paura: paura che la guerra possa riprendere, paura di non trovare più nulla nei mercati. Ci stiamo già preparando a rivivere un Ramadan simile a quello dello scorso anno, quando era possibile trovare solo prodotti in scatola e a volte un po’ di riso, se si era fortunati.
Si è scatenato il panico
La gente si è precipitata nei mercati o nei minimarket per fare scorta, spendendo gli ultimi risparmi. I prezzi sono aumentati e i prodotti sugli scaffali sono sempre meno, anche perché i commercianti stanno stoccando la merce per far schizzare i prezzi alle stelle. Il governo di Hamas cerca di impedirlo imponendo controlli sui prezzi.
L’ansia di cercare da bere e da mangiare non permette più di pensare. Dopo blocco dei valichi di frontiera, si è scatenato il panico. Il mio telefono squilla di continuo. Tutti i miei amici continuano a chiamarmi. Per loro, “il grande giornalista che sa tutto”, di ritorno a Gaza City, saprà sicuramente cosa fare. Qual è la decisione giusta da prendere?
Molti amici, sfollati da Gaza City a Khan Yunis, nel sud, hanno annullato il loro viaggio di ritorno. Uno di loro possiede un piccolo pezzo di terra a nord, dove voleva piantare la sua tenda. Mi ha detto:
Fino a quando Netanyahu non avrà annunciato la fine della guerra, preferisco rimanere qui. Infatti, sono convinto che la guerra non si fermerà, e non voglio tornare indietro per poi essere nuovamente sfollato.
Un’amica, una vedova che vive con i suoi quattro figli sotto la stessa tenda, compresa sua figlia che è sposata, mi ha chiamato per chiedermi: “Pensi che sia possibile tornare a Gaza? Ho saputo che stanno costruendo un campo. Potrei andarci o pensi che sia meglio rimanere qui?”. Di solito, preferisco non decidere al posto degli altri, per paura di sbagliare. Ma questa volta le ho risposto: “Se si tratta di vivere comunque in tenda, tanto vale restare dove sei, al momento non c’è nulla di chiaro”. Anche lei pensava la stessa cosa.
Adattarsi alla non-vita
Chi è tornato comincia a chiedersi se non sia il caso di ripartire. “Allora, Rami, cosa ne pensi? Secondo te, dobbiamo prevedere un nuovo bombardamento di Gaza City e del nord? È il caso di tornare subito al sud, per trovare un posto?”. Gli sfollati ormai lo sanno che, se devono rifugiarsi al sud, è meglio essere tra i primi ad arrivare, per trovare una buona sistemazione. Si sono abituati alla vita quotidiana in tenda. Se si deve ripartire, possono allestire facilmente il loro rifugio. È questo che è cambiato nella mentalità: le persone sono pronte a tutto pur di sopravvivere. Sono disposte a fare qualsiasi cosa per adattarsi a questa non-vita che stiamo subendo. La guerra ci ha scosso tutti. La maggior parte della popolazione di Gaza ha perso parenti, figli, amici, vicini, le loro case, il loro lavoro, le loro attività. Sono sotto shock e, soprattutto, sanno benissimo che il più forte sta decidendo il nostro futuro.
Tutto questo perché Netanyahu ha cambiato idea, decidendo di non passare alla seconda fase dell’accordo e di prolungare la prima. Se Hamas non lo accetta, è colpa sua perché ha “violato l’accordo”, secondo Netanyahu. È sempre così, è la legge del più forte. Israele può decidere ciò che vuole, soprattutto con il consenso di Trump.
La cosa peggiore è che invece di condannare Netanyahu, i mediatori stanno facendo pressione su Hamas, sotto accusa da parte della “comunità internazionale” per essersi rifiutato di prolungare la prima fase. È davvero il mondo al contrario. Si accusa Hamas di non aver accettato la legge del più forte.
Noi palestinesi siamo costretti a vivere in base alle decisioni di Netanyahu, sempre legate alla sua sopravvivenza politica. In teoria, dopo 42 giorni di cessate il fuoco, si sarebbe dovuto passare alla fase 2 dell’accordo, che prevede l’apertura parziale del valico di Rafah, il ritiro dell’esercito israeliano dal “corridoio Filadelfia” al confine egiziano, l’aumento degli aiuti umanitari e, soprattutto, l’importazione di materiali da costruzione, in modo che la vita possa riprendere. Dietro il rifiuto di Israele, c’è il piano di “trasferire” i 2,3 milioni di abitanti di Gaza, che è ancora sul tavolo. Come ho detto più volte: il vero obiettivo di questa guerra non è quello di “sradicare Hamas” o di liberare tutti gli ostaggi israeliani, ma di espellere la popolazione di Gaza. Si tratta di trasformare la loro vita in un inferno, in modo che “scelgano” di andarsene.
La finestra di Overton si è allargata
Gli israeliani, e ora il loro amico e sodale della Casa Bianca, usano sempre lo stesso metodo: rendere accettabile l’inaccettabile. Conoscete il concetto di “Finestra di Overton”?. È un’espressione che designa il perimetro di ciò che può essere detto e discusso, e che è considerato accettabile in una determinata società1. I leader politici e gli opinionisti stanno cercando di far passare attraverso questa finestra, a poco a poco, le parole e le idee che la società ha finora rifiutato. Il miglior modo per farlo è ovviamente attraverso i mass media. Quando Trump ha parlato di “trasferire” 2,3 milioni di persone, tutti sono rimasti scioccati. Era una cosa inaccettabile. Poi però abbiamo visto programmi televisivi in cui si discuteva della possibilità di questo “trasferimento”, in cui gli opinionisti si chiedevano se non fosse una buona soluzione per la popolazione di Gaza. Poi anche gli intellettuali hanno cominciato ad approvare il piano di Trump, in nome della pseudo-compassione per i palestinesi o per “real politik". E, a poco a poco, questa idea scandalosa ha trovato una sua “finestra” di opportunità.
Ricordate: all’inizio della guerra, una granata caduta nel cortile dell’ospedale al-Shifa aveva sollevato l’indignazione di una parte dell’opinione pubblica. L’IDF si era fatto in quattro per cercare di dimostrare che si trattava di un missile lanciato da Hamas. Da allora, l’esercito israeliano ha bombardato al-Shifa e la maggior parte degli ospedali. Inoltre, hanno portato via decine di operatori sanitari, distrutto migliaia di case, senza cercare alcuna smentita. Si limitano a dichiarare che ogni massacro di diverse decine o addirittura diverse centinaia di persone è da giustificare, perché si trattava di eliminare un “terrorista” nascosto tra le vittime. Sono argomenti diffusi da una potente macchina mediatica e diventati accettabili per gran parte dell’opinione internazionale. La finestra di Overton si è allargata.
È evidente che Netanyahu e Trump stanno cercando di instillare la paura nella mente delle persone, in modo che tutti noi accetteremo alla fine di andarcene quando le porte di Gaza saranno aperte. Il trasferimento è una realtà, Trump l’ha messa sul tavolo, corredata da minacce senza precedenti. È la prima volta che un presidente americano minaccia in questo modo l’intera popolazione di Gaza. E tutti stanni accettando la possibilità di espellere 2,3 milioni di persone per motivi “umanitari”. Dobbiamo lasciare Gaza perché non meritiamo di vivere su questo piccolo pezzo di terra, che deve essere trasformato in una “riviera”, o una sorta di Singapore, ma non per i palestinesi. Noi siamo solo un ostacolo di cui sbarazzarsi per realizzare questo progetto.
In questo momento, visto il sentimento antipalestinese che si sta diffondendo in tutto il mondo, mi è difficile restare ottimista. E questo non riguarda solo Gaza. Vi rendete conto di quello che sta succedendo in Cisgiordania? È esattamente ciò che sta accadendo a Gaza. Ma quasi nessuno ne parla, e sono in pochi quelli che giungono a questa conclusione: se il “progetto Gaza” funziona, il prossimo passo sarà la Cisgiordania. Purtroppo, il resto del mondo non lo capisce.
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1La “finestra di Overton” è un’espressione usata “per designare il fatto che le idee ritenute accettabili dalla popolazione sono tutte all’interno di un perimetro specifico. Una specie di finestra, in un certo senso”.